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Visualizzazione dei post da 2018
State buoni, se potete
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A Natale, nel mondo, ci sono tradizioni per le quali il carbone della nostra amata Befana è una chicca, al confronto.
Approfittando della breccia dimensionale favorita dall'immaginario natalizio, adorna di angioletti svolazzanti e campanelle, orrende creature d'altri mondi si uniscono alle celebrazioni terrene per dettare legge sulla condotta degli esseri umani. Entità addette al "lavoro sporco", che per contratto non spetta al pacioso Babbo Natale: così, se durante l'anno i bambini hanno fatto i cattivi, può darsi che debbano vedersela con i Krampus.

Sopra: i Krampus menzionati in un articolo del Semi-weekly Independent (Plymouth), 21 Dicembre 1895.
Sotto: i Krampus raffigurati su biglietti d'auguri natalizi ("krampuskarten") dei primi del '900.

Antica credenza popolare di origine Bavarese, i Krampus sono demoni con fattezze di capra che si affiancano alle cerimonie natalizie in onore di San Nicola di Bari. Al contrario del santo, noto per la sua usanza di portare doni ai bambini (da cui la figura di Santa Claus), i Krampus intervengono per terrorizzare quelli che a loro impietoso giudizio risultano immeritevoli. Il problema è che quando questi spiriti maligni si manifestano, la nefandezza è tale da travolgere chiunque abbia la sfortuna di incrociarli sul cammino: grandi, piccini, buoni e meno buoni.

Dalle illustrazioni agli inizi del secolo scorso, passando per gli anni '50, quando il governo austriaco avviò una campagna per contrastarne la diffusione, il folklore legato ai Krampus resta ben radicato tuttoggi in molti paesi europei: Austria, Bavaria, Croazia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Slovenia, Ungheria, ma anche qui da noi, con prevalenza in Trentino, Friuli e Sud Tirolo.



In molti casi le parate dei Krampus vengono allestite con una cura davvero ammirevole: dalle maschere realizzate nei minimi dettagli, alle movenze degli attori che li animano, alla scenografia che li accompagna. Ne risulta un effetto globale piuttosto realistico... Personalmente, non so se porterei un bambino piccolo ad assistervi: temo che gli causerebbe un bel po' di notti insonni. Ad ogni modo, giudicate voi.
Qualora doveste essere tentati dal compiere una marachella, ora sapete cosa vi aspetta. Per quanto mi riguarda, esorcizzati i mostriciattoli del periodo, non mi resta che augurare a tutti voi un Buon Natale scevro di qualsivoglia aberrazione.
DOC
Don't Worry, "Bee" Happy
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Benvenuti (o ritrovati) in casa DOC, cari turisti del web! Da oggi il vecchio blog "Cervo a Primavera" - ex "Super DOC" - ex "My name is DOC" - ex "Doctor Peter & Mister Hook" si è trasferito qui, sotto una rinnovata veste grafica e un nome nuovo di zecca, o meglio d'ape: "Beejay DOC".
Potrei raccontarvi le origini di questo strano nome. Potrei dirvi, ad esempio, che segue il ragionamento per cui: il Deejay o Disc-Jockey seleziona e miscela i "dischi musicali" (nell'era digitale le tracce audio); il Veejay o Video-Jockey si occupa di mixare i video; di conseguenza, il Beejay o Blog-Jockey (neologismi DOC) proporrà contenuti sotto forma di blog. A dire il vero, per correttezza e coerenza, avrei dovuto adottare il termine più specifico "Post-Jockey"... Il problema è che la sua contrazione corrisponderebbe a "Peejay", in inglese "Pee" significa pipì, e la diuretica non è tra i miei interessi principali se non prettamente fisiologici. A proposito, l'insetto nel logo è giustificato dal fatto che "Bee" in inglese significa per l'appunto "ape". Ma temo che queste cose non interessino a nessuno, sicché sopravvoliamo.
Potrei esortarvi a iscrivervi subito alle notifiche via e-mail per restare aggiornati sui post che seguiranno: basta cliccare su "Follow" qui in alto. Ma non vorrei risultare pedante (fatelo 😊), per cui passiamo oltre.
Potrei allora invitarvi ad esplorare i post meno recenti, magari servendovi delle funzionalità di ricerca contenute nell'apposito tasto "Explore", anch'esso presente nel menu principale, o a stimolare l'intelletto attraverso le citazioni raggiungibili dal tasto "Quotes"... Ma non è mia abitudine condizionare troppo la navigazione degli utenti...
E quindi, niente di tutto ciò. Per festeggiare con voi l'inaugurazione di questo semi-nuovo spazio web, preferisco condividere una filosofia più spensierata, quasi scriteriata, del tipo "libera la mente e sii felice", o "lascia che sia", "Let It Be"... Ancora meglio: "Don't Worry, Be (anzi Bee) Happy"!
Il "guru" che coniò questo mantra liberatorio sulle note di un altrettanto felice motivetto è il cantante jazz Bobby McFerrin: nel video ufficiale del brano (1988) è accompagnato dall'attore comico Bill Irwin e dal più noto - indimenticato - Robin Williams.
Il "guru" che coniò questo mantra liberatorio sulle note di un altrettanto felice motivetto è il cantante jazz Bobby McFerrin: nel video ufficiale del brano (1988) è accompagnato dall'attore comico Bill Irwin e dal più noto - indimenticato - Robin Williams.
Per conferire maggiore solennità all'evento, permettetemi di rincarare la dose con una seconda esibizione del Bobby, questa volta però improvvisata dal vivo. E poi ditemi se quest'uomo non è un metronomo vivente...
E con questo, per ora è tutto.
DOC
Unità cosmica in salsa classica
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«La musica divina si prolunga incessantemente dentro di noi, ma i sensi rumorosi sommergono questa musica delicata, che è diversa e infinitamente superiore a qualsiasi cosa possiamo percepire o ascoltare con i nostri sensi». Mahatma Gandhi
Foto: una scena da "Gandhi - The Musical"
UNO X TRE: SINERGIA
[Le sorelle Chiu: Ai-Yingu, Ai-Szu e Ting-Hsun | 𝄞 Mozart]
UNO X DUE: RELAZIONE
[Glass Duo | 𝄞 Tchaikovsky]
UNO X UNA: PIANOFORZA
[Yuja Wang | 𝄞 Horowitz]
UNO X ZERO: ARMONIA
[video Andy Fillebrown | 𝄞 Liszt]
DOC
Voglio sapere tutto
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Voglio sapere la mia distanza dalle stelle, ma non posso permettermi - carissima Anima Fragile di De Andrè - di assumere un cannibale al giorno affinché me la insegni.
Voglio sapere perché, indipendentemente dalla loro grandezza, le galassie ruotano tutte alla stessa velocità, ovvero al ritmo di un misterioso orologio cosmico.
(La scoperta è di poche settimane fa, QUI il documento integrale dello studio, in lingua inglese, ad opera dell'ICRAR, International Centre for Radio Astronomy Research).
(La scoperta è di poche settimane fa, QUI il documento integrale dello studio, in lingua inglese, ad opera dell'ICRAR, International Centre for Radio Astronomy Research).
Voglio sapere i prossimi numeri che appariranno sul tabellone del lotto. Anche solo una ruota, così, giusto per curiosità.
Voglio sapere perché molti temono il peso degli anni: in fondo basta abbassare il livello di difficoltà nei videogiochi...
Voglio sapere quando smetterò di pormi domande. Ovvero, il giorno e l'ora esatta in cui morirò. Non voglio farmi cogliere impreparato, magari spettinato. Devo recuperare tutti i baci e gli abbracci non dati, insieme a quelli non ricevuti. E poi dire a certe persone ciò che penso di loro. E voglio sapere anche cosa accadrà dopo, per capire se è il caso di affittare un abito elegante, oppure non vestire affatto: chiudere il cerchio, congedarmi allo stesso modo di quando son nato, nudo come mamma mi ha fatto.
Voglio sapere, e non "vorrei". In molti casi ritengo che mi spetti di diritto. E non m'importa se con orgoglio e rigoglio il germoglio dell'erbavoglio cresce solo nel giardino del re: che senso ha festeggiare la ricorrenza del 2 giugno, se poi non legalizzano l'erba?
Voglio sapere, a proposito, perché i giornalisti abusano del condizionale. Ad esempio: «Il cervo sarebbe stato trovato moribondo nel bosco nei pressi di Mesocco, con l'uomo che gli avrebbe dato da mangiare per alcuni giorni. Quando sembrava che si stesse riprendendo, la tragica scoperta: sarebbe infatti stato soppresso dai guardiacaccia, per la delusione di tanti abitanti della zona che già speravano in un lieto fine» (da QUI). Allora: se sai per certo ciò che è accaduto ce lo racconti usando il passato, altrimenti taci: ciò che non si sa per certo non è una notizia, ma solo fuffa mediatica. Sono sicuro che se venisse bandito l'uso del condizionale l'80% delle notizie svanirebbe magicamente, a vantaggio di una sana informazione e di una sensibile riduzione di quel nocivo senso d'incertezza che caratterizza la nostra epoca.
Voglio sapere se "account" significa "caccia" (H + unt = 'Hunt', in inglese 'Caccia', per l'appunto). Ne ho aperti a decine, ma io aborro la caccia: se così fosse, mi toccherà chiuderli e implorare il perdono del regno animale.
Voglio sapere chi ha avuto, ha avuto, ha avuto, chi ha dato, ha dato, ha dato, scurdámmoce 'o ppassato, simmo 'e Napule paisá!
Voglio sapere perché i classici tovagliolini da bar debbano essere così scivolosi: lo zucchero a velo del cornetto, anziché aderirvi, impiastriccia il grugno per poi nevicare sui monti pettorali e/o sopra la pancia (la capra campa).
Voglio sapere perché, quando esco senza aver consultato il meteo, immancabilmente piove. Fantozzi non c'è più, altrimenti l'avrei chiesto a lui.
Voglio «sapere chi ha detto che non vivo più senza te... Matto, quello è proprio matto perché forse non sa che posso averne una per il giorno, una per la sera, però quel matto mi conosce perché ha detto una cosa vera». ("Dieci ragazze per me", Battisti/Mogol, 1969).
Voglio sapere come fanno i moscerini a intrufolarsi senza invito nel mio frigorifero. L'ho già detto e lo ribadisco: io gli insetti non li mangio.
Voglio sapere se esiste un pianeta i cui abitanti non sono maniaci del calcio e/o del football. Mi ci fionderei, sono certo che riuscirei finalmente a socializzare con i maschietti coetanei, persino da alieno ai loro occhi, molto più che con i terrestri.

Ad esempio, prometto la massima condivisione: metterei in rete un Super-Google, riversandovi tutte le risposte. Perché tutti, l'umanità intera vuole e vorrà sapere. O meglio, tutti noi dobbiamo sapere. Da subito. Tutti promossi a tutte le classi di tutte le scuole, meritevolmente parlando.
Tacciatemi pure di eresia, ma non possiamo permettere che l'Intelligenza Artificiale, un giorno (già oggi), possa saperne più di noi. Bisogna che questo miracolo accada, perché quel poco che sappiamo basta solo per capire che all'imminente sottomissione non abbiamo alternative. E quindi, pregate con me: «Voglio sapere!»
DOC
In apertura: un pensatoro, ovvero "El Toro Pensador" ("Il Toro Pensatore", Las Rambla, Barcellona, Spagna), opera di Josep Granyer che fa il verso alla più celebre scultura "Le Penseur" ("Il Pensatore", qui sopra) di Auguste Rodin.
Le soluzioni di Joseph Herscher
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A-ha!
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Trovo che la combinazione suono/immagine (in questo caso musica/video) sia una tra le cose più gradevoli che possiamo regalare e regalarci. Senza scomodare progetti stratosferici (uno per tutti il film "The Wall" del 1982, diretto da Alan Parker e squisitamente interpretato da Bob Geldof, in cui le scene completano ed esaltano i contenuti del doppio album musicale realizzato dai Pink Floyd tre anni prima, di per sè un capolavoro), ci sono tantissime buone produzioni minori che nel tempo hanno lasciato il segno. Pescando quasi a caso nella mia scatola dei ricordi, ad esempio, è venuto fuori il simpatico video che mi appresto a condividere.

Ho recuperato dal web queste riviste del 1985: loro sono gli A-ha, band norvegese che in quell'anno esordì con il singolo "Take on Me", brano synth-pop destinato a restare un piacevole - se non nostalgico - evergreen nei decenni seguenti. Ad accompagnare la canzone un innovativo videoclip (lo ricordo trasmesso per settimane a rotazione su MTV), vincitore nell'anno seguente di ben 6 premi e 2 nomination all'MTV Video Music Awards.
Il video fu realizzato in gran parte con la tecnica del rotoscopio, in cui i singoli fotogrammi venivano completati col disegno a mano libera, creando così una realistica interazione tra figure umane e animazione. Oggi gli stessi effetti si ottengono con pochi click del mouse, ma all'epoca la realizzazione richiese quattro mesi di lavoro per ritoccare manualmente - uno per uno - circa 3.000 fotogrammi. Il risultato? Citando la trama stessa del video, potrei dire che è quantomeno "trascinante".
Il video fu realizzato in gran parte con la tecnica del rotoscopio, in cui i singoli fotogrammi venivano completati col disegno a mano libera, creando così una realistica interazione tra figure umane e animazione. Oggi gli stessi effetti si ottengono con pochi click del mouse, ma all'epoca la realizzazione richiese quattro mesi di lavoro per ritoccare manualmente - uno per uno - circa 3.000 fotogrammi. Il risultato? Citando la trama stessa del video, potrei dire che è quantomeno "trascinante".
Come sempre accade per le canzoni di successo, anche Take on Me è stata oggetto di diverse rivisitazioni da parte di artisti più o meno noti, sia relativamente all'esecuzione del brano musicale, sia nell'accostamento di nuovi videoclip. Ho intercettato ad esempio la recente cover che segue, eseguita da Alexandr Misko, giovane compositore e arrangiatore russo: qui la melodia è ottenuta a due mani con una singola chitarra acustica, abilmente sfruttata anche per le percussioni, mentre le immagini si lasciano apprezzare per l'insolita tecnica e il talento del musicista.
Nella versione strumentale appena presentata mancava la voce... bisogna che rimedi: eccovela nel ruolo di protagonista (è il caso di dirlo) di un breve spot pubblicitario del 2008 per un videogioco della Microsoft:
DOC
Pasqua: uova dipinte o dipinti all'uovo?
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"Ria and the animals" di Miranda Grey, tempera all'uovo.
La tempera all'uovo era una tecnica onnipresente durante il primo Rinascimento italiano, quando era considerata lo standard per i dipinti portatili da cavalletto. Botticelli, Raffaello e Andrew Wyeth sono tutti dipinti con tempera all'uovo. Oggi la tecnica ad asciugatura rapida, che impiega una miscela 50/50 di tuorlo d'uovo e pigmento colorato, è ancora utilizzata da un "coraggioso" gruppetto di professionisti contemporanei, a cui non importa il cattivo odore delle uova in studio.
«Le uova migliori per la tempera all'uovo sono fresche e sane», dice Miranda Gray, pittrice del New Mexico. «Le uova che vorresti maggiormente mangiare sono le uova che funzionano meglio per questa tecnica». Qui sotto il suo "Yoda in Spring" (Yoda in Primavera).

E Robin-Lee Hall, artista di Londra, concorda: lei compra le stesse uova per il suo studio e il suo frigorifero. Qui sotto la sua "Freddie".

Mary Frances Dondelinger è nota per usare centinaia di uova al mese. Rigorosamente freschissime: più le uova sono fresche - afferma - e più sono adatte per dipingere. Qui sotto il suo "Spreading Seeds" (Spargendo Semi).

Vale la pena sborsare qualche soldo in più per uova con tuorli dal colore più intenso. Le galline pastorizzate e le uova biologiche hanno tuorli che sono quasi rossi. Nella tempera all'uovo, i tuorli sono la colla che tiene insieme le particelle di pigmento, e a colore più caldo corrisponde maggiore efficacia. Ne è convinta Rosemary Antel, pittrice di Seattle. Qui sotto il suo "Southeast Alaska".

Mona Diane Conner, artista di Brooklyn, precisa che non ci sono differenze significative riguardo alla provenienza delle uova: si possono acquistare al mercato libero o nei negozi, purché siano fresche. Qui sotto il suo "Nelson Mandela".

Anche Ella Frazer, pittrice scozzese trapiantata in Florida, conferma che non ci sono differenze - per l'impiego nella tempera all'uovo - tra uova di galline cresciute in gabbia e "cage-free eggs", ovvero da galline allevate in libertà. Qui sotto il suo "Gordon".

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Sarà una Primavera meravigliosa
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A giudicare dalla bufera che ha investito Facebook negli ultimi giorni, pare che il post precedente (vedi) si sia rivelato un tantino profetico... E quindi, - mi son detto - se sono in grado di anticipare tempeste in arrivo (Mark Zuckerberg non me ne voglia), forse posso controllare questo superpotere appena acquisito, e magari persino convertirlo in positivo.
Ad esempio, in occasione della neonata Primavera, provare a piantare qualche piccolo seme di buon auspicio. Alcuni un po' bacati, in verità: semenza o scemenza, a voi la sentenza.
Ad esempio, in occasione della neonata Primavera, provare a piantare qualche piccolo seme di buon auspicio. Alcuni un po' bacati, in verità: semenza o scemenza, a voi la sentenza.

Premessa: per quanto ne sappiamo, le leggi della fisica non ci consentono di tornare indietro nel tempo. «E' come se ci fosse un'Agenzia per il Controllo Cronologico che impedisce la comparsa di curve temporali chiuse, così da rendere l'universo un luogo sicuro per gli storici». (Stephen Hawking, "Congettura di protezione cronologica" 1992)

«Futuro. È il tempo in cui i nostri affari prosperano, i nostri amici sono sinceri e la nostra felicità è assicurata». (Ambrose Bierce)

«L'unica soluzione ai problemi del mondo è il Paradismo: un comunismo senza proletariato e senza banche o denaro dove tutti condividono i benefici della scienza, della tecnologia e della prosperità rispettando e apprezzando il pianeta e l'ambiente. (...) Un sistema paradista è già in atto sul pianeta degli Elohim, e rappresenta l'unica soluzione possibile per l'Umanità». (Raël, al secolo Claude Vorilhon)

«I peccatori saranno perdonati. I corrotti no (...). Apritevi all'amore. Non scaricate sul popolo pesi che voi non sfiorate neppure con un dito». (Papa Francesco ai parlamentari, primavera 2014)

«Ma la virtù vera degli esseri umani è quella di saper vivere insieme come degli uguali; di non pretendere altro per sé, tranne ciò che concedono con pari liberalità a tutti gli altri; di considerare qualsiasi posizione di comando come una necessità eccezionale, e in ogni caso temporanea; e di preferire, ogni qual volta sia possibile, un tipo di associazione di individui che consenta alternanza e reciprocità nel guidare ed essere guidati». (John Stuart Mill)

«E senza grandi disturbi qualcuno sparirà / Saranno forse i troppi furbi / E i cretini di ogni età». (Lucio Dalla)

E infine "Splendi": «Splendi / Come se / Un raggio di sole / Brillasse sul tuo volto / Illuminato». (Maria D'Asaro)

DOC
Immagini - composizioni floreali (mandala) di Kathy Klein
Sipario - "Lapsus" (Oh, My God!) di Juan Pablo Zaramella:
Utenti di Facebook? Nel reparto frigo. #ChiamaleBazzecole #5
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Accedi a Facebook, navighi tra i post degli Amici e degli "amici", commenti, metti i like, dici la tua, pubblichi le foto. Poi ti stufi e spegni tutto. Ma i tuoi contatti possono continuare a vedere ciò che hai postato, persino un messaggio o una foto che hai inserito dieci anni fa. Come si rende possibile questo prodigioso artificio? Da utenti, abbiamo la percezione che nelle nostre "commedie virtuali" ci siamo solo noi (attori) e i dispositivi che utilizziamo (palcoscenico con diretta in mondovisione); ma ci sfuggono le altre entità che vi prendono parte dietro le quinte. Avete presente quello slogan che recita: «Persone oltre le cose»? Bene, qui avviene l'esatto contrario. I pochi istanti necessari affinché l'invio di un messaggio raggiunga il mondo intero sono gestiti da un'efficacissima regia di tecnologie che provvede ad acquisire i dati, e ancor prima di riversarli in rete, immagazzinarli all'interno di elaboratori, i cosiddetti server. Già, perché ciò che mettiamo su Facebook non è "usa e getta" come una telefonata, ma viene conservato: con estrema cura, a tempo indeterminato e in un luogo ben preciso.
Si dà il caso che al gelo della Lapponia non ci sia solo Babbo Natale con le sue renne, ma ci siamo anche noi, gli oltre due miliardi di iscritti a Facebook. E' qui che sono collezionati i nostri profili, molto più "grassi" di informazioni rispetto a quelli pubblici che abbiamo condiviso; ma prima di approfondire questo aspetto, vorrei mostrarvi più da vicino dove ci troviamo.
Sotto il Circolo polare artico, nel nord Europa, c'è la Svezia, e a nord di questa c'è una città di nome Luleå, che conta appena 46.000 abitanti in carne ed ossa, a cui si aggiunge il popolo dei nostri cloni digitali. Qui, nel punto indicato dalla mappa, sorge il Data Center di Facebook.
Sotto il Circolo polare artico, nel nord Europa, c'è la Svezia, e a nord di questa c'è una città di nome Luleå, che conta appena 46.000 abitanti in carne ed ossa, a cui si aggiunge il popolo dei nostri cloni digitali. Qui, nel punto indicato dalla mappa, sorge il Data Center di Facebook.



Quelle che vedete qui sopra sono delle grosse ventole che convogliano il gelo dall'esterno all'interno della struttura, in modo da raffreddare i server (iperattivi 24 ore), e il calore di scarto viene utilizzato per climatizzare gli uffici del personale. Il tutto è recintato, sorvegliato a vista giorno e notte da guardie e telecamere di sicurezza, e vi possono accedere esclusivamente gli addetti alla manutenzione e pochi altri eletti. Se dovesse perdersi anche un piccolo componente, gli operatori hanno un'ora di tempo per ritrovarlo, dopodiché le porte vengono chiuse e nessuno può uscire dall'edificio finché la cosa non si risolve. Il tesoro custodito in questa fredda cassaforte, come dicevo, siamo noi, ovvero le informazioni su di noi memorizzate e gestite dagli elaboratori, pronte a fruttare una pioggia di denaro.



Ma come fanno ad acquisire un valore commerciale le informazioni che condividiamo gratuitamente, e che comunque nessuno pagherebbe ai singoli utenti? Intanto va detto che Facebook indaga su di noi anche mentre navighiamo su altri siti: i suoi "agenti 007" altro non sono che i famosi bottoni "Mi piace" e "Condividi", ormai presenti ovunque, che tengono traccia delle nostre interazioni. E se mettiamo una foto altrove, ad esempio su Instagram, ci pensano i software di riconoscimento a individuarne una somigliante tra quelle che abbiamo postato su Facebook, così da poter associare ed incamerare anche i dati provenienti dal nostro profilo Instagram. Queste ed altre diavolerie, sempre più sofisticate, monitorano incessantemente il nostro ambiente virtuale.
Quanto ai ricavi, il lavoro di Facebook - che entro i prossimi due anni si appresta ad inaugurare altri due Data Center come quello appena illustrato, uno in Irlanda e un altro in Danimarca - è assimilabile a quello di una società petrolifera. Le informazioni fornite dagli utenti equivalgono al petrolio grezzo, di scarso valore: Facebook lo estrae, lo raccoglie, lo lavora - ovvero organizza un'infinità di dati in una preziosa fonte di statistiche sempre più attendibili - e lo rivende a caro prezzo. Per le aziende che comprano i nostri pensieri, i nostri interessi, i nostri desideri, le immagini dei nostri corpi, i nostri sogni e la nostra solitudine, la "vita made in Facebook" rappresenta un vero affare. Oltre a sapere ciò di cui abbiamo bisogno, gli acquirenti possono - se non indovinare - intuire ciò di cui avremmo e di cui avremo bisogno; e saranno pronti a spingere il loro mercato in quella direzione: sia con nuovi prodotti in linea con il nostro modo di pensare ed agire, sia attraverso campagne pubblicitarie capaci di mirare a colpo sicuro e senza pietà ai punti deboli della nostra psicologia.
Se consideriamo che altri social network e "timonieri" del web adottano strategie analoghe (qui il dito è puntato su Facebook solo perché al momento - e da anni - è il più diffuso di tutti, rinforzato dal suo Whatsapp), lo scenario si fa preoccupante. Non sempre si sa di preciso chi acquista i pacchetti di dati e l'uso che poi ne viene fatto; e non tutti i gestori sono dotati di alti standard di sicurezza, per cui questi dati vengono spesso rubati, sottraendo fisicamente le memorie ottiche (hard-disk), o più frequentemente attraverso attacchi informatici (hacker). Nelle mani sbagliate, le informazioni possono essere divulgate e strumentalizzate, violando le già imperfette leggi in materia di privacy e manipolazione che li proteggono; oppure possono influenzare gli esiti di una sessione elettorale; o persino dare vantaggi ad un paese in conflitto sui suoi avversari.
E a rincarare la dose ci pensa ancora una volta la tecnologia. Le macchine ormai imparano da sole, e se gli affidiamo i nostri comportamenti sono già in grado di trarne e rivelare le probabili conseguenze: una sorta di moderna sfera di cristallo, appena raggiunta - dopo secoli di speculazioni su tarocchi, riti esoterici e influssi astrali - percorrendo proprio il sentiero opposto, ovvero la più esatta delle scienze. Ma come ben sappiamo, le grandi conquiste della scienza sono spesso soggette a ritorcersi contro di noi.
E a rincarare la dose ci pensa ancora una volta la tecnologia. Le macchine ormai imparano da sole, e se gli affidiamo i nostri comportamenti sono già in grado di trarne e rivelare le probabili conseguenze: una sorta di moderna sfera di cristallo, appena raggiunta - dopo secoli di speculazioni su tarocchi, riti esoterici e influssi astrali - percorrendo proprio il sentiero opposto, ovvero la più esatta delle scienze. Ma come ben sappiamo, le grandi conquiste della scienza sono spesso soggette a ritorcersi contro di noi.

Così, mentre inorridiamo alla vista degli allevamenti intensivi di animali (nella foto un singolo stabilimento in Cina: 120 milioni di polli all'anno, 200.000 al giorno nei feriali e fino a 400.000 nei prefestivi), c'è chi da tempo affila i suoi coltelli per "spennare" anche noi e venderci come surgelati al banco frigo.
Come si è arrivati a questo stato di cose? Quanta responsabilità ricade su Facebook, e quanta sugli utenti che si iscrivono? La questione non è molto diversa dalla circolazione delle armi negli Stati Uniti. Se un americano al mattino si alza di malumore, esce col suo fucile e fa una strage per la strada o in una scuola, indubbiamente è il diretto responsabile delle proprie azioni, e in quanto tale viene giustamente giudicato colpevole. Ma come giudichereste voi, e come viene effettivamente giudicato chi, prima di lui, gli ha permesso di detenere quell'arma e portarla con sè liberamente? Badate bene, qui stiamo parlando di una nazione e di un governo limitati da confini geografici; chi possiede il controllo della rete, invece, può espandere la sua influenza ben oltre, ovvero condizionare la vita di chiunque sia in grado di connettersi, in ogni angolo del pianeta.
In conclusione, una domanda sorge spontanea: esiste un modo per sfuggire a questo processo di "congelamento e scongelamento" a cui siamo sottoposti? Certo che sì. Semplicemente, basta non iscriversi a Facebook (o ad altro). Nessuno ci obbliga a sottoscrivere il contratto proposto al momento dell'iscrizione, che dà adito a Facebook di sfruttare le nostre vite. A proposito di contratto: va detto che la cosiddetta "trasparenza", ormai, non è meno devastante dell'illegalità. La strategia è tale per cui - anziché nascondere le clausole - le aziende ne mettono in campo così tante da ottenere come effetto collaterale la nausea dell'utente, spingendolo a iscriversi senza nemmeno dargli un'occhiata, e accollandogli così gran parte delle responsabilità a sua effettiva insaputa. Se all'atto dell'iscrizione a Facebook, dovessi prima cliccare e leggere per intero le prime tre voci che trovo nella home page - Condizioni - Normativa sui dati - Normativa sull'uso dei cookie - già di per sè corpose, e poi passare in esame tutte le sottovoci che si annidano all'interno di ciascuna di esse, addentrandomi e perdendomi in un ipertesto degno di Wikipedia, farei prima a conseguire quelle due o tre lauree utili a comprenderne appieno i contenuti. Se davvero vogliamo parlare di trasparenza (senza virgolette), ecco ad esempio come dovrebbe essere modificata l'home page di Facebook:

E quindi... basta! Decido di non iscrivermi più a Facebook, e se ero già iscritto mi cancello! Voglio vivere e morire con la coscienza a posto, io, e non "prostituirmi", per giunta gratis, anzi peggio: per conto terzi! Poco importa se non potrò comunicare diffusamente con i miei cari, vicini e lontani; se non potrò condividere con il mondo i miei stati d'animo e le sfaccettature della mia personalità; se non potrò collaborare all'interno dei gruppi; se non potrò contribuire fervidamente alla vita politica della mia città e dell'intero paese; se le persone che frequento mi declasseranno a "non raggiungibile"; se in malaugurati casi di emergenza, miei o altrui, potrò comunicare con un numero nettamente inferiore di persone; se non potrò collaborare con i colleghi di lavoro, o se avrò una marcia in meno per trovarlo, un lavoro; se non potrò dare risalto alle mie attitudini e alle mie capacità alla pari degli iscritti; se non potrò partecipare in diretta a gioie e dolori dei miei figli, fratelli, genitori lontani da me; se... Un momento, qui qualcosa non torna: ho elencato meno di un terzo delle implicazioni che ha Facebook nella mia vita e nella società globale, e il piatto della bilancia ha già toccato il fondo.
Carissimo - a giudicare dagli utili - Mark Zuckerberg, fondatore e amministratore di Facebook, e ad oggi quinta persona più ricca del mondo; scusa se ti scomodo per la seconda volta nel giro di pochi mesi, e lungi da me l'idea di farne una faccenda personale.
A proposito, temo di capitare nel momento meno adatto: ho trovato davvero di pessimo gusto la scelta della rivista statunitense "Wired", di dipingerti sulla sua prossima copertina col volto pestato di botte (vedi anteprima a lato), seppur metaforicamente e in relazione a malcontenti che in parte condivido. Come se in America non avessero già abbastanza problemi con la violenza, al punto di dover ricorrere ad espedienti grafici per promuoverla perché non si può farne a meno...
Tornando ai motivi per cui ti disturbo, sarei curioso di conoscere il tuo punto di vista sulle considerazioni di cui sopra. Perché vedi, a conti fatti, quella che tu proponi come innocente sottoscrizione ad un contratto, a me risuona tristemente come l'imposizione di un subdolo, sleale ed ignobile ricatto.

E quindi... basta! Decido di non iscrivermi più a Facebook, e se ero già iscritto mi cancello! Voglio vivere e morire con la coscienza a posto, io, e non "prostituirmi", per giunta gratis, anzi peggio: per conto terzi! Poco importa se non potrò comunicare diffusamente con i miei cari, vicini e lontani; se non potrò condividere con il mondo i miei stati d'animo e le sfaccettature della mia personalità; se non potrò collaborare all'interno dei gruppi; se non potrò contribuire fervidamente alla vita politica della mia città e dell'intero paese; se le persone che frequento mi declasseranno a "non raggiungibile"; se in malaugurati casi di emergenza, miei o altrui, potrò comunicare con un numero nettamente inferiore di persone; se non potrò collaborare con i colleghi di lavoro, o se avrò una marcia in meno per trovarlo, un lavoro; se non potrò dare risalto alle mie attitudini e alle mie capacità alla pari degli iscritti; se non potrò partecipare in diretta a gioie e dolori dei miei figli, fratelli, genitori lontani da me; se... Un momento, qui qualcosa non torna: ho elencato meno di un terzo delle implicazioni che ha Facebook nella mia vita e nella società globale, e il piatto della bilancia ha già toccato il fondo.

A proposito, temo di capitare nel momento meno adatto: ho trovato davvero di pessimo gusto la scelta della rivista statunitense "Wired", di dipingerti sulla sua prossima copertina col volto pestato di botte (vedi anteprima a lato), seppur metaforicamente e in relazione a malcontenti che in parte condivido. Come se in America non avessero già abbastanza problemi con la violenza, al punto di dover ricorrere ad espedienti grafici per promuoverla perché non si può farne a meno...
Tornando ai motivi per cui ti disturbo, sarei curioso di conoscere il tuo punto di vista sulle considerazioni di cui sopra. Perché vedi, a conti fatti, quella che tu proponi come innocente sottoscrizione ad un contratto, a me risuona tristemente come l'imposizione di un subdolo, sleale ed ignobile ricatto.
DOC
#ChiamaleBazzecole: rubrica di attualità volta a sensibilizzare l'eventuale pubblico su questioni troppo spesso nascoste sotto i tappeti da chi poi pretende che camminiamo con le pattine, al fine di evitare il "tutti giù per terra".
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