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Venti di cambiamento [New Awarded series by DOC]


BeeJay DOC - New series 2024

2024 | Stagione 1 | Episodi 1-20 + pilot

▼ EPISODI | "Sinossi"

#00 [pilot] - Ansia da prestazione | Timore di addormentarsi in treno un attimo prima della stazione d'arrivo.*
#01 Bergamotto | Cane lombardo di piccola taglia.
#02 Bisognino | Sogno che si ripete due volte, tipico dei cani di piccola taglia.
#03 Cardellino giallo | Si accoppia col cardellino rosso e nidifica nel taschino degli arbitri di calcio, storicamente dotati di possenti corna.
#04 Cardellino rosso | Vedi sopra, pena espulsione.
#05 Ciclopasseggiata | Gita di gruppo riservata a chi ha un occhio solo.
#06 Claustrofobia | Paura di Babbo Natale (Santa 'Claus').
#07 Equinozio | Dormitorio per cavalli.
#08 Legittima difesa | «Mica è colpa mia, se è colpa mia!».
#09 Mascarpone | Calzatura anfibia adottata dai Marines nella storica battaglia contro i Savoiardi, affogati nel caffé nella prima offensiva, e poi tirati su.
#10 Paleolitico | Età antica in cui sorsero le prime pale eoliche.
#11 Prudenza | «Non è mai troppa!», disse la zanzara.
#12 Riprovevole | Che si può provare più volte.
#13 Scarpone | La sagoma dell'Italia secondo un mio compagno delle scuole superiori, promosso con lode e aspirante a Premier, come spesso capita nello Stivale.
#14 Semicerchio | Saidovetrovarmio.
#15 Spillatrice | Donna abile a (s)cucire portafogli.
#16 Sollucchero | Dolcificante dagli effetti inebrianti.
#17 Solstizio | Tizio solare e solidale, calza solo solette per non lasciarle sole solette.
#18 Terapia | Pratica ad oggi pressoché obsoleta, evolutasi nel Terabyte.
#19 Tristezza | Particolare destrezza nel popolare gioco del Tris.
#20 Venditore | Castratore di tori e spacciatore di altrettante mucche contraffatte.


DOC


(*) Una volta mi è capitato: anziché a Bologna, mi son risvegliato a Piacenza...

Si ricercano sponsor e produttori per la seconda stagione: contattatemi in privato.

La prima balena avvistata nel Mediterraneo


BeeJay DOC - La prima balena avvistata nel Mediterraneo - Taranto 1877
Dalla didascalia originale. - «La Balena dei Baschi (Balaena Biscayensis, Eschricht), catturata nel porto di Taranto il 9 febbrajo 1877. Invitato dalla Commissione, cui era stato affidato l'incarico della vendita del cetaceo, l'ingegnere Enrico Marrullier ne eseguì accuratamente il disegno e poi l'acquarello, che volle gentilmente mandarmi in dono. La figura rappresenta la Balena (...) 12 metri la lunghezza totale (...)»


Souvenir di una recente immersione da internauta provetto, una cronaca risalente al novembre 1877 a descrivere fatti accaduti pochi mesi prima, esattamente il 9 febbraio dello stesso anno. Il documento conta una novantina di pagine: la versione ridotta e di seguito riportata è una trascrizione puramente letterale, falciata delle minuziose analisi scientifiche e delle pratiche burocratiche dell'epoca - interi capitoli -, così come delle illustrazioni tecniche a corredo, fatto salvo per le poche qui riproposte a rendere e conservare l'idea.
Estrapolare e tramandare la vicenda nella sua parte squisitamente romanzata: il mio modesto intento è questo.
Sgravarla della polvere del Tempo, giusto del superfluo delle note tecniche ad oggi pressoché obsolete, per quanto concorrenti al progresso che le ha rese tali. E rilanciarla in una veste rinnovata, più brillante alle "nuove" generazioni (tutti compresi, futuri e presenti, dal momento che son passati quasi 150 anni).
E' il minimo che potessi fare per ringraziare l'autore del libro, e chiunque si sia prodigato attraverso i decenni per offrirci un biglietto omaggio. Un'avventura che meriterebbe un film, sfiziosamente riportata (tutti i "crediti" li troverete in corso di lettura) e che - alternando occhiali temporali - apre a riflessioni sull'evoluzione del rapporto uomo-animale, ma anche uomo-uomo, donna che sia.



INTORNO ALLA BALENA PRESA IN TARANTO NEL FEBBRAJO 1877
Memoria del Prof. Francesco Gasco, professore di zoologia e di anatomia comparata della R. Università di Genova, già professore di storia naturale nel R. Liceo Ginnasiale Principe Umberto, e coadiutore nel Gabinetto d'Anatomia Comparata della R. Università di Napoli.
Alla Memoria dell'ottimo maestro Paolo Panceri che pel primo efficacemente s'adoperò per arricchire l'Università di Napoli dell'unica vera balena per quanto si sappia comparsa nel Mediterraneo.

PREFAZIONE [...]*

ARRIVO E MORTE DELLA BALENA A TARANTO
Nel mattino del 9 Febbrajo prossimo passato fu avvertita la presenza del cetaceo nel Golfo di Taranto a circa tre chilometri di distanza dalla città, e precisamente in vicinanza della Torre d'Ajala posta sulla spiaggia orientale del Golfo.
Molto probabilmente il cetaceo era ivi giunto passando tra l'isola di San Paolo ed il Faro San Vito. Il primo pescatore, che se n'accorse, lo ritenne per una barca capovolta. Ma nell'avvicinarsi maggiormente scoprì che si trattava di un mostro marino che in quel momento era fermo e quasi quasi confondevasi cogli scogli di cui quella costa è tutta gremita. Dando uno sguardo intorno, il pescatore scoprì a breve distanza un'altra barchetta e chiamò in suo aiuto due altri compagni. Ma la prudenza consigliò loro di non accostarsi troppo a quell'enorme pesce.
Movendo poscia verso Taranto la Balena procedeva così lentamente ed a così breve distanza dalla spiaggia che le due barchette la poterono senza difficoltà accompagnare, e chi stava a terra ne riconosceva agevolmente la forma.
E' noto che il mar piccolo di Taranto è in comunicazione con il Golfo per mezzo di due canali. Uno di essi è dai Tarantini chiamato il Fosso; l'altro Canale della Cittadella. Sul primo v'ha ponte di Lecce, sul secondo il ponte di Napoli.
Giunta la Balena all'imboccatura del Fosso vi si arrestò per una quindicina di minuti. Era l'ora del riflusso. La Balena ripetutamente tentò di penetrare nel canale dirigendosi contro la corrente, ma ne fu sempre impedita dai pali così detti di posta, che stanno sull'entrata del canale e che servono per la pesca delle dorate e del pesce marmoro.
La sentinella del Castello diede l'avviso del mostro marino, su cui il Capitano addetto alla reclusione militare scaricò le prime due fucilate; a queste tennero ben presto dietro quelle di due altri tiratori tarantini.
Frattanto vola per la città la strepitosa notizia: la popolazione si precipita sul Corso Vittorio Emanuele e corre alla ringhiera per far conoscenza coll'ospite straordinario. I più intrepidi dan di piglio alle armi d'ogni sorta e corrono in cerca di barcajuoli.
La Balena, non potendo penetrare nel Fosso, rasentando gli scogli che difendono il Castello ed il Corso Vittorio Emanuele, raggiunge e doppia il Torrione. Essa, sempre lentamente avanzandosi, penetra nel porto e, movendo contro la corrente di riflusso, cerca d'insinuarsi nel Canale della Cittadella. Ma sia per la presenza di numerose barche, sia per le fucilate, che su di essa scaricavansi, arrivata e trattenutasi alcuni minuti presso la Dogana Regia, ove poco mancò che non s'arrenasse, mutando direzione, prese a muoversi verso l'isolotto di San Nicola passando al sud dello scoglio dei tonni, che dista dalla Dogana Regia intorno a 300 metri. La seguivano e la fiancheggiavano nella sua lenta corsa oltre 30 barchette, dalle quali in vicinanza dell'isolotto di San Nicola il malcapitato cetaceo ricevette centinaja di colpi di fucile e di rivoltella. Mentre tutti erano di avviso che, oltrepassato l'isolotto summenzionato, la Balena avrebbe preso il largo, questa, rifacendo un tratto del cammino, ritorna verso lo scoglio e la punta dei tonni, arrestandosi in vicinanza del Convento dei Cappuccini, dove, cresciuto il numero delle barche, crebbero pure di numero le schioppettate. Ma qui i tiratori si convinsero che le palle dei loro fucili e rivoltelle non avevano su quell'enorme bersaglio effetto di sorta. La Balena non se ne dava per intesa.
Vi fu in quell'ora un po' di confusione. Più che le sferzate caudali della Balena, molti paventavano il piombo dei compagni, poiché tra i buoni formicolavano anche tiratori che nel maneggio del fucile lasciavano molto a desiderare.
Cessato lo sparo il signor Francesco Pavone arditamente le si accosta e le vibra un potente colpo di fiocina. La Balena, colla fiocina conficcata dietro il capo, innalza la coda e con essa percuote, spezza, affonda la barca del suo feritore, il quale fu coi due compagni tosto raccolto da alcuni soldati della R. Marina. Vista l'inutilità delle fiocine, il signor Emanuele Scialpi ricorse alle cartucce di dinamite. Le prime due furono da lui gettate di fianco al cetaceo, mentre era quasi fermo, ma il loro scoppio non ebbe il risultato che si attendeva. Allora il signor Scialpi, con raro coraggio, fa dirigere la sua barca contro il capo della Balena deciso a lanciare una terza cartuccia entro la bocca che essa ritmicamente apriva e chiudeva. La Balena lentamente nuotava e la cartuccia, caduta davanti al muso, scoppiò mentr'essa v'era sopra col capo.
Commosso, tramortito dalla violenta detonazione, il misticeto si capovolse e più non si mosse. E' morto! E' morto! Si grida da tutte le parti, e lo Scialpi è applaudito. Le barche, che dopo la lezione toccata al Pavone si tenevano a una prudente distanza, furono sollecite ad avanzarsi accerchiandolo. Il valoroso Vincenzo Marinò ed altri suoi compagni, valendosi di funi fornite dall'equipaggio di un brigantino genovese, ne cingono con più giri il corpo per poterlo successivamente trarre sulla costa, sulla quale s'erano raccolti intorno a 2000 spettatori.
Trascorsi venti minuti, la Balena riacquista i sensi, ripiglia la posizione normale e s'agita energicamente; in men che lo dico, si libera dalle funi ed inalberando ripetute volte la coda percuote con violenza, capovolge, e spezza parecchie barche. Una decina di marinai piglia un bagno inaspettato. Liberatasi dalle funi e rotto il cerchio delle barche, che la stringevano davvicino, la Balena con una velocità sorprendente s'allontanò dalla spiaggia dirigendosi verso il faro S. Vito, che dista a un dipresso dodici chilometri dal porto. Barcajuoli, marinai e tiratori rimasero dolorosamente sorpresi di quella violenta risurrezione, di quella precipitosa fuga. Dopo quattro ore di fatiche e perigli loro sfuggiva inaspettatamente di mano l'adiposa preda. Ma era scritto che quella Balena, smarrita la via, avesse a Taranto la sua tomba. Divero, percorsi quattrocento metri circa, essa con la stessa velocità torna indietro, rientra e traversa il porto, raggiunge la Dogana Regia e s'arrena proprio nello stesso luogo che aveva visitato alcune ore prima. Le piccole barche ritornano, volando, anch'esse nel porto: eccole tutte nuovamente attorno al naufrago volontario.
Accorrono e s'affollano spettatori sulla vasta piazza della Dogana, sulle mura, sui bastimenti, sulle barche. Per qualche tempo tutti vociferano, o consigliano o schiamazzano, insomma la fu una vera Babele.
Vuolsi qui menzionare uno strano incidente idrostatico. Anche il lungo molo della Dogana, la cui larghezza non giunge ai due metri, erasi in pochi istanti gremito di curiosi. La Balena, sentendosi prigioniera, prese a dibattersi furiosamente. Sferzando l'acqua colla sua larghissima pinna caudale spaventa ed innaffia abbondantemente le prime file di osservatori, che prudentemente ed istintivamente indietreggiano. A quanti loro seguono manca il terreno. Essi, gridando, precipitano nell'acqua trascinandovi quelli che li precedono, cui s'erano aggrappati per evitare la caduta. Fu un tonfo ed un lamento generale. Fortunatamente la profondità dell'acqua e l'altezza del molo non superano il metro e quel bagno in Febbrajo non ebbe funeste conseguenze.
Pescatori e marinai temendo che si rinnovasse il fatto precedente, il che è dire lo svincolarsi dalle funi, furono solleciti ad assicurare l'animale con più forti legature.
A Vincenzo Marinò ed all'equipaggio di due brigantini l'uno di Gaeta, l'altro di Genova, riuscì finalmente di legare con una grossa gomena la formidabile coda, che senza interruzione il misticeto inalberava e precipitosamente faceva ricadere.
Mentre con grande fatica e con maggior periglio le si lega la coda, due pescatori nell'intento di soffocarla, salgono sul capo della Balena e s'affrettano a conficcare in uno sfiatatojo un palo più lungo di un metro e del diametro di un decimetro circa. - Picchiavano su quell'enorme turacciolo a tutta forza e senza dubbio avrebbero spezzato le ossa nasali od intermascellari se prontamente e con lodevolissimo consiglio non interveniva il Cav. Sebastio Barone Santacroce che, ponendo mente all'importanza scientifica dello scheletro, trovò modo d'impedire che quel palo tropp'oltre s'insinuasse.
Quando la Balena tirata per la coda giunse sulla spiaggia presso l'Ufficio della Sanità marittima, battevano le 8 p.m. Le profonde ferite che colle scuri erano state fatte su d'uno sfiatatojo e che per quasi due centimetri s'approfondarono sul margine superiore dell'osso intermascellare sinistro, ed il palo conficcato nell'altro sfiatatojo non impedivano punto la respirazione. Il rumore, che accompagnava l'atto respiratorio, era tale da superare in intensità il muggito d'un toro. S'avvertiva anche alla distanza di 200 metri. Liberata dalle funi, la Balena a quando a quando sollevava il capo e spalancava tanto la bocca che non solo si scorgeva l'intiero sistema dei fanoni, ma anche i mediani, più lunghi, colla loro estremità accennavano a voler uscir fuori dall'altissimo labbro inferiore. Verso la mezzanotte sbattè un'ultima volta la coda e morì.

BeeJay DOC - La prima balena avvistata nel Mediterraneo - Taranto 1877 - tavole tecniche

(*) [Dalla PREFAZIONE]
Nello scorso inverno, ognuno se lo rammenta, fu catturata nel Golfo di Taranto la prima vera Balena, per quanto si sappia, comparsa nel Mediterraneo. Appena il compianto Prof. Panceri ne ricevette notizia, con ammirabile sollecitudine prese gli opportuni accordi col signor Rettore dell'Università [...]
Il Cav. Lucarelli e V. Coppola già stavano sezionando in Taranto l'interessante misticeto e ben presto ne spedirono a Napoli il cuore, un pezzo d'esofago, di stomaco e di polmone, gli occhi, parte dell'apparato riproduttivo e vari saggi di cute. Tutte queste parti furono diligentemente esaminate dal Prof. Panceri che aveva la ferma intenzione di descriverle ed illustrarle, e tutto egli pose in opera per sottrarle alla corruzione che già erasi manifestata. [...]
Quando lo scheletro del misticeto giunse in Napoli, la scienza piangeva la grave perdita del Prof. Paolo Panceri. Mancato ai vivi quest'eminente naturalista il signor Rettore Scacchi volle a me (Prof. Francesco Gasco, autore dell'intero documento, ndr) affidare il grato ed onorevole incarico di studiare, descrivere e convenientemente illustrare lo scheletro della Balena di Taranto che è senza dubbio uno dei più belli e preziosi ornamenti del R. Gabinetto zootomico a cui ho l'onore di appartenere.


DOC

Ciondolone, l'Extra-Tempestre


Da quando ne scrissi, "Piatto di Pasta" l'ho intercettato ancora un paio di volte nel giro di un mesetto, dopodiché è scomparso del tutto. E' passato un anno, ma mi aspetto che da un giorno all'altro possa rispuntare "di sop-piatto" come un Tempo.
«Ce l'hai un Euro per un piatto di pasta?». Per poi corrispondere al mio sofferto diniego con piglio tutto suo... Sprezzante? Tutt'altro, spiazzante! Mezzo sorriso ad evocare Monnalisa, conturbante per fratellanza, e "in combutta" con gli occhi: un paio di biglie blu, mesmerizzanti ma tutte a debito, ossia prive di qualsivoglia minaccia (detto da uno che di regola non si fida).

Sguardo cosmico, di certo a raggi X e forse anche Epsilon, chissà; saturo di risposte cui non saprei associare una domanda. Giusto un assaggio, un effimero squarcio dimensionale al prezzo di un Euro, donato o meno. Ma se mi ricapita, bisogna che quell'Euro me lo procuri e glielo dia: per espiazione, per saldare il conto. E per vedere l'effetto che fa.

Se tuttavia il passato non dovesse ripetersi, evidentemente qualcosa è cambiato. Mi piace pensare che P.d.P. sia stato rivalutato in virtù delle sue qualità — o meglio, in qualità delle sue virtù —, testimoniate in prima persona e già condivise in questa sede. Costanza, perseveranza, resilienza, fino a coerenza, umiltà e cortesia: una ricetta decisamente rara di questi tempi, soprattutto ai piani alti della nostra sedicente quanto inevitabile "società".

Detto ciò, socchiudo parentesi. Intanto che Piatto-di-Pasta va a farsi benedire (con tutto il mio appoggio, se non si fosse capito), prima durante e dopo incalza "Ciondolone".

BeeJay DOC - Ciondolone

Anch'egli reale — fino a prova contraria — e anch'egli qui descritto nel rispetto della privacy (se poi il-resto-del-mondo gliela nega, posso solo indignarmi).
Viaggiatore instancabile, esclusivamente sulle proprie gambe (il monopattino elettrico, che stronca le cartilagini immobilizzando il corpo alla guida, con conseguenze nocive a medio-lungo termine, evidentemente e giustamente non gli garba: a lui come a me, irriducibili mosche bianche in quanto semplici e storici pedoni, in un mondo che ha perso la Ragione e che anzichè prevenire gli handicap li promuove, per poter vendere a caro prezzo prima il danno, poi le cure, incidenti inclusi).

Ciondolone: gli ho affibbiato questo soprannome per via delle braccia, che lascia dondolare visibilmente sui fianchi quasi fossero slegate dal resto del corpo. Non ha problemi fisici, intendiamoci, è solo una particolarità. Anzi, nel suo spedito incedere sembra sapere meglio di noi come vada gestita l'andatura: questioni di aerodinamica, immagino, e chissà che non ci azzecchi!

Passo e postura di certo non basterebbero ad eleggerlo degno di queste pagine, se non in concorrenza a quanto segue.

Gambe veloci a ritmo incredibilmente costante (evidentemente ha un metronomo — microchip? — incorporato, un po' come il bilanciere negli orologi analogici); braccia in speciale sincronia di cui sopra, sguardo fiero a puntare un assente traguardo all'orizzonte. Volto dai tratti regolari, almeno sembra: oscurato ora dalla sfuggevolezza, ora da capelli a mezza lunghezza e barba incolta (ma con decenza), ora e sempre da un cappello: pressoché immancabile, e declinato come scoprirete.

Aspetto lucido, pulito dentro e fuori. Tragicamente tranquillo, più che impassibile, in tutto contrasto ai grugni locali che lo circondano e che viaggiano al rallentatore (già normalmente, ma ancor più rispetto a lui).
Sul piano fisico praticamente Onnipresente, mattina pomeriggio e sera. Anche al di fuori dei miei abituali tempi e percorsi, dal momento che non c'è giorno — mesi, anni — in cui non l'abbia incrociato, ovunque mi fossi mosso. Se anche il Mondo di botto dovesse crollare, fuori dalla mia porta lui ci sarà!

Una spia? Forse! Cinquantenne? Certo li porta bene!

Non l'ho mai(!) visto fermo, e raramente interfacciarsi con gli umani: probabilmente fa parte del suo gioco, mescolarsi tra noi quel tanto che basta per non destare sospetti. Un paio di volte (su un miliardo) l'ho "beccato" a parlare al cellulare: immagino che facesse rapporto ai "superiori". Perché vedete, nel Tempo, mi son fatto un'idea...

Ciondolone proviene da un AltroQuando!

Soluzione che spiegherebbe, ad esempio, il suo abbigliamento estremo: prettamente estivo o totalmente invernale. Tipico di un Futuro che non preveda le mezze stagioni (leggi: "Climate Change"). Cappello da baseball estivo, o di lana invernale, in abbinamento ad un completo per il caldo, o uno per il freddo (che io ricordi sempre gli stessi).
E poi viaggia esclusivamente a piedi, per ore ed ore, su lunghi, lunghissimi percorsi. Evidentemente nel Futuro l'energia per i mezzi di trasporto ce la saremo "sputtanata": altro che Amministratori Delegati e incravattati in monopattino elettrico inguardabili su TikTok... Polpaccio o niente, la poca energia elettrica rimasta sarà destinata alle residue fabbriche/abitazioni privilegiate, con lo spauracchio dell'esaurimento definitivo e la speranza ultima di poter migrare su altri pianeti.

E dunque, Ciondolone messaggero dal Futuro? Inviato qui/ora da noi stessi nel 2099 per redarguirci, e tentare di trasmetterci un modello di Vita Sostenibile?

Se così fosse, mi auguro che ce ne sia almeno uno per ogni città, e vi invito a scoprirlo! Per quanto mi riguarda, più di una volta mi son chiesto se non fosse il caso di "interrogarlo", fermarlo un attimo, e con una scusa scoprire qualcosa in più su di lui, ovvero su di noi... Ma ogni volta il timore di spezzare un bell'incantesimo mi ha frenato.


DOC


#PeopleOnTheStreet

Piatto di Pasta


BeeJay DOC - Piatto di Pasta

"Piatto di Pasta" lo incontro spesso, di regola col bel tempo. Da anni. All'inizio appariva dal nulla, me lo ritrovavo addosso prima che potessi realizzare; ma presto sviluppai una sorta di antenne, uno spontaneo "upgrade" dell'istinto in grado di anticipare — seppur di pochi istanti — i suoi metodici attacchi da uomo invisibile.
Maschio bianco di mezz'età, stirpe locale, aspetto decente in confezione "mimetica". Il classico signor nessuno, ovvero uno ma più centomila. Passo automatico, volto urbano, sguardo magnetico da bambolotto con le pile scariche, ti agganciava:
— «Ce l'hai un Euro per un piatto di pasta?»
Esclusi da subito una tossicodipendenza: segni peculiari non pervenuti; ma problemi d'altra natura evidentemente infierivano. E al suo ritornello, puntualmente e a malincuore, replicavo:
— «No, mi dispiace».
Di conforto, l'idea che la sua caparbia costanza — o costante caparbietà — sarebbe stata soddisfatta da soggetti facoltosi e "chic" che lo avrebbero corrisposto in mia vece, se non altro per incassare punti extra dai compagni d'aperitivo. E il Tempo — che non è denaro, ma di certo è Galantuomo — avallava la mia ipotesi: giorno dopo giorno reggeva, almeno quanto lui.

"Piatto di Pasta", difatti, non demordeva. A differenza dei colleghi accovacciati sulla soglia dei supermercati, non stava mai fermo; circolava instancabilmente e non risparmiava alcuno, sul suo percorso: il Gps interiore che lo animava, impostato sulle prede umane da cui avrebbe tratto il pasto quotidiano, era uno "spietato" mostro d'efficienza. Se un terreno lo aveva già battuto, lo affrontava sistematicamente anche il giorno seguente, senza curarsi di chi — tra gli incontri abituali — lo aveva deluso il giorno prima (chissà che una nuova goccia non riuscisse a scalfire la pietra).
— «Ce l'hai un Euro per un piatto di pasta?»
Pratica senza dubbio discutibile: se facessimo tutti così, dove si andrebbe a finire? Tuttavia operata con un senso del "lavoro" impeccabile, persino encomiabile, agli occhi di un necessario quanto — ahinoi — assente supervisore dotato di adeguati poteri. L'ennesima occasione persa, e dunque: "evviva" le politiche che lasciano fuggire i capaci e volenterosi altrove, e di quelli costretti a restare ne fanno — nel migliore dei casi — "Piatto di Pasta". Prossima evoluzione "Zombie", e spero vi mangino il culo (chi ha orecchie per intendere... rinforzi le mutande).


BeeJay DOC - Zombies

Opportunamente convogliato, il suo innato zelo avrebbe infatti costituito un ottimo terreno fertile per un vaccino all'incompetenza dilagante. Chissà quanti, tra i suoi mille contatti giornalieri, avrebbero potuto offrirgli un lavoro vero, instradando sagacemente le sue lampanti qualità verso prospettive più rosee per tutti. E invece non gli hanno lasciato neanche un briciolo d'elemosina, scansandolo con ribrezzo prima di mettersi — giacca e cravatta — al volante della propria fiammante BMW, magari sponsorizzata dal sudore dei concittadini.
Scusate, mi correggo. Mi dicono dalla regia che l'auto portata ad esempio trasudava sì i sacrifici dei contribuenti, ma non apparteneva di fatto all'individuo in giacca e cravatta: presa in prestito dallo sfaccendato nipote, vandalo cocainomane di notte, di giorno impiegato delle Poste introvabile — se non connesso alla macchinetta del caffè o al suo iPhone Limited Edition — malgrado la raccomandazione dello zio ai piani alti.
Per la cronaca, quella sera lo zio gli farà una sfuriata perché l'auto era rigata su un fianco e vomitata dall'altro; e lui lo terrà buono condividendo parte della coca rimasta. Gli alti dirigenti delle Poste, dal canto loro, non smetteranno di garantirgli uno stato di lavoro impeccabile fino alla pensione, a fronte della raccomandazione di cui sopra, e della costante fornitura di inviti sottobanco ai festini d'élite, spumeggianti di polvere bianca di pregevole qualità.

Ma restiamo sul personaggio, "Piatto di Pasta". Un'arrendevolezza calcolata, in quel suo ritornello, e tutt'altro che scontata. La registrai intanto come forma di rispetto. Al più-o-meno giustificato rifiuto, non insisteva; ti lasciava semplicemente crogiolare nel senso di colpa. Disagio inevitabile, se hai un minimo di sensibilità, a prescindere dall'effettiva disponibilità di spiccioli nelle tue tasche. E si allontanava sulla scia di un ultimo sfuggente sguardo, ma dipendeva da te se eri capace di coglierlo, nell'insita preziosità.
Sguardo amichevole, addirittura compassionevole, a dispetto delle più tristi aspettative: al microscopio nessun rancore o minaccia di rivalsa, men che meno odio. Al contrario, un'alchimia spiazzante per rarità, ma sempreverde se sapremo scongiurarne l'estinzione. Una pozione magica capace di rilanciare l'immarcescibile utopia contemplata in una canzone meravigliosa quanto il Mondo. Che recita, tra l'altro: «I see friends shaking hands saying how do you do / They're really saying I love you». Ovvero: «Vedo amici darsi la mano, "Come va?" / In realtà ti stanno dicendo "I love you"» ("What A Wonderful World", Louis Armstrong 1967).

Messaggio di origine ignota, tramandato non senza difficoltà fin dalla notte dei tempi, e frizzante ancora oggi grazie ad un insospettabile e inconsapevole "Piatto di Pasta". E a chissà quanti altri come lui, sparsi per il pianeta e drammaticamente ignorati: per niente facile fidarsi di uno sguardo compassionevole di questi tempi, figuriamoci farsene carico da distribuire!
Staffetta destinata alle anime predisposte ad afferrarla (prima selezione), e tra queste solo pochi "eletti" riusciranno a passarla a loro volta (esame finale). Ci sto provando. A modo mio e a costo di peccare di superbia, o di fallire nel patetico tentativo di espiare i miei Euro non corrisposti.
E come per incanto tutta la saggezza accumulata si rimette in discussione: va a farsi benedire dietro le quinte e cede il palco a qualcos'altro, qualcosa di nuovo, meritevole di sommessa contemplazione. Ti rendi conto che questa volta non si tratta — almeno non solo — di "chimiche da relazione", labirinto quotidianamente sperimentabile. Quello sguardo ti sta offrendo, con la coda dell'occhio, un'esperienza di livello superiore: uno scorcio di "Amore disinteressato", l'unico davvero in grado di guidarci alla soluzione del labirinto. (Image by Oleg Oprisco)


BeeJay DOC - Piatto di Pasta

«Amore disinteressato? E che mi dici della richiesta dell'Euro per un piatto di pasta?» — Potrebbe obiettare qualcuno, rompendo la mia faticata poesia. Risponderei:
— «Di certo la richiesta di un Euro — peraltro raramente corrisposta — è davvero ben poca cosa, se paragonata alle potenzialità dello spiraglio offerto nello scambio. Ad ogni modo, finché non provi ciò che ho provato io, è inutile discuterne: non ho cercato io il suo "ultimo sguardo", ma l'ho incassato diverse volte, e posso testimoniarlo. Dapprima ignorato — benché uno strano brivido lo percepii già nei primi incontri; quindi approfondito, cautamente interpretato, fino a sentirmi in dovere di condividerne la positività».
«Possibile che si trattasse semplicemente di un omosessuale attratto da te?»
— «Ne sarei lusingato. Tuttavia lo sguardo sfuggente in ultima battuta era elargito indiscriminatamente a tutti, nessun cenno di preferenza riservato al sottoscritto».
«Possibile che questa figura ti facesse solo "da specchio"?»
— «Non più delle centinaia di individui, magari simili, incrociati nel frattempo (mesi, anni); anche l'empatia ha i suoi limiti, e non ho alcuna attrazione verso questa persona in particolare. A differenza degli altri, mi ha "solo" trasmesso, tra le righe, un bel codice da trascrivere».

[Ma tu guarda cosa tocca fare: l'avvocato del diavolo per difendere... la sua controparte]

"Piatto di Pasta". Se l'ho presentato riferendomi al passato, è solo perché l'ultima volta che l'ho visto sotto questa veste è stato un mesetto fa.
— «Ce l'hai un euro per un piatto di pasta?»
— «No, mi dispiace».
Due giorni dopo, anziché ritrovarmelo addosso all'improvviso, per la prima volta in assoluto lo scorgo avanzare da lontano: evento inconsueto già questo, ma non sarebbe stato l'unico di quel pomeriggio fuori norma. Qualcosa era cambiato, e più di quanto potessi immaginare. Man mano che la distanza si abbrevia le immagini si fanno più nitide, ad alimentare interrogativi anziché smaltirli. Un secchio bianco portato per mano, di quelli solitamente utilizzati dagli imbianchini, ed un incedere dritto e impettito, a Gps interiore spento.
«Che gli prende, oggi, a "Piatto di Pasta"? Cosa mai porterà in quel secchio, per la prima volta dopo anni, questo compagno d'avventura/sventura a suo modo svalvolato?». Infine ci incrociamo. Sfido i suoi occhi e scopro che lo sguardo era sempre lo stesso, «da bambolotto con le pile scariche». Ma il consueto «No, mi dispiace» — predisposto d'abitudine in replica al suo ritornello — me lo ricaccia in gola, lasciandomi alle spalle senza rivolgermi parola, e senza folgoranti strascichi di sorta.

[Tradito con un misterioso secchio bianco...]

La scena si ripete per un paio di settimane, finché un giorno lo trovo eccezionalmente fermo sulle gambe, accostato alla ringhiera del canale, e intento a trafficare con qualcosa tra le mani. Sempre in compagnia del suo nuovo inseparabile amico: "Secchio Bianco". E mi ritorna in mente "Cast Away", pellicola squisita di diversi anni fa, con Tom Hanks affiancato da "Wilson": un pallone bianco da basket, impersonificato per sopperire alla triste solitudine che lo teneva prigioniero.
Sbirciando a discreta distanza, scopro che armeggia con una piccola canna da pesca, maneggiata con inesperienza da ragazzino. Con la scusa di godermi il sole, resto in disparte a soddisfare la mia curiosità, per quanto ci avrei scommesso: poco dopo eccolo tirar su il primo pesciolino, e poi subito un altro, e un altro ancora. A riempire il secchio, in premio alla sua mitica determinazione!

Da chiedere un contributo per un piatto di pasta a tentare di procurarselo: a distanza di anni, in qualche modo il "maleficio" si era finalmente spezzato. E in quale modo non saprei spiegarmelo.
Forse stimolato dall'intervento di un familiare, un parente o un amico a cui stava particolarmente a cuore; difficilmente i fantomatici servizi sociali arrivano a tanto. Non escludo che si sia "sbloccato" autonomamente, procurandosi gli strumenti che lo avrebbero innalzato di grado: a volte è solo questione di Tempo. Fatto sta che secchio e canna da pesca erano lì con lui. E lui era lì da solo, a combattere se stesso malgrado sè, e a contrastare lo squallore del Resto del Mondo, questa volta senza manco chiederti un Euro.


DOC



Nota - "Piatto di Pasta" è un personaggio reale, di cui ignoro le generalità. Il nomignolo che qui gli ho affibbiato non vuole essere in alcun modo offensivo, al contrario: lo considero un affettuoso omaggio all'incisività del suo ritornello. Tra l'altro, solo successivamente mi sono reso conto che le iniziali (P.d.P.) sono le stesse incise sul deposito di dollari di Paperon de' Paperoni: perfida ironia della sorte, o coincidenza di buon auspicio?

#PeopleOnTheStreet


Se potessi


Napalm - Bansky 2004

Se potessi avanzare un'ipotesi sarebbe un'iPotessi, giacché se la ponessi sarebbe un iPhong, e se c'è una cosa che odio è la pubblicità occulta, tanto più che - se potessi - sceglierei i Samsung (💥Buy now!💥). Ad ogni modo, se potessi, scarterei iSupphong e iProphong: scadenti sottomarche, sicché neanche ve le sottoPhong.

Se potessi tessere le fila, fonderei un'azienda potessile. Se potessi filare le tessere, i tesserati farebbero la fila. E se potessi filare e fondare insieme, sarei una Sottiletta Kraft.

Se potessi assumere Potassio per integrare i miei tassi, potrei scaricarlo dalle tasse. Se potessi assumerlo nella ditta potessile, a fine anno gli darei un iPhong, la tessera per tessere le fila nella filiera, e un premio in Sottilette Kraft: vedi poi come filerebbe!

Se potessi mettere i puntini sulle "i", toglierei una "vu" alla "doppia vu": mai sentito parlare di "par condicio", dannati capitalisti anglosassofoni? Non vi bastava una lettera singola, eh? Macché, abbondiamo: su internet mettiamoci pure la "sestupla vu"... Se potessi, worrei ricordarwi che ben prima del wostro "vuvuvu", noi abbiamo inwentato il "cuccurucuccu": sei "c", cinque "u", e una "r" al centro che regge tutto. Praticamente un'opera d'arte, ma non per questo abbiamo costretto l'intero pianeta a serwirsene.

Se potessi, ah, se solo potessi! Ma «un temporale quando spiove spaventa e commuove» (???), come dice logicamente una canzone ("Se potessi", dall'album "Splende" di Annalisa, 2015).

Se potessi, rifarei tutto ciò che ho fatto, migliorandom. E se potessi mi toglierei il pelo sullo stomaco, storcendo il naso su ciò che di sbadigliato è stato fatto prima di me. Se potessi, ad esempio, parlare in Parlamento, direi senza peli sulla lingua che Parlabocca - così a naso - sarebbe più corretto. E sarebbe solo la prima tirata d'orecchie.

Se potessi aprire una seduta, chiuderei la sdraio sollevando un vespaio. E all'ordine del giorno porterei il disordine della notte. Se potessi, aprirei bocca ad occhi chiusi. E, se potessi, ai miei "precedessori" contesterei innanzitutto il "predecessore".

Se potessi, mi affretterei per l'appunto a correggere il vocabolario alla voce «Predecessore, sostantivo maschile: chi ha preceduto altri in una carica, un ufficio, un'attività». Niente di più sbagliato... Se potessi, direi che il predecessore è il sacerdote che celebra l'estrema unzione (pre-decesso = prima del decesso). Se potessi, direi quindi che il termine corretto da accostare a quella definizione è "precedessore" (colui che precede, e non "predece"). Poi ci sarebbe il "procedessore" (colui che procede), ma questa - come si suole dire nei migliori calzaturifici - è un'altra storia...


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In apertura: "Napalm", opera di Bansky 2004. «Banksy ritrae tre personaggi: Mickey Mouse e Ronald McDonald che tengono per mano una bambina; lei è Phan Thi Tim Phuc (9 anni), immortalata nel giorno 8 giugno 1972 da Nick Ut nella fotografia vincitrice del premio Pulitzer, durante i bombardamenti in Vietnam in guerra contro gli Stati Uniti. Con questo collage provocatorio, Banksy analizza due diverse visioni della realtà: utilizza l'accostamento di icone differenti - la bambina vittima di una guerra e due simboli del mondo americano – e pone nella stessa immagine due punti di vista della conoscenza di ciò che accade nel mondo. (...) Qual è il significato? Sono Mickey Mouse e Mr. McDonald che stanno aiutando la bambina a fuggire o sono questi che la stanno accompagnando verso la fine?». Da QUI.
Se potessi, penserei a tutt'altro. Fondamentalmente a mantenere salde le redini della mia vita, come tutti, d'altronde. Ma, se potessi, invertirei questo perverso meccanismo: se potessi, direi che non è più tempo di aspettarsi che un Dio (o un qualunque "Premier") lo faccia per noi.


Enjoy Mr. Sundblom!



1886: nasce la Coca-Cola. Tredici anni dopo, il signor Haddon Sundblom (1899-1976, in foto). E poi, negli anni '30, un certo Babbo Natale. "Forze cosmiche" destinate a interagire tra loro per condizionare stili di vita e immaginario collettivo, da allora ad oggi, e probabilmente finché ci sarà un domani. Tra queste, il vero protagonista e catalizzatore degli eventi lo ritroviamo nella figura dell'esimio Mister Sundblom.
Illustratore e pittore statunitense, dopo una formazione in Arte in quel di Chicago, ebbe modo di sperimentarsi nella grafica pubblicitaria fino a padroneggiarla con grande maestria, tanto da essere poi conteso - negli anni, per campagne promozionali di successo - da marchi di spicco quali Packard, Ford, Lincoln, Palmolive, Camay, Goodyear. Ma il marchio a cui più è rimasto legato in vita, e al quale lo si associa principalmente nel ricordo ancora oggi, è per l'appunto Coca-Cola.
Alla sua sagace creatività e al suo indubbio talento si affidarono i dirigenti della bibita gassata più famosa di sempre, quando gli sottoposero l'onere di fornire un'identità visiva accattivante e duratura nel tempo al "testimonial" d'eccezione che avevano scelto per le loro pubblicità invernali: nientemeno che Babbo Natale.
Ebbene sì: la grande barba bianca rassicurante, l'aspetto bonario e cicciottello, l'abito e il cappello d'un rosso acceso irresistibile così come l'accogliente sorriso tra le gote abbinate... il Babbo Natale canonico insomma, quello che abbiamo sempre conosciuto (se non adorato), è nato dai pennelli di Haddon Sundblom. Obiettivo centrato in pieno, direi...






Sundblom collaborò con Coca-Cola per oltre trent'anni, da quel Natale 1931 al 1964, durante i quali seppe solo migliorarsi, per quanto possibile.
Sciolto il bandolo di cui all'apertura, vi invito ora ad un esperimento: dimenticate per un attimo il concetto di pubblicità, o meglio, di "operazione commerciale", finalizzata dunque alla vendita di prodotti e già per questo poco "poetica"; resettate la mente, e abbandonatevi all'ammirazione dei capolavori che seguono (piccola selezione personale proveniente dal web): credo sia questo il modo più efficace perché possiate farvi un'idea dello spessore di questo grande artista, al di là della Coca-Cola e di Babbo Natale (senza offesa per nessuno, s'intende).















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Fantasie di ieri e realtà di oggi



«Il mese scorso è stato presentato il Salutino™ (...) Immaginate un display grande come una porta, collocato a una distanza tale da non rovinare l'estetica cittadina, di fronte al monumento che avete appena visitato; inserendo un Euro nell'apposita fessura, questo grande display, grazie ad una fotocamera, riprodurrà la vostra immagine come se foste davanti ad uno specchio, e quindi con il monumento di sfondo; quando sarete pronti, premendo un pulsante la fotocamera scatterà la foto-ricordo pronta da scaricare sul cellulare (Wi-Fi / Bluetooth) o condividere sui social network. La cosa buffa è che l'immagine resta fissa sul megaschermo a dimensioni reali, finchè un nuovo utente la sostituisce con la propria.
Beh, non ci crederete: i turisti ne vanno matti, ma anche i residenti, che si divertono a immortalarsi nelle pose più bizzarre o ad ammirare l'ultimo scatto rimasto impresso».


In tempi di fake-news, mi affretto a mettervi in guardia: non lasciatevi ingannare... Il brano appena riportato è tratto dal mio racconto di fantasia "Cosa succede in città", pubblicato su questo blog sette anni orsono, ovvero il 13 aprile 2014. Il ripescaggio, nella mia mente prima che ai vostri occhi, è frutto di una spontanea associazione di idee scaturita pochi giorni fa, quando ho appreso la notizia (questa volta reale e verificabile) di due originali installazioni realizzate di recente, in una sorta di gemellaggio tra due città di due diversi stati dell'Unione Europea. Per correttezza, va precisato inoltre che tutte le immagini di questo post si riferiscono alla notizia reale, i cui dettagli mi appresto ad illustrare.


Come vedremo, il congegno immaginato nel mio racconto prevedeva funzioni e scopi un po' differenti, ma confesso che le foto a corredo dell'articolo in cui mi sono imbattuto - di primo acchito - mi hanno lasciato pensare che qualcuno avesse potuto realmente investire su quella vecchia idea... Approfondendo, ho scoperto invece che ad accomunare Vilnius (capitale della Lituania) e Lublino (città della Polonia), è un progetto persino più strambo.
Per stare allo stesso gioco in cui vi ho coinvolto, proverò a ricalcare la notizia su quella inventata sette anni fa e ripresa in apertura, con la differenza che questa volta si tratta di fatti reali.


«Il mese scorso è stato presentato il Portal™, progetto che ha esordito in contemporanea nelle città di Vilnius (Lituania) e Lublino (Polonia). Immaginate un display grande come una porta, dal design circolare con una cornice minimalista tale da non rovinare l'estetica cittadina, posto in una rinomata piazza. Questo grande display, grazie ad una fotocamera, riprodurrà la vostra immagine: se vi trovate a Vilnius, sarete osservati - in tempo reale - dai passanti di Lublino sul display "gemello" collocato nella relativa piazza; gli stessi lontani passanti che - contemporaneamente - appariranno sul display davanti a voi.
Beh, non ci crederete: i turisti ne vanno matti, ma anche i residenti, che si divertono a lasciarsi riprendere nelle pose più bizzarre o ad ammirare quelle altrui».


Alcune testate riportano la notizia in relazione alla pandemia, lasciando intendere che questi "portali" siano stati concepiti nel tentativo di arginare gli effetti dei lockdown sui residenti delle città in questione, ovvero di annullare virtualmente la distanza tra due luoghi fisicamente scollegati a causa delle restrizioni derivate dal Covid-19. In realtà si tratta del risultato di cinque anni di ricerca e design, per un progetto che conta di allargarsi a città sparse in tutto il mondo, a partire dai prossimi due dispositivi che a breve verranno installati a Reykjavik e a Londra; iniziativa dunque nata molto prima della pandemia in atto, e soprattutto animata da finalità sociali ben più ampie e lungimiranti, come si apprende dalle fonti ufficiali.
Per meglio rendere il tutto senza il rischio di sbagliare, segue un breve video di presentazione (ufficiale, in lingua inglese) e il testo tradotto dell'introduzione che campeggia nell'homepage del sito web.


«Attraverso i secoli l'umanità ha creato un sistema devastante che ci suddivide in "noi" e "loro". Circondarci solo di chi è vicino e parla la stessa lingua ci dà conforto e un senso di stabilità. Limita anche la prospettiva del mondo all'interno della nostra ristretta cerchia. Lentamente diventa uno spazio perfetto per risvegliare insicurezze verso chi ne è al di fuori, e una scusa perfetta per non badare al mondo che gli appartiene. Ogni giorno resta meno spazio per il dialogo, l'empatia e la compassione, per sentirsi ed essere uniti nella nostra casa – una minuscola astronave Terra che sta rapidamente decadendo a causa di troppi "loro" e troppo pochi "noi". È così facile credere che ognuno di noi sia un'onda e dimenticare che siamo anche l'oceano. Trascendiamo questo senso di separazione e diventiamo i pionieri dell'unità. Portal ti invita a sperimentare il nostro mondo così com'è - unito ed uno - senza confini, pregiudizi ed etichette del tipo "noi" e "loro". Per la prima volta nella storia i paesi e i loro abitanti hanno un modo per connettersi in tempo reale. Iniziativa senza fini di lucro, Portal è un ponte che conduce "noi" - io, te e loro - alla consapevolezza dell'unità. Portal risveglia la nostra percezione di incontrare e accogliere "loro", qualcuno che solitamente escludiamo, o troviamo diverso, persone e culture che ancora non conosciamo. Portal formerà presto una rete affinché nel prossimo decennio il nostro pianeta non ci appaia più sezionato». [Fonte: https://portalcities.org]


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Se il ceramista è Picasso



L'autore dei capolavori qui raffigurati non ha certo bisogno di presentazioni, tantomeno le opere stesse, innesco per emozioni tutte intime al costo irrisorio della contemplazione. Ma - come un dipinto necessita di una parete d'appoggio e di una giusta luminosità per essere apprezzato appieno - un minimo di contesto si rende d'obbligo anche in questo caso: da qui le note di testo azzardate da occasionale cicerone tra una meraviglia e l'altra.


L'irrefrenabile talento di Pablo Picasso (1881-1973), pittore e scultore spagnolo di fama internazionale, abbracciò l'arte della ceramica nel 1948, quando l'autore - quasi settantenne - aveva già dato tantissimo tra dipinti, sculture e opere grafiche.


Determinante fu la visita ad un'esposizione di ceramiche nel paese di Vallauris, nel sud della Francia, avvenuta due anni prima. In quell'occasione Picasso conobbe Suzanne e Georges Ramié, proprietari di una fabbrica di ceramica locale, che misero la loro esperienza al servizio del suo neonato interesse.


Gettato il seme, dopo una fase di accostamento che vide l'artista produrre diversi disegni preparatori delle future opere tridimensionali, la sua nuova passione trovò modo di concretizzarsi nel laboratorio "Madoura" dei signori Ramié, frequentato poi abitualmente negli anni a venire.


In realtà, l'approccio di Picasso al mondo della ceramica fu meno casuale di quanto potrebbe apparire da questi presupposti. Lo si evince dalla serietà nei preparativi prima e dalla determinazione creativa poi, propri della premeditazione. Ma c'è una considerazione più profonda a supporto di questa tesi...


Talento nel talento, l'abilità di saper (e voler) cogliere la naturale svolta evolutiva del processo creativo che scalciava nella sua pancia, per poi nutrirla amorevolmente alla luce del sole.


Una svolta che potremmo paragonare ad una celebrazione di nozze: nell'arte della ceramica si sposano infatti pittura e scultura, realtà figurative che l'artista - sino ad allora - aveva mirabilmente alimentato.


E ancora, nel contempo, si assiste a una metamorfosi. Poiché, - come una farfalla sacrifica le proprie origini di bruco per poter spiegare le ali - quando Picasso decide di dedicarsi a tempo pieno alla ceramica, sacrifica pittura e scultura accantonandole (o meglio, per l'appunto, consacrandole in un matrimonio).


Coerentemente, il tema della metamorfosi si manifesterà nelle sue opere. Scrive a tal proposito Marilyn McCully, storica inglese e studiosa del "fenomeno" Picasso: «L'antico concetto di metamorfosi è fondamentale per comprendere l'atteggiamento di Picasso nei confronti della ceramica: le sue opere mantengono vive due identità, senza che la prima venga del tutto negata dalla seconda. Così, ad esempio, un piatto diventa anche una testa e una bottiglia può diventare un uccello».


Le opere illustrate in questo post sono tratte dalla collezione privata di Nina Miller, collezione protagonista di un'asta tenutasi a Londra nei giorni scorsi (11/23 Febbraio 2021) e organizzata dalla storica Casa d'aste Sotheby's in collaborazione con l'atelier Madoura di Vallauris. Comprende alcune tra le creazioni più magistrali, inventive e giocose dell'artista; tuttavia è solo una parentesi, dal momento che l'intera produzione di ceramiche a firma Picasso è stimata intorno ai 4.000 pezzi sparsi in musei, gallerie e collezioni private di tutto il mondo.


DOC


• In apertura: Pablo Picasso nell'atelier Madoura a Vallauris, Francia 1947.
• La galleria completa della collezione in oggetto e altre info sono reperibili sul sito web di Sotheby's (in lingua inglese), cliccando QUI.
• Su questo blog, alle ceramiche d'autore è dedicato anche il post: "Grafton Pottery, un tè nel grottesco".

Battiato DOC



«Ho preso i libri, li ho buttati nel cestino,
e ho detto "Vaffanculo".
E così è finita la mia storia»


«Io ho sempre pensato
che gli esseri umani
possono fare tutto. Anche volare»


«Alle sei comincia
a poco a poco ad albeggiare.
Meraviglioso»


«Non volevo insegnanti.
L'avevo scelto...
L'avevo scelto come gara»



DOC

Del Mondo


Ricapitoliamo. Gli esseri viventi appartengono al Regno Animale oppure al Regno Vegetale. Tutto il resto appartiene al Regno Minerale, compresa la paternità dei primi due regni: apparizione e persistenza sulla Terra di animali e piante si devono infatti al suo assortito "menu" di sostanze chimiche, ma soprattutto alla generosa fornitura di "acqua minerale gassata" (già omaggiata in un altro post, vedi QUI).
Sulla tavola così apparecchiata, Regno Animale, Regno Vegetale e Regno Minerale si manifestano nelle più disparate forme, per il sommo orgoglio della genitrice Madre Natura.


ANIMALI: ad esempio, "Lamproptera meges"


Conosciuta come "coda di dragone verde" (green dragontail), la Lamproptera meges è una piccola farfalla con le ali forcute. Diffusa in alcune zone dell'Asia meridionale e del sud-est asiatico, la si può ammirare nei suoi eleganti volteggi durante i mesi più temperati.


VEGETALI: ad esempio, "Erodium cicutarium"


Il seme della Cicutaria (Erodium cicutarium), pianta erbacea ampiamente diffusa nel Mediterraneo, ha delle straordinarie peculiarità. Quando viene lanciato dalla pianta, la sua particolare forma a spirale funziona da molla prima e da aliante poi, così da poter coprire un raggio di caduta più ampio possibile; quando atterra, la spirale gli servirà invece da trivella: sfruttando i cambiamenti di umidità (si arriccia da asciutto e si distende da bagnato), sarà in grado di piantarsi in profondità praticamente da solo.


MINERALI: ad esempio, "The Elements of Life"


Quando la non-vita prende Vita... Vi siete mai chiesti di cosa è fatto il nostro corpo? Il breve video che segue, a cura di "Beauty of Science", risponde alla domanda con un certo stile. Ed è buffo realizzare che a comporre il 99% del corpo umano bastano appena 6 elementi, con l'ossigeno che la fa da padrone per almeno due terzi; il restante 1% è affidato ad altri 5 in minime quantità, per un totale di undici elementi. Ed eccoli a voi, gli elementi alla base della Vita, in tutta la loro magnificenza:



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