Dalla didascalia originale. - «La Balena dei Baschi (Balaena Biscayensis, Eschricht), catturata nel porto di Taranto il 9 febbrajo 1877. Invitato dalla Commissione, cui era stato affidato l'incarico della vendita del cetaceo, l'ingegnere Enrico Marrullier ne eseguì accuratamente il disegno e poi l'acquarello, che volle gentilmente mandarmi in dono. La figura rappresenta la Balena (...) 12 metri la lunghezza totale (...)»
Souvenir di una recente immersione da internauta provetto, una cronaca risalente al novembre 1877 a descrivere fatti accaduti pochi mesi prima, esattamente il 9 febbraio dello stesso anno. Il documento conta una novantina di pagine: la versione ridotta e di seguito riportata è una trascrizione puramente letterale, falciata delle minuziose analisi scientifiche e delle pratiche burocratiche dell'epoca - interi capitoli -, così come delle illustrazioni tecniche a corredo, fatto salvo per le poche qui riproposte a rendere e conservare l'idea.
Estrapolare e tramandare la vicenda nella sua parte squisitamente romanzata: il mio modesto intento è questo.
Sgravarla della polvere del Tempo, giusto del superfluo delle note tecniche ad oggi pressoché obsolete, per quanto concorrenti al progresso che le ha rese tali. E rilanciarla in una veste rinnovata, più brillante alle "nuove" generazioni (tutti compresi, futuri e presenti, dal momento che son passati quasi 150 anni).
E' il minimo che potessi fare per ringraziare l'autore del libro, e chiunque si sia prodigato attraverso i decenni per offrirci un biglietto omaggio. Un'avventura che meriterebbe un film, sfiziosamente riportata (tutti i "crediti" li troverete in corso di lettura) e che - alternando occhiali temporali - apre a riflessioni sull'evoluzione del rapporto uomo-animale, ma anche uomo-uomo, donna che sia.
INTORNO ALLA BALENA PRESA IN TARANTO NEL FEBBRAJO 1877
Memoria del Prof. Francesco Gasco, professore di zoologia e di anatomia comparata della R. Università di Genova, già professore di storia naturale nel R. Liceo Ginnasiale Principe Umberto, e coadiutore nel Gabinetto d'Anatomia Comparata della R. Università di Napoli.
Alla Memoria dell'ottimo maestro Paolo Panceri che pel primo efficacemente s'adoperò per arricchire l'Università di Napoli dell'unica vera balena per quanto si sappia comparsa nel Mediterraneo.
PREFAZIONE [...]*
ARRIVO E MORTE DELLA BALENA A TARANTO
Nel mattino del 9 Febbrajo prossimo passato fu avvertita la presenza del cetaceo nel Golfo di Taranto a circa tre chilometri di distanza dalla città, e precisamente in vicinanza della Torre d'Ajala posta sulla spiaggia orientale del Golfo.
Molto probabilmente il cetaceo era ivi giunto passando tra l'isola di San Paolo ed il Faro San Vito. Il primo pescatore, che se n'accorse, lo ritenne per una barca capovolta. Ma nell'avvicinarsi maggiormente scoprì che si trattava di un mostro marino che in quel momento era fermo e quasi quasi confondevasi cogli scogli di cui quella costa è tutta gremita. Dando uno sguardo intorno, il pescatore scoprì a breve distanza un'altra barchetta e chiamò in suo aiuto due altri compagni. Ma la prudenza consigliò loro di non accostarsi troppo a quell'enorme pesce.
Movendo poscia verso Taranto la Balena procedeva così lentamente ed a così breve distanza dalla spiaggia che le due barchette la poterono senza difficoltà accompagnare, e chi stava a terra ne riconosceva agevolmente la forma.
E' noto che il mar piccolo di Taranto è in comunicazione con il Golfo per mezzo di due canali. Uno di essi è dai Tarantini chiamato il Fosso; l'altro Canale della Cittadella. Sul primo v'ha ponte di Lecce, sul secondo il ponte di Napoli.
Giunta la Balena all'imboccatura del Fosso vi si arrestò per una quindicina di minuti. Era l'ora del riflusso. La Balena ripetutamente tentò di penetrare nel canale dirigendosi contro la corrente, ma ne fu sempre impedita dai pali così detti di posta, che stanno sull'entrata del canale e che servono per la pesca delle dorate e del pesce marmoro.
La sentinella del Castello diede l'avviso del mostro marino, su cui il Capitano addetto alla reclusione militare scaricò le prime due fucilate; a queste tennero ben presto dietro quelle di due altri tiratori tarantini.
Frattanto vola per la città la strepitosa notizia: la popolazione si precipita sul Corso Vittorio Emanuele e corre alla ringhiera per far conoscenza coll'ospite straordinario. I più intrepidi dan di piglio alle armi d'ogni sorta e corrono in cerca di barcajuoli.
La Balena, non potendo penetrare nel Fosso, rasentando gli scogli che difendono il Castello ed il Corso Vittorio Emanuele, raggiunge e doppia il Torrione. Essa, sempre lentamente avanzandosi, penetra nel porto e, movendo contro la corrente di riflusso, cerca d'insinuarsi nel Canale della Cittadella. Ma sia per la presenza di numerose barche, sia per le fucilate, che su di essa scaricavansi, arrivata e trattenutasi alcuni minuti presso la Dogana Regia, ove poco mancò che non s'arrenasse, mutando direzione, prese a muoversi verso l'isolotto di San Nicola passando al sud dello scoglio dei tonni, che dista dalla Dogana Regia intorno a 300 metri.
La seguivano e la fiancheggiavano nella sua lenta corsa oltre 30 barchette, dalle quali in vicinanza dell'isolotto di San Nicola il malcapitato cetaceo ricevette centinaja di colpi di fucile e di rivoltella. Mentre tutti erano di avviso che, oltrepassato l'isolotto summenzionato, la Balena avrebbe preso il largo, questa, rifacendo un tratto del cammino, ritorna verso lo scoglio e la punta dei tonni, arrestandosi in vicinanza del Convento dei Cappuccini, dove, cresciuto il numero delle barche, crebbero pure di numero le schioppettate. Ma qui i tiratori si convinsero che le palle dei loro fucili e rivoltelle non avevano su quell'enorme bersaglio effetto di sorta. La Balena non se ne dava per intesa.
Vi fu in quell'ora un po' di confusione. Più che le sferzate caudali della Balena, molti paventavano il piombo dei compagni, poiché tra i buoni formicolavano anche tiratori che nel maneggio del fucile lasciavano molto a desiderare.
Cessato lo sparo il signor Francesco Pavone arditamente le si accosta e le vibra un potente colpo di fiocina. La Balena, colla fiocina conficcata dietro il capo, innalza la coda e con essa percuote, spezza, affonda la barca del suo feritore, il quale fu coi due compagni tosto raccolto da alcuni soldati della R. Marina.
Vista l'inutilità delle fiocine, il signor Emanuele Scialpi ricorse alle cartucce di dinamite. Le prime due furono da lui gettate di fianco al cetaceo, mentre era quasi fermo, ma il loro scoppio non ebbe il risultato che si attendeva. Allora il signor Scialpi, con raro coraggio, fa dirigere la sua barca contro il capo della Balena deciso a lanciare una terza cartuccia entro la bocca che essa ritmicamente apriva e chiudeva. La Balena lentamente nuotava e la cartuccia, caduta davanti al muso, scoppiò mentr'essa v'era sopra col capo.
Commosso, tramortito dalla violenta detonazione, il misticeto si capovolse e più non si mosse. E' morto! E' morto! Si grida da tutte le parti, e lo Scialpi è applaudito. Le barche, che dopo la lezione toccata al Pavone si tenevano a una prudente distanza, furono sollecite ad avanzarsi accerchiandolo. Il valoroso Vincenzo Marinò ed altri suoi compagni, valendosi di funi fornite dall'equipaggio di un brigantino genovese, ne cingono con più giri il corpo per poterlo successivamente trarre sulla costa, sulla quale s'erano raccolti intorno a 2000 spettatori.
Trascorsi venti minuti, la Balena riacquista i sensi, ripiglia la posizione normale e s'agita energicamente; in men che lo dico, si libera dalle funi ed inalberando ripetute volte la coda percuote con violenza, capovolge, e spezza parecchie barche. Una decina di marinai piglia un bagno inaspettato.
Liberatasi dalle funi e rotto il cerchio delle barche, che la stringevano davvicino, la Balena con una velocità sorprendente s'allontanò dalla spiaggia dirigendosi verso il faro S. Vito, che dista a un dipresso dodici chilometri dal porto. Barcajuoli, marinai e tiratori rimasero dolorosamente sorpresi di quella violenta risurrezione, di quella precipitosa fuga. Dopo quattro ore di fatiche e perigli loro sfuggiva inaspettatamente di mano l'adiposa preda.
Ma era scritto che quella Balena, smarrita la via, avesse a Taranto la sua tomba. Divero, percorsi quattrocento metri circa, essa con la stessa velocità torna indietro, rientra e traversa il porto, raggiunge la Dogana Regia e s'arrena proprio nello stesso luogo che aveva visitato alcune ore prima. Le piccole barche ritornano, volando, anch'esse nel porto: eccole tutte nuovamente attorno al naufrago volontario.
Accorrono e s'affollano spettatori sulla vasta piazza della Dogana, sulle mura, sui bastimenti, sulle barche. Per qualche tempo tutti vociferano, o consigliano o schiamazzano, insomma la fu una vera Babele.
Vuolsi qui menzionare uno strano incidente idrostatico. Anche il lungo molo della Dogana, la cui larghezza non giunge ai due metri, erasi in pochi istanti gremito di curiosi. La Balena, sentendosi prigioniera, prese a dibattersi furiosamente. Sferzando l'acqua colla sua larghissima pinna caudale spaventa ed innaffia abbondantemente le prime file di osservatori, che prudentemente ed istintivamente indietreggiano. A quanti loro seguono manca il terreno. Essi, gridando, precipitano nell'acqua trascinandovi quelli che li precedono, cui s'erano aggrappati per evitare la caduta. Fu un tonfo ed un lamento generale. Fortunatamente la profondità dell'acqua e l'altezza del molo non superano il metro e quel bagno in Febbrajo non ebbe funeste conseguenze.
Pescatori e marinai temendo che si rinnovasse il fatto precedente, il che è dire lo svincolarsi dalle funi, furono solleciti ad assicurare l'animale con più forti legature.
A Vincenzo Marinò ed all'equipaggio di due brigantini l'uno di Gaeta, l'altro di Genova, riuscì finalmente di legare con una grossa gomena la formidabile coda, che senza interruzione il misticeto inalberava e precipitosamente faceva ricadere.
Mentre con grande fatica e con maggior periglio le si lega la coda, due pescatori nell'intento di soffocarla, salgono sul capo della Balena e s'affrettano a conficcare in uno sfiatatojo un palo più lungo di un metro e del diametro di un decimetro circa. - Picchiavano su quell'enorme turacciolo a tutta forza e senza dubbio avrebbero spezzato le ossa nasali od intermascellari se prontamente e con lodevolissimo consiglio non interveniva il Cav. Sebastio Barone Santacroce che, ponendo mente all'importanza scientifica dello scheletro, trovò modo d'impedire che quel palo tropp'oltre s'insinuasse.
Quando la Balena tirata per la coda giunse sulla spiaggia presso l'Ufficio della Sanità marittima, battevano le 8 p.m.
Le profonde ferite che colle scuri erano state fatte su d'uno sfiatatojo e che per quasi due centimetri s'approfondarono sul margine superiore dell'osso intermascellare sinistro, ed il palo conficcato nell'altro sfiatatojo non impedivano punto la respirazione. Il rumore, che accompagnava l'atto respiratorio, era tale da superare in intensità il muggito d'un toro. S'avvertiva anche alla distanza di 200 metri. Liberata dalle funi, la Balena a quando a quando sollevava il capo e spalancava tanto la bocca che non solo si scorgeva l'intiero sistema dei fanoni, ma anche i mediani, più lunghi, colla loro estremità accennavano a voler uscir fuori dall'altissimo labbro inferiore. Verso la mezzanotte sbattè un'ultima volta la coda e morì.
(*) [Dalla PREFAZIONE]
Nello scorso inverno, ognuno se lo rammenta, fu catturata nel Golfo di Taranto la prima vera Balena, per quanto si sappia, comparsa nel Mediterraneo. Appena il compianto Prof. Panceri ne ricevette notizia, con ammirabile sollecitudine prese gli opportuni accordi col signor Rettore dell'Università [...]
Il Cav. Lucarelli e V. Coppola già stavano sezionando in Taranto l'interessante misticeto e ben presto ne spedirono a Napoli il cuore, un pezzo d'esofago, di stomaco e di polmone, gli occhi, parte dell'apparato riproduttivo e vari saggi di cute. Tutte queste parti furono diligentemente esaminate dal Prof. Panceri che aveva la ferma intenzione di descriverle ed illustrarle, e tutto egli pose in opera per sottrarle alla corruzione che già erasi manifestata. [...]
Quando lo scheletro del misticeto giunse in Napoli, la scienza piangeva la grave perdita del Prof. Paolo Panceri. Mancato ai vivi quest'eminente naturalista il signor Rettore Scacchi volle a me (Prof. Francesco Gasco, autore dell'intero documento, ndr) affidare il grato ed onorevole incarico di studiare, descrivere e convenientemente illustrare lo scheletro della Balena di Taranto che è senza dubbio uno dei più belli e preziosi ornamenti del R. Gabinetto zootomico a cui ho l'onore di appartenere.
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