Io e l'hard-metal
C'era una volta un'officina di zincatura dei metalli, che contattai perchè cercavano del personale. Premetto che, sino ad allora, l'idea di un lavoro da operaio non m'aveva mai sfiorato, ma quando ti trovi in un una città viva come Bologna, dove il divertimento non ha orari e dove guadagnare significa non solo riuscire a pagare l'affitto, ma soprattutto poter godere un po' di quel carosello di stravaganti situazioni, feste, locali, pub, disco, balli e sballi, faresti qualsiasi cosa pur di racimolare un po' di moneta.
Fu così che, nel giorno richiesto, mi presentai di buon mattino in quell'enorme capannone che sarebbe stato la mia condanna per i giorni seguenti.
Si trattava infatti di uno di quei lavori veramente tosti... Consisteva nel seguire la lavorazione di bulloni grezzi, di ogni forma e peso (dalla vitarella a quelli grossi come bottiglie da 2 litri), nei vari processi di zincatura, ossia rivestimento di zinco brillante, argentato o dorato. Si cominciava dal carico, contenuto in enormi gabbie che sollevavo meccanicamente, per poi riempirne grandi bacinelle trascinandolo giù con le mani (avevo guanti e tuta tipo Super Mario). Riempita la bacinella, la inserivo in un'altro impianto che l'avrebbe trasportata nelle vasche di acido. Lo stesso impianto me ne restituiva poco dopo un'altra piena di metallo già zincato. In questa fase dovevo svuotare la bacinella su un nastro, ma stavolta senza guanti, per non sporcare di grasso i bulloni. E non vi dico quanto erano bollenti. Grazie a quel calore, agli acidi con cui spesso venivo a contatto e al continuo leva e metti i guanti, dopo due giorni avevo le mani irritate e piene di bolle come due cotechini.
Tra un bagno e l'altro di bulloni c'era una serie di operazioni che dovevo fare in tempi prestabiliti, tipo aggiungere il brillantante nelle vasche, azionare questa o quella levetta, spostare sacchi di palle di zinco (non so quanto pesassero, ma per me era impossibile sollevarli: li trascinavo per quel che potevo), svuotare cassoni, asciugare macchie di grasso sul pavimento... Per non parlare della pericolosità di alcune operazioni: se mi distraevo rischiavo di lasciarci una mano come niente (capii il motivo di tutte quelle cicatrici indossate dai miei pochi colleghi, tutti extracomunitari). Se aggiungiamo che era di Luglio, che in quel capannone si respirava di tutto tranne che ossigeno, e che il sole filtrava dai finestroni "accarezzandomi" tutto il giorno, solo il ricordo mi dà il voltastomaco. La mattina per andare lì prendevo due autobus, poi cominciava un'agonia destinata a terminare la sera con altri due autobus. Tornato a casa, la doccia durava due ore: brillavo anch'io, come i bulloni, a causa dello zinco che mi otturava tutti i pori ed i fori che avevo e che ancora oggi conservo (sono certo che il mio Dna contiene ancora tracce di quel dannato zinco).
Ho un ricordo, in particolare, che ben riassume il tutto: seduto su una panchina nel vicino parco, durante la mia ora di pausa pranzo, col panino tra le mani, ero pressochè distrutto nel fisico e nell'anima, tutto sporco di grasso, sudato e puzzolente d'acido. Passò di lì un mio conoscente, che si fermò ad osservarmi, per poi chiedermi preoccupato: «Ma... Che ti è successo?». Gli risposi con un filo di voce: «Ho trovato lavoro».
Venti giorni d'inferno... il ventunesimo il capo disse che il periodo di prova era terminato, e dalle sue valutazioni lo giudicò «un lavoro non adatto a me». Provai un misto di rabbia e contentezza. Mi chiedevo "chi" potesse essere adatto o addirittura affezionarsi ad un lavoro del genere: io non lo augurerei neanche al mio peggior nemico.
DOC
Commenti
@Maruzza - Era duro, è vero, ma non lo scambierei con il mestiere di lavoratrice/madre/casalinga... A ciascuno il suo. Ciao ciao.
@Pippi - Da una rapida occhiata alle opere di Kiefer mi sembrano interessanti, pur se un po' contorte e claustrofobiche. Approfondirò, per il resto ti dirò che non ho una cultura molto estesa in questo campo, Dr. Peter si ispira a Mr. Hook e viceversa... Grazie per gli accorati commenti. Alla prossima.