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Se potessi


Napalm - Bansky 2004

Se potessi avanzare un'ipotesi sarebbe un'iPotessi, giacché se la ponessi sarebbe un iPhong, e se c'è una cosa che odio è la pubblicità occulta, tanto più che - se potessi - sceglierei i Samsung (💥Buy now!💥). Ad ogni modo, se potessi, scarterei iSupphong e iProphong: scadenti sottomarche, sicché neanche ve le sottoPhong.

Se potessi tessere le fila, fonderei un'azienda potessile. Se potessi filare le tessere, i tesserati farebbero la fila. E se potessi filare e fondare insieme, sarei una Sottiletta Kraft.

Se potessi assumere Potassio per integrare i miei tassi, potrei scaricarlo dalle tasse. Se potessi assumerlo nella ditta potessile, a fine anno gli darei un iPhong, la tessera per tessere le fila nella filiera, e un premio in Sottilette Kraft: vedi poi come filerebbe!

Se potessi mettere i puntini sulle "i", toglierei una "vu" alla "doppia vu": mai sentito parlare di "par condicio", dannati capitalisti anglosassofoni? Non vi bastava una lettera singola, eh? Macché, abbondiamo: su internet mettiamoci pure la "sestupla vu"... Se potessi, worrei ricordarwi che ben prima del wostro "vuvuvu", noi abbiamo inwentato il "cuccurucuccu": sei "c", cinque "u", e una "r" al centro che regge tutto. Praticamente un'opera d'arte, ma non per questo abbiamo costretto l'intero pianeta a serwirsene.

Se potessi, ah, se solo potessi! Ma «un temporale quando spiove spaventa e commuove» (???), come dice logicamente una canzone ("Se potessi", dall'album "Splende" di Annalisa, 2015).

Se potessi, rifarei tutto ciò che ho fatto, migliorandom. E se potessi mi toglierei il pelo sullo stomaco, storcendo il naso su ciò che di sbadigliato è stato fatto prima di me. Se potessi, ad esempio, parlare in Parlamento, direi senza peli sulla lingua che Parlabocca - così a naso - sarebbe più corretto. E sarebbe solo la prima tirata d'orecchie.

Se potessi aprire una seduta, chiuderei la sdraio sollevando un vespaio. E all'ordine del giorno porterei il disordine della notte. Se potessi, aprirei bocca ad occhi chiusi. E, se potessi, ai miei "precedessori" contesterei innanzitutto il "predecessore".

Se potessi, mi affretterei per l'appunto a correggere il vocabolario alla voce «Predecessore, sostantivo maschile: chi ha preceduto altri in una carica, un ufficio, un'attività». Niente di più sbagliato... Se potessi, direi che il predecessore è il sacerdote che celebra l'estrema unzione (pre-decesso = prima del decesso). Se potessi, direi quindi che il termine corretto da accostare a quella definizione è "precedessore" (colui che precede, e non "predece"). Poi ci sarebbe il "procedessore" (colui che procede), ma questa - come si suole dire nei migliori calzaturifici - è un'altra storia...


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In apertura: "Napalm", opera di Bansky 2004. «Banksy ritrae tre personaggi: Mickey Mouse e Ronald McDonald che tengono per mano una bambina; lei è Phan Thi Tim Phuc (9 anni), immortalata nel giorno 8 giugno 1972 da Nick Ut nella fotografia vincitrice del premio Pulitzer, durante i bombardamenti in Vietnam in guerra contro gli Stati Uniti. Con questo collage provocatorio, Banksy analizza due diverse visioni della realtà: utilizza l'accostamento di icone differenti - la bambina vittima di una guerra e due simboli del mondo americano – e pone nella stessa immagine due punti di vista della conoscenza di ciò che accade nel mondo. (...) Qual è il significato? Sono Mickey Mouse e Mr. McDonald che stanno aiutando la bambina a fuggire o sono questi che la stanno accompagnando verso la fine?». Da QUI.
Se potessi, penserei a tutt'altro. Fondamentalmente a mantenere salde le redini della mia vita, come tutti, d'altronde. Ma, se potessi, invertirei questo perverso meccanismo: se potessi, direi che non è più tempo di aspettarsi che un Dio (o un qualunque "Premier") lo faccia per noi.


Enjoy Mr. Sundblom!



1886: nasce la Coca-Cola. Tredici anni dopo, il signor Haddon Sundblom (1899-1976, in foto). E poi, negli anni '30, un certo Babbo Natale. "Forze cosmiche" destinate a interagire tra loro per condizionare stili di vita e immaginario collettivo, da allora ad oggi, e probabilmente finché ci sarà un domani. Tra queste, il vero protagonista e catalizzatore degli eventi lo ritroviamo nella figura dell'esimio Mister Sundblom.
Illustratore e pittore statunitense, dopo una formazione in Arte in quel di Chicago, ebbe modo di sperimentarsi nella grafica pubblicitaria fino a padroneggiarla con grande maestria, tanto da essere poi conteso - negli anni, per campagne promozionali di successo - da marchi di spicco quali Packard, Ford, Lincoln, Palmolive, Camay, Goodyear. Ma il marchio a cui più è rimasto legato in vita, e al quale lo si associa principalmente nel ricordo ancora oggi, è per l'appunto Coca-Cola.
Alla sua sagace creatività e al suo indubbio talento si affidarono i dirigenti della bibita gassata più famosa di sempre, quando gli sottoposero l'onere di fornire un'identità visiva accattivante e duratura nel tempo al "testimonial" d'eccezione che avevano scelto per le loro pubblicità invernali: nientemeno che Babbo Natale.
Ebbene sì: la grande barba bianca rassicurante, l'aspetto bonario e cicciottello, l'abito e il cappello d'un rosso acceso irresistibile così come l'accogliente sorriso tra le gote abbinate... il Babbo Natale canonico insomma, quello che abbiamo sempre conosciuto (se non adorato), è nato dai pennelli di Haddon Sundblom. Obiettivo centrato in pieno, direi...






Sundblom collaborò con Coca-Cola per oltre trent'anni, da quel Natale 1931 al 1964, durante i quali seppe solo migliorarsi, per quanto possibile.
Sciolto il bandolo di cui all'apertura, vi invito ora ad un esperimento: dimenticate per un attimo il concetto di pubblicità, o meglio, di "operazione commerciale", finalizzata dunque alla vendita di prodotti e già per questo poco "poetica"; resettate la mente, e abbandonatevi all'ammirazione dei capolavori che seguono (piccola selezione personale proveniente dal web): credo sia questo il modo più efficace perché possiate farvi un'idea dello spessore di questo grande artista, al di là della Coca-Cola e di Babbo Natale (senza offesa per nessuno, s'intende).















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Fantasie di ieri e realtà di oggi



«Il mese scorso è stato presentato il Salutino™ (...) Immaginate un display grande come una porta, collocato a una distanza tale da non rovinare l'estetica cittadina, di fronte al monumento che avete appena visitato; inserendo un Euro nell'apposita fessura, questo grande display, grazie ad una fotocamera, riprodurrà la vostra immagine come se foste davanti ad uno specchio, e quindi con il monumento di sfondo; quando sarete pronti, premendo un pulsante la fotocamera scatterà la foto-ricordo pronta da scaricare sul cellulare (Wi-Fi / Bluetooth) o condividere sui social network. La cosa buffa è che l'immagine resta fissa sul megaschermo a dimensioni reali, finchè un nuovo utente la sostituisce con la propria.
Beh, non ci crederete: i turisti ne vanno matti, ma anche i residenti, che si divertono a immortalarsi nelle pose più bizzarre o ad ammirare l'ultimo scatto rimasto impresso».


In tempi di fake-news, mi affretto a mettervi in guardia: non lasciatevi ingannare... Il brano appena riportato è tratto dal mio racconto di fantasia "Cosa succede in città", pubblicato su questo blog sette anni orsono, ovvero il 13 aprile 2014. Il ripescaggio, nella mia mente prima che ai vostri occhi, è frutto di una spontanea associazione di idee scaturita pochi giorni fa, quando ho appreso la notizia (questa volta reale e verificabile) di due originali installazioni realizzate di recente, in una sorta di gemellaggio tra due città di due diversi stati dell'Unione Europea. Per correttezza, va precisato inoltre che tutte le immagini di questo post si riferiscono alla notizia reale, i cui dettagli mi appresto ad illustrare.


Come vedremo, il congegno immaginato nel mio racconto prevedeva funzioni e scopi un po' differenti, ma confesso che le foto a corredo dell'articolo in cui mi sono imbattuto - di primo acchito - mi hanno lasciato pensare che qualcuno avesse potuto realmente investire su quella vecchia idea... Approfondendo, ho scoperto invece che ad accomunare Vilnius (capitale della Lituania) e Lublino (città della Polonia), è un progetto persino più strambo.
Per stare allo stesso gioco in cui vi ho coinvolto, proverò a ricalcare la notizia su quella inventata sette anni fa e ripresa in apertura, con la differenza che questa volta si tratta di fatti reali.


«Il mese scorso è stato presentato il Portal™, progetto che ha esordito in contemporanea nelle città di Vilnius (Lituania) e Lublino (Polonia). Immaginate un display grande come una porta, dal design circolare con una cornice minimalista tale da non rovinare l'estetica cittadina, posto in una rinomata piazza. Questo grande display, grazie ad una fotocamera, riprodurrà la vostra immagine: se vi trovate a Vilnius, sarete osservati - in tempo reale - dai passanti di Lublino sul display "gemello" collocato nella relativa piazza; gli stessi lontani passanti che - contemporaneamente - appariranno sul display davanti a voi.
Beh, non ci crederete: i turisti ne vanno matti, ma anche i residenti, che si divertono a lasciarsi riprendere nelle pose più bizzarre o ad ammirare quelle altrui».


Alcune testate riportano la notizia in relazione alla pandemia, lasciando intendere che questi "portali" siano stati concepiti nel tentativo di arginare gli effetti dei lockdown sui residenti delle città in questione, ovvero di annullare virtualmente la distanza tra due luoghi fisicamente scollegati a causa delle restrizioni derivate dal Covid-19. In realtà si tratta del risultato di cinque anni di ricerca e design, per un progetto che conta di allargarsi a città sparse in tutto il mondo, a partire dai prossimi due dispositivi che a breve verranno installati a Reykjavik e a Londra; iniziativa dunque nata molto prima della pandemia in atto, e soprattutto animata da finalità sociali ben più ampie e lungimiranti, come si apprende dalle fonti ufficiali.
Per meglio rendere il tutto senza il rischio di sbagliare, segue un breve video di presentazione (ufficiale, in lingua inglese) e il testo tradotto dell'introduzione che campeggia nell'homepage del sito web.


«Attraverso i secoli l'umanità ha creato un sistema devastante che ci suddivide in "noi" e "loro". Circondarci solo di chi è vicino e parla la stessa lingua ci dà conforto e un senso di stabilità. Limita anche la prospettiva del mondo all'interno della nostra ristretta cerchia. Lentamente diventa uno spazio perfetto per risvegliare insicurezze verso chi ne è al di fuori, e una scusa perfetta per non badare al mondo che gli appartiene. Ogni giorno resta meno spazio per il dialogo, l'empatia e la compassione, per sentirsi ed essere uniti nella nostra casa – una minuscola astronave Terra che sta rapidamente decadendo a causa di troppi "loro" e troppo pochi "noi". È così facile credere che ognuno di noi sia un'onda e dimenticare che siamo anche l'oceano. Trascendiamo questo senso di separazione e diventiamo i pionieri dell'unità. Portal ti invita a sperimentare il nostro mondo così com'è - unito ed uno - senza confini, pregiudizi ed etichette del tipo "noi" e "loro". Per la prima volta nella storia i paesi e i loro abitanti hanno un modo per connettersi in tempo reale. Iniziativa senza fini di lucro, Portal è un ponte che conduce "noi" - io, te e loro - alla consapevolezza dell'unità. Portal risveglia la nostra percezione di incontrare e accogliere "loro", qualcuno che solitamente escludiamo, o troviamo diverso, persone e culture che ancora non conosciamo. Portal formerà presto una rete affinché nel prossimo decennio il nostro pianeta non ci appaia più sezionato». [Fonte: https://portalcities.org]


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Se il ceramista è Picasso



L'autore dei capolavori qui raffigurati non ha certo bisogno di presentazioni, tantomeno le opere stesse, innesco per emozioni tutte intime al costo irrisorio della contemplazione. Ma - come un dipinto necessita di una parete d'appoggio e di una giusta luminosità per essere apprezzato appieno - un minimo di contesto si rende d'obbligo anche in questo caso: da qui le note di testo azzardate da occasionale cicerone tra una meraviglia e l'altra.


L'irrefrenabile talento di Pablo Picasso (1881-1973), pittore e scultore spagnolo di fama internazionale, abbracciò l'arte della ceramica nel 1948, quando l'autore - quasi settantenne - aveva già dato tantissimo tra dipinti, sculture e opere grafiche.


Determinante fu la visita ad un'esposizione di ceramiche nel paese di Vallauris, nel sud della Francia, avvenuta due anni prima. In quell'occasione Picasso conobbe Suzanne e Georges Ramié, proprietari di una fabbrica di ceramica locale, che misero la loro esperienza al servizio del suo neonato interesse.


Gettato il seme, dopo una fase di accostamento che vide l'artista produrre diversi disegni preparatori delle future opere tridimensionali, la sua nuova passione trovò modo di concretizzarsi nel laboratorio "Madoura" dei signori Ramié, frequentato poi abitualmente negli anni a venire.


In realtà, l'approccio di Picasso al mondo della ceramica fu meno casuale di quanto potrebbe apparire da questi presupposti. Lo si evince dalla serietà nei preparativi prima e dalla determinazione creativa poi, propri della premeditazione. Ma c'è una considerazione più profonda a supporto di questa tesi...


Talento nel talento, l'abilità di saper (e voler) cogliere la naturale svolta evolutiva del processo creativo che scalciava nella sua pancia, per poi nutrirla amorevolmente alla luce del sole.


Una svolta che potremmo paragonare ad una celebrazione di nozze: nell'arte della ceramica si sposano infatti pittura e scultura, realtà figurative che l'artista - sino ad allora - aveva mirabilmente alimentato.


E ancora, nel contempo, si assiste a una metamorfosi. Poiché, - come una farfalla sacrifica le proprie origini di bruco per poter spiegare le ali - quando Picasso decide di dedicarsi a tempo pieno alla ceramica, sacrifica pittura e scultura accantonandole (o meglio, per l'appunto, consacrandole in un matrimonio).


Coerentemente, il tema della metamorfosi si manifesterà nelle sue opere. Scrive a tal proposito Marilyn McCully, storica inglese e studiosa del "fenomeno" Picasso: «L'antico concetto di metamorfosi è fondamentale per comprendere l'atteggiamento di Picasso nei confronti della ceramica: le sue opere mantengono vive due identità, senza che la prima venga del tutto negata dalla seconda. Così, ad esempio, un piatto diventa anche una testa e una bottiglia può diventare un uccello».


Le opere illustrate in questo post sono tratte dalla collezione privata di Nina Miller, collezione protagonista di un'asta tenutasi a Londra nei giorni scorsi (11/23 Febbraio 2021) e organizzata dalla storica Casa d'aste Sotheby's in collaborazione con l'atelier Madoura di Vallauris. Comprende alcune tra le creazioni più magistrali, inventive e giocose dell'artista; tuttavia è solo una parentesi, dal momento che l'intera produzione di ceramiche a firma Picasso è stimata intorno ai 4.000 pezzi sparsi in musei, gallerie e collezioni private di tutto il mondo.


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• In apertura: Pablo Picasso nell'atelier Madoura a Vallauris, Francia 1947.
• La galleria completa della collezione in oggetto e altre info sono reperibili sul sito web di Sotheby's (in lingua inglese), cliccando QUI.
• Su questo blog, alle ceramiche d'autore è dedicato anche il post: "Grafton Pottery, un tè nel grottesco".

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