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Visualizzazione dei post da gennaio, 2011

Trentuno Gennaio Duemilaundici



In numeri, 31/01/2011. Cos'ha di speciale questa data? Vediamo. Oggi si chiude il 1° mese del 1° anno del 2° decennio del 1° secolo del 3° millennio se consideriamo zero la nascita di Cristo. Non soddisfatto, cerco info su Wikipedia e prendo nota: tra 334 giorni si chiude l'anno (quanti capelli bianchi in più avrò non me lo sanno dire); nel 1776 Alessandro Volta scopre il gas metano (finalmente so con chi potrò prendermela per le bollette salate); nel 1930 la "3M" mette sul mercato lo "scotch" (non male, ma si incolla un po' al palato); nel 1963 il Friuli Venezia Giulia diventa regione autonoma a statuto speciale (quanti anni ha Bossi?); nel 1990 apre il primo McDonald's di Mosca (altro che nucleare, gli americani hanno capito che il nemico si sconfigge dall'interno).
Ora, a meno che tu non mi dica che è il tuo compleanno, sinceramente non mi sentirei di festeggiare alcunchè. Uso il condizionale perché, dopo aver cestinato nella differenziata quanto sopra e guardando questo lunedì da un'altra prospettiva, mi accorgo che ciò che cercavo lo stavo già assaporando. Intanto c'è da considerare che ciò che sto scrivendo, qualcuno lo sta leggendo: tu. Chiunque tu sia, sei entrata/o a far parte della mia vita (forse non lo saprò mai) ed io della tua, probabilmente solo per pochi minuti, comunque sufficienti a cambiare un destino. Magari leggendo hai dimenticato di tirar via la pasta dal fornello, mi maledirai per le tagliatelle scotte, il tuo partner te le rinfaccerà e il tuo matrimonio andrà a rotoli anche per questo motivo.

Un destino infiniti destini: nel matrimonio sono coinvolte almeno due persone, se poi hanno figli capisci bene come ciò si rifletterà anche sulla loro vita e quindi su quella dei tuoi nipoti, nonchè su quella dei loro figli, senza contare il contorno dei familiari. Forse scrivendo queste parole sto compromettendo le generazioni a venire, sicuramente sto timonando il futuro dell'intera umanità, di cui peraltro ignoro il porto verso cui è diretto. Ma questo lunedì non vuole smettere di sorprendermi, e io voglio divertirmi a rendertene partecipe nell'auspicio che anzichè scuocere le tagliatelle, il tuo attardarti a leggere ti favorisca un destino migliore di quello previsto: magari alla fine dell'articolo ti muoverai verso un incontro fatale, una svolta positiva, un colpo di fulmine di cui poi mi ringrazierai perchè se ti fossi mossa/o prima, non ti avrebbe folgorata/o.
Non sono Dio grazie a Dio, ma questo potere ce l'ho, e allora mi rendo conto che Dio è dentro di me. E dentro di te. In qualche maniera siamo tutti profondamente collegati in un incredibile intreccio, e non c'è azione che compiamo che non sia determinante per l'avvenire. Se andassi avanti a ragionarci sopra forse impazzirei... Se tu pensi di uscirne indenne, o se non temi la follia, provarci pure; io intanto ho da snocciolare un altro pensiero.

Del presente in cui scrivo (o se preferisci tu leggi) fermerò un secondo. In quel secondo un gabbiano afferra con il becco un pesce sul pelo dell'acqua, contemporaneamente un'ape punge e muore, un furfante viene beccato con le mani nel sacco, il vagito di un ex-feto piange alla vita, un cinese timbra il cartellino, tonda goccia di rugiada cade sopra una cicala, Piero mette su un Cd, una donna scopre di essere lesbica, un ubriaco ammazza qualcuno prima di se stesso, un bambino entra all'asilo, un Hard Disk smette di funzionare, un fiocco di neve ingrossa una slavina che vien giù senza far morti, un vecchio fa il suo ultimo tiro alla pipa, un dittatore dichiara guerra, una gallina fa l'uovo, un cellulare squilla, uno spermatozoo su migliaia ce la fa, una foto subacquea cattura un ippocampo, un asteroide scheggia Venere, Maria esce di casa, un pinguino s'addormenta, un ragazzo si sveglia dal coma, una scadenza scade, un'idea s'accende, un innocente viene giustiziato, un peperone mangiato, un bacio insperato, un pelo rasato, un calzino spaiato, un rossetto seccato, fuochi d'artificio, mele mature, dentifricio, raggio di sole, asfalto, coccinelle, saliva, valigia, nozze, cozze...

Quanto dura un secondo di un lunedì? Quante cose accadono in questo infinitesimale archetto di tempo? Ho detto che avrei fermato un secondo, ma è solo una metafora: come catturare un presente che mi investe dal futuro invecchiandomi inesorabilmente? Domenica guardavo nel futuro questo lunedì, che martedì archivierà nel passato. Sarà così per l'eternità, ma per quel che ci riguarda durerà solo fino alla fine del mondo, ovvero la fine dell'umanità, quando tutte le donne e gli uomini saranno morti, e ancora meno per coloro che moriranno nel frattempo: per lei o lui il mondo sarà già finito.
Tornando a quel secondo, per concludere, aggiungerei che se mi proponessi di sfruttarlo meglio, se m'infilassi due calzini anzichè uno solo, se riuscissi a fare tutto più in fretta, la lunghezza della mia giornata, della mia vita, si dilaterebbe, potrebbe diventare doppia o addirittura tripla. Ipotetici 100 anni di vita varrebbero come 300. Al contrario, nel caso della flemma di un pigro come il sottoscritto, che in un secondo infila appena l'alluce in quel calzino, la vita si accorcia sensibilmente (100 anni = 30? Forse è per questo motivo che qualcuno mi giudica immaturo e infantile). In quest'ottica, città come Bari o Pisa sono favorite nello sviluppo rispetto, ad esempio, ad Alessandria. Gli abitanti di quest'ultima impiegano infatti più del doppio di tempo ogni qualvolta devono riportare il nome del loro Comune di appartenenza su documenti, quotidiani, targhe, insegne, ecc.

Detto ciò ti lascio alle tue riflessioni, credo sia meglio che vada a indossare quei calzini: mi seccherebbe giungere scalzo alla mia fine del mondo. Se solo mi ricordassi in quale angolo di spaziotempo li ho riposti...

DOC


«Se non mi chiedono cosa sia il tempo lo so,
ma se me lo chiedono non lo so».

S. Agostino

Confettura di favole



C’era una volta...
- Un re! - diranno subito i miei piccoli lettori. No, ragazzi, avete sbagliato. C’era una volta un pezzo di legno. Non era un legno di lusso, ma un semplice pezzo da catasta, di quelli che d’inverno si mettono nelle stufe e nei caminetti per accendere il fuoco e per riscaldare le stanze.
Non so come andasse, ma il fatto gli è che un bel giorno questo pezzo di legno capitò nella bottega di un vecchio falegname, il quale aveva nome mastr’Antonio, se non che tutti lo chiamavano maestro Ciliegia, per via della punta del suo naso, che era sempre lustra e paonazza, come una ciliegia matura. Appena maestro Ciliegia ebbe visto quel pezzo di legno, si rallegrò tutto e dandosi una fregatina di mani per la contentezza, borbottò a mezza voce: "Pensa, moglie mia" sospirava l'uomo "come la casa sarebbe più allegra se ci tenesse compagnia vicino al fuoco un bel bambino! "Ahimè! Marito mio" rispose la moglie fermando il suo arcolaio "anche io ne sarei molto felice. Anche se fosse molto piccolo, guarda, non più grande del mio pollice, l'accoglierei con gioia." Qualche mese dopo, con loro grande felicità, nacque un figlio. Era ben fatto ed aveva una bella voce, ma di taglia piccolissima, non più grande dell'unghia di suo padre. Il ragazzo non divenne mai grande. Aveva un'intelligenza viva, era anche molto abile, riusciva in tutto quello che si attingeva a fare.
Dunque, Peter Pan andò via per la finestra, che per avventura era aperta. Stando sul davanzale egli potè vedere in gran lontananza degli alberi, che appartenevano senza dubbio ai giardini di Kensington, e nel momento che egli li vide, dimenticò completamente ch’egli era ormai un piccolo bimbo in camicia da notte e volò via diritto sopra le case verso i giardini.
Appena si mosse verso il bosco, ecco che subito tutti gli alberi d'alto fusto e i pruneti e i roveti si tirarono da parte, da se stessi, per lasciarlo passare. Egli s'incamminò verso il castello, che era in fondo a un viale, ed entrò dentro; e la cosa che gli fece un po' di stupore, fu quella di vedere che nessuno delle sue genti aveva potuto seguirlo, perché gli alberi, appena passato lui, erano tornati a ravvicinarsi. Il gatto s'ingegnò di sapere chi era quest'uomo, e che cosa sapesse fare: e domandò di potergli parlare, dicendo che gli sarebbe parso sconvenienza passare così accosto al suo castello senza rendergli omaggio e riverenza.
"È Ghignagatto: potrò finalmente parlare con qualcuno".
- Come va il giuoco? - disse il Gatto, appena ebbe tanto di bocca da poter parlare.
«Ickpling Gloffthrobh Squatserum blhioh Mlashnalt Zwin tnodbalkguffh Slhiophad Qurblubh Asth!». Frase di prammatica che deve rivolgere al re chiunque venga ammesso alla sua presenza, e che si traduce: "Possa la vostra celeste maestà sopravvivere di dodici lune e mezzo al sole!"
Continuò il suo cammino e si rifugiò, esausto, in una palude abitata da anatre selvatiche che accettarono di lasciargli un posticino fra le canne.
La mattina dopo, quando il sole li svegliò, arrivò una carrozza con otto cavalli bianchi, che avevano pennacchi bianchi sul capo e i finimenti d'oro; e dietro c'era il servo del giovane re, il fedele Enrico.
Quando giunsero al gran fiume, lo attraversarono in barca, davanti alle tre spade taglienti salirono sulla ruota d'aratro, e sul monte di vetro usarono i tre spilli. Così giunsero finalmente alla vecchia casetta; ma, come vi entrarono, si mutò in un gran castello: i rospi, liberati dall'incantesimo, erano principi e principesse, ed erano in grande festa. Si celebrarono le nozze, ed essi rimasero nel castello, che era molto più grande di quello della sposa. Ma poiché il vecchio re si doleva di dover vivere solo, andarono a prenderlo, e così ebbero due regni e vissero insieme felici.

THE END

Ingredienti:

"Pinocchio" di Carlo Lorenzini (alias Carlo Collodi)
"Pollicino" dei fratelli Grimm
"Peter Pan nei giardini di Kensington" di James Mattew Barrie
"La bella addormentata nel bosco" di Charles Perrault
"Il gatto con gli stivali" di Charles Perrault
"Alice nel paese delle meraviglie" di Charles Lutwidge Dodgson
"I viaggi di Gulliver" di Jonathan Swift
"Il brutto anatroccolo" di Hans Christian Andersen
"Il principe Ranocchio" dei fratelli Grimm
"Il forno" dei fratelli Grimm

Dolciaria DOC

Due articoli e un avverbio per non dimenticare


Fotografia fatta da un militare americano entro il cortile del lager vicino Nordhausen (campo di concentramento della Gestapo) pieno di cadaveri (12 aprile 1945). Rows of bodies of dead inmates fill the yard of Lager Nordhausen, a Gestapo concentration camp.

Parlamento Italiano, Legge 20 luglio 2000, n. 211

Istituzione del "Giorno della Memoria" in ricordo dello sterminio e delle persecuzioni del popolo ebraico e dei deportati militari e politici italiani nei campi nazisti pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 177 del 31 luglio 2000.

Art. 1.

La Repubblica italiana riconosce il giorno 27 gennaio, data dell'abbattimento dei cancelli di Auschwitz, "Giorno della Memoria", al fine di ricordare la Shoah (sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subìto la deportazione, la prigionia, la morte, nonchè coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati.

Art. 2.

In occasione del "Giorno della Memoria" di cui all'articolo 1, sono organizzati cerimonie, iniziative, incontri e momenti comuni di narrazione dei fatti e di riflessione, in modo particolare nelle scuole di ogni ordine e grado, su quanto è accaduto al popolo ebraico e ai deportati militari e politici italiani nei campi nazisti in modo da conservare nel futuro dell'Italia la memoria di un tragico ed oscuro periodo della storia nel nostro Paese e in Europa, e affinchè simili eventi non possano mai più accadere.


«(...) affinchè simili eventi non possano mai più accadere».

«(...) simili eventi non possano mai più accadere».

«(...) simili eventi non possano mai più (...)».

«(...) eventi non possano mai più (...)».

«(...) non possano mai più (...)».

«(...) possano mai più (...)».

«(...) mai più (...)».

«(...) mai (...)».

Mai!


DOC



Il brano musicale ascoltabile cliccando sul pulsante qui sopra è tratto dalla colonna sonora de "La vita è bella", film di e con Roberto Benigni. Nicola Piovani, compositore di questa musica, nello stesso anno (1998) è stato insignito dell'Oscar alla migliore colonna sonora.

Tonda goccia di rugiada



Da una foglia scivolava tonda goccia di rugiada
mentre placida dormiva una piccola cicala
fu colpita, si destò, s'infilò sull'autostrada
poi fin dentro un maggiolino proveniente dal Bengala.

Con un bacio in pieno viso lei lo volle ringraziare:
«Mille grazie mio taxì, ma lo sai che m'hai salvata?»
Lui distratto non capiva, continuava a raddrizzare,
quando poi realizzò ch'era in fondo a una scarpata.

Su dal ciglio la cicala fece ciao con la zampetta,
con tre balzi tornò allegra a mirare i finestrini
mentre l'uomo un po' confuso si grattava la barbetta
quindi afflitto s'avviava a incocciar nuovi destini.

Giunto allora nel paese, tre casette messe in croce,
«alla prima busserò» ma - ahimè - niun rispose,
nella seconda l'ira funesta rispondea d'un can feroce,
nella terza una vecchietta con le vene varicose.

«La prego, gentildonna, la mia vettura è incidentata».
«Ite culpa nd'hat s'attu, kando sa padrona est macca?»*
«Non capisco, mi perdoni, posso far telefonata?»
Poi davanti a porta chiusa si rispolverò la giacca.

Dorme Sole nasce Luna su quell'uomo tutta iella,
un trattore fa ritorno, lui la vede e la scongiura,
«Dormirai nella mia stalla, sfortunata pecorella»
disse lei con cortesia, disse lei senza paura.

Un crì-crì per ogni stella, e poi un timido chiarore,
s'alzò lei chicchirichì bombolotti latte e miele.
«Alla semina m'avvio, starò via per molte ore».
«Sdebitarmi mi permette? Toglierò le ragnatele».

Semi sulla terra, capelli al vento, palpiti nel petto;
più lontano un altro cuore battea forte sopra i chiodi.
Stanca la zappa impaziente, un ultimo ritocco al tetto,
ricongiunti nel rosso tramonto lei di lui cantò le lodi.

«Tutto pulito, sistemato e dipinto! Signore mio caro,
come ricambiare..? Stasera cenetta davvero speciale!»
Calda la zuppa di sguardi furtivi, dolce perfin l'amaro,
ancora un bicchiere di rosso, ancora un calore li assale.

Nella notte che verrà una piccola luce risplenderà:
una finestra radiosa d'ardore, consumato nel fieno
di un'umile stalla, che un'altra più casta ricorderà.
Intrecciati si assopiranno in quel covo d'amore pieno.

All'alba sì belli che del gallo nessun strillo,
asino e bue attendevano muti la loro biada,
e proprio mentre s'appisolava un piccolo grillo
da una foglia scivolava altra goccia di rugiada.

DOC

(*): tradotto dal sardo «Che colpa ha il gatto quando la padrona è matta?»

Doctor Peter racconta / 10° episodio: Viva e vegeta

Gli episodi di questa serie sono autoconclusivi: possono essere letti anche singolarmente, essendo collegati tra loro solo da piccoli spunti o da personaggi già presentati. L'elenco completo delle pubblicazioni si trova in fondo.


Michelle aveva una smodata passione per le piante: le adorava più di qualsiasi altra forma di vita, spesso in modo anche esagerato. Trascurava persino le poche persone con cui era in contatto, per non venir meno al suo amore per il mondo dei vegetali.
Come dimora scelse una villa con un grande giardino, parte di un complesso residenziale collocato su una deliziosa collina, circondata - neanche a dirlo - dal lussurioso verde di una vasta campagna. Osservandola da lontano, quella schiera di costruzioni sembrava divisa a metà: gli alti alberi che Michelle aveva piantato intorno alla casa, a differenza delle abitazioni adiacenti, ne nascondevano il rosso mattone della facciata. Una piccola selva che "raddrizzava" raramente solo per tener fede al contratto condominiale che le imponeva un certo decoro, e quando era costretta a farlo delegava il delicato intervento ad un giardiniere. Intendiamoci, non è che non si occupasse della salute di quelle piante, tutt'altro: era sempre lì a togliere le foglie secche, allontanare i parassiti e concimare la terra; ma di sicuro mai avrebbe falciato una foglia viva per pareggiare la siepe di eucalipto; mai avrebbe sradicato l'edera che aveva deciso di proseguire la sua arrampicata sul muro del vicino, o reciso il ramo della sua amata quercia, sconfinato nel giardino accanto. Questa sua eccentricità non era ben vista dal vicinato, la consideravano tutti un po' matta, ma la cosa non la impensieriva più di tanto.
Viveva da sola; la mattina si alzava all'alba e dopo aver sorseggiato la sua tisana andava in giardino a salutare ad una ad una le sue verdi predilette. Le chiamava per nome e parlava loro dolcemente come farebbe una buona madre. Assolta questa consuetudine, poteva prepararsi e andare tranquillamente al lavoro.
Era stata assunta da commessa in una bottega di sementi e concimi: quando Michelle cominciò a servirsene da cliente, il signor Germogli, gestore dell'attività, non potè fare a meno di cogliere la sua profonda conoscenza delle più disparate specie vegetali; malgrado non avesse mai conseguito alcun diploma o attestato in quel campo, era capace di elargire consigli e segreti di tale ricercatezza da non essere riportati neanche nei più esaurienti testi di botanica.
Il negozio si trovava in città, a dieci fermate d'autobus da casa, ma lei era solita affrontare quella distanza a piedi, a meno che un temporale non la obbligasse a servirsi del mezzo. Uscendo dal retro s'incamminava per un sentiero che attraversava la campagna; aveva sempre le tasche piene di semi, e si divertiva a lanciarli ai lati della stradina, lungo l'intero tragitto; la sera, prima di tornare, riempiva le tasche di nuovi semi e ripeteva il suo rito. In pochi mesi quel sentiero divenne un tunnel di piante e fiori dai mille profumi e colori: una costante simbiosi anche al di fuori del suo giardino.
Una domenica mattina si era arrampicata in cima alla sua quercia per godersi i primi raggi di un sole primaverile e inebriarsi dei forti aromi delle sue piante in piena fioritura. Sul ramo vicino, un uccellino tentava il suo primo volo dal nido, cinguettando e sbattendo le alucce. Lei, osservandone i fallimenti, decise di intervenire per evitargli una rocambolesca caduta. Si sporse quindi per afferrarlo dolcemente: lo avrebbe poi portato più in basso, dove i suoi tentativi sarebbero stati meno rischiosi. Ma riuscì appena a sfiorare le piume del passerotto che perse l'equilibrio, e a cadere giù fu lei che non aveva neanche le ali.
Ad accoglierla, più in basso, un cespuglio di erica che le assicurò un atterraggio morbido e indolore. Abbracciò la pianta, che da quel giorno divenne la sua preferita, e la ringraziò immensamente per averle salvato la vita... Poi il suo pensiero tornò al passerotto, così guardò in alto e lo vide con gioia saltellare allegro tra i rami più bassi. Entrò in casa, bevve un bicchiere d'acqua per riaversi dallo spavento e, ripensando all'accaduto, si avvicinò alla finestra per rivolgere uno sguardo alla sua provvidenziale Erica. Ma ai piedi della quercia c'era la solita aiuola con le violette; così spalancò le imposte e si affacciò per guardare meglio. «Ma dove... Ah, eccola... che sciocca! - esclamò sollevata - E' laggiù, vicino al cancello, proprio dove l'ho piantata».

Imprigionato tecnologico stomp



Premo un bottone, poi sento "bip",
lettere bianche sulla lavagna.
Cosa vien fuori da quel microchip?
Di scritte e colori una vera cuccagna!

Carezzo il topo, gli clicco un orecchio,
davanti a me il menu del giorno;
con la freccetta la posta punzecchio
e un "emmepitre" gustoso contorno.

La prima che apro è della mia bella,
m'ha scritto «Ti amo, con te non mi fermo».
«Cara Rapunzel 3D con padella,
tutto il mio cuore è dentro il tuo schermo».

Oggi è Domenica, voglio giocare,
col joystick nel castello "treddì";
un miliardo di punti, mi posso fermare,
anche se è ancora Mercoledì.

Scrivo sul blog ma senza la Bic,
userò topo e tastiera wireless,
regalerò al mondo con un solo clic
un'altra leggenda sul lago di Ness.

Metto le cuffie per telefonare,
ché con la "cam" ci possiamo vedere,
l'appunto preso lo posso stampare
senza neanche alzare il sedere.

Raggiungo gli amici su Facebook,
lesto ci arrivo in un solo secondo,
nel mio profilo un formidabile look
da bel moretto (in realtà sono biondo).

Photoshop il mio parrucchiere,
Youtube la vicina pettegola,
di tecnologia bevo un altro bicchiere:
per il mio intestino è l'unica regola.

Con la rotella ora sfoglio il giornale,
«Obesità record in tutto il mondo»,
«Troppa Tv e Pc fanno male»...
sarà per questo che anch'io son rotondo?


DOC

Latika va in vacanza


Aenictus laeviceps, army ant worker. Danum Valley Field Centre, Sabah Borneo.
Photo by Alex Wild from his website: http://www.alexanderwild.com

Nel mezzo del cammin di nostra vita, mi ritrovai... Ma questa non è una selva, anche se è oscura e un po' ci assomiglia. E io Dante non sono mica, ma una rossa formica di nome Latika... Beh, però, niente male come rima. Ma sarà bene che non mi distragga troppo: non ho mai avuto un gran fiuto, e questo è il risultato: mi avevano detto che questa strada portava ad un motel con un'intera dispensa piena di leccornie, e invece mi sono persa. E dire che ho dovuto anche prenotarmi, pare proprio che quel posto faccia grossi affari. Okay, niente panico. Vediamo un po'...
Questi strani fili d'erba argentati sembrano diradarsi, verso quella direzione. Sì, ecco... una piana. Che strani questi solchi pieni di rugiada. Ooops! Scivolooo! Whew! Fortuna che sotto c'era questo... Ma cos'è? Sembra l'ingresso di un tunnel. Ah, no no. Lì non ci entro davvero. E' tutto schifosamente pieno di fili appiccicosi di una roba giallastra. Mi toccherà arrampicarmi di nuovo...
Che strano questo cespuglietto, ha i fili tutti in fila. Ora però ho bisogno di riprendere fiato. Quel bulbo molliccio là sotto sembra fare al caso mio. Ah, bene. Un piccola sosta e... Diamine! Ma qui ondeggia tutto. Magari ne vien fuori un grosso verme che mi divora in un sol boccone. E più in là ce n'è anche un altro. Brrr! Due terribili vermoni. Un riparo, presto! Dietro a quel promontorio. Bene. Qui non mi vedranno. Mi infilerei in una di queste due grotte gemelle, ma chissà che non siano già abitate.
- C'è nessunooo?!!
- ...unooo! ...unoo!
Buffo. Urli in una e l'eco vien fuori dall'altra. Però c'è troppa aria qui: meglio un posto più riparato... Quei due lunghi cuscinetti rosa sembrano formare un letto perfetto. Sì sì. Decisamente comodo, morbido, anche se un po' umido. Non per niente mi sono portata il sacco a pelo. Ormai è notte fonda e un pisolino è proprio ciò che ci vuole.

All'alba...
- Screeek!
- Aiuto! Il mostro umano!!! Fuggite, sorelle! E' una dannata trappola!
- ACCIDENTI!!! ANCORA FORMICHE NELLA MIA DISPENSA! ADESSO CI PENSO IO!
- Aspettate... Ma quella è Latika! Che caspita ci fa sul collo del mostro?
- Tranquille compagne! Continuate a correre, mentre io mi occupo di questo vecchio gigante: ormai ne conosco ogni millimetro.
- MA COS'E' CHE MI PIZZICA DIETRO LA TESTA? AHIA! ECCO! LO SAPEVO! MI E' TORNATO IL TORCICOLLO! MALEDETTE FORMICHE, ASSAGGERETE IL MIO INSETTICIDA! MA DOVE VI SIETE NASCOSTE? E COSA DIAVOLO MI E' ENTRATO NELL'OCCHIO? MI BRUCIA... VENITE FUORI, MALEDE... EE... EEETCIUUU'! OHI, OHI, ANCHE IL RAFFREDDORE ADESSO. NON MI SENTO PER NIENTE BENE... CREDO CHE TORNERO' A LETTO, MA CON VOI FARO' I CONTI DOPO, CI POTETE GIURARE! MI AVETE SENTITO?!?
- Screeek!

Poco dopo, nella dispensa...
Wow! Che avventura! E che volo con quello starnuto! Ma ora ci sono, e in più è tutto solo per me, le altre sono fuggite... Miele, marmellata, biscotti... Grazie, balordo d'un vecchiaccio!

DOC

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