Brevetti imperfetti #1
Oggi mi va di criticare un po' di cose. In particolare, vorrei analizzare alcuni di quei quotidiani oggetti che contribuiscono a stressarci e a trasformare le nostre belle giornate in giornate decisamente "no". Ho messo il numero nel titolo perché temo che il tema (scusa il gioco) sarà più volte oggetto dei miei "sputi di riflessione".
Procedendo in ordine sparso, comincerei dalle etichette delle camicie. Ma non solo delle camicie: anche di t-shirts e simili. Queste odiose etichette, di solito in tessuto sintetico e cucite con una sorta di lenza per pescecani, hanno spigoli simili a quelli degli infissi in alluminio, appositamente studiati per conficcarsi nella nostra carne. E poi perchè proprio dietro al collo? Ogni volta che mi sento pizzicare lì non riesco mai a vedere se a pungere sia l'etichetta o un velenoso scorpione africano. C'è da dire inoltre che l'etichetta rappresenta il fulcro di tutto il capo d'abbigliamento: fai molta attenzione, perché se provi a scucirla o a tagliarla rischi di compromettere i delicati equilibri delle trame del tessuto. La maglietta si sfalderà sotto le tue mani, e alla fine dell'operazione nel tuo pugno resterà solo lei, la malefica etichetta che si gongola vittoriosa.
Ma c'è un'altra razza di etichette, altrettanto subdola. E' la classica etichetta adesiva da articolo casalingo, o se vogliamo, da souvenir. Faccio un esempio: c'è un omino in viaggio di ritorno dalla bella Napoli, dove si è accaparrato, dopo un'estenuante trattativa, una magnifica statuetta in pura porcellana taroccata Capodimonte, per la modica cifra di 350 Euro. E' il regalo perfetto per chi sta aspettando il suo ritorno a casa, chissà che figurona. Sul treno la tira fuori dalla valigia, si guarda attorno e la scarta per ammirarla ancora una volta: bella, bellissima. Una coppia di sposi danzanti, del peso di un chilo. «Ma guarda quel velo, sembra proprio vero. E sì, un affare così capita una sola volta nella vita», pensava soddisfatto. Ma prima di reincartarla... «E quella cos'è?». Dietro la schiena dello sposo, un'etichetta adesiva bianca cm. 2 x 1. Non si tratta del prezzo, ma di una ben più pericolosa dicitura "Made in Taiwan". Panico. Bisogna rimediare. L'unghia del mignolo comincia ad insinuarsi tra la porcellana e la carta adesiva, ma lo sposo è in abito scuro, e sotto la vernice che viene via si scopre la vera natura del materiale da quattro soldi con cui era stato forgiato. «Calma. Prima di andare a casa andrò al bagno della stazione e lì, con l'acqua calda, verrà via quella maledetta colla». Certo, la colla verrà via, ma porterà via con sè l'elegante abito nero dello sposo. Tornato a casa, a quello sfigato manufatto (che neanche è tale, visto il segno del calco per lo stampo), sua moglie darà il colpo di grazia. La sposa in finta porcellana da un lato, sul pavimento, lo sposo sotto la credenza, con la testa mozzata che la fissa: una perfetta metafora per quanto sarebbe accaduto di lì a poco. Lei, infatti, aveva scoperto la sua recente "scappatella" con la prorompente mora napoletana, consumata durante quel suo viaggio di lavoro. Così, ricevere quel souvenir (per di più tarocco, si vedeva benissimo grazie a quella dannata etichetta superadesiva), è come ricevere un classico "bacio di Giuda" (in questi casi si usa dire "cornuta e mazziata"...). Le cose precipitano. Il giorno in cui firmano il divorzio, a lui, incazzato nero, tornano in mente la bella napoletana, la testardissima etichetta, la statuina in frantumi e il particolare dello sposo con la testa mozzata (che in quel momento, tra i rifiuti, si sentiva distrutto al par suo). Chissà, forse se quell'etichetta fosse venuta via subito, senza danneggiare la statuetta, lei magari l'avrebbe accettata più volentieri, e magari lo avrebbe anche perdonato.
Vogliamo parlare delle lavatrici? No? Parliamone invece. La lavatrice più diffusa nelle case è senz'ombra di dubbio quella con l'oblò a carica frontale, perchè quelle con carica dall'alto sono generalmente troppo piccole e troppo care, solo alcuni modelli più recenti abbinano dimensioni accettabili con la carica dall'alto, ma costano molto di più. Mi chiedo come sia venuto in mente agli ingegneri (ma i veri colpevoli sono coloro che gli approvano il brevetto) di fabbricare un contenitore verticale con sportello frontale. Caricare una lavatrice è come riempire un armadio accatastando cianfrusaglie una sull'altra: l'ovvia conseguenza è che quando apri lo sportello va a finire tutto per terra. Così, dopo che hai messo un jeans e una maglietta nella lavatrice, qualsiasi altro capo andrai ad aggiungere nel cestello verrà risputato fuori almeno tre volte prima che tu riesca a trovare il perfetto equilibrio tra i panni. E' incredibile come si possa elaborare un congegno che sfrutti quasi tutte le leggi della fisica (energia elettrica, forza cinetica, forza centrifuga, forza d'inerzia, il principio della pompa scoperto da Archimede, ecc.) e allo stesso tempo si trascuri deliberatamente la più banale delle forze: la gravità. Chissà quante mele sono cadute dagli alberi, da quando hanno inventato la prima lavatrice a quando hanno progettato la carica dall'alto.
Spostiamoci ora su qualcosa di più tecnologico. In un epoca quale la nostra, in cui si tende a rendere tutto più pratico, rapido e funzionale, mi chiedo da dove provengano certe brillanti "ispirazioni". Questa volta mi riferisco alla mia stampantina laser in bianco/nero, prodotta da una delle massime case produttrici di computer, periferiche e quant'altro (per evitare pubblicità gratuita vi dirò solo che il logo dell'azienda in questione comincia per "H" e finisce per "P"). Per comodità, in una scrivania adibita ad uso pc, si tende a tenere libera la fascia a noi più vicina, che ospiterà tastiera e mouse lasciando un pò di spazio ai lati per eventuali documenti su cui dovremo lavorare (o per posarvi la birra e il posacenere). E siccome la gamma di accessori per pc è sconfinata, tutto ciò che nel tempo vi abbiamo collegato affollerà per forza di cose la porzione di scrivania prospiciente il muro. Ma perché, dico io, se accosto la mia stampante al muro, per poterla accendere sono costretto ad alzarmi dalla sedia ed esibirmi in un numero acrobatico da circo? A chi sarà venuta in mente la bella idea di posizionare il pulsante di accensione sul retro della stampante, per di più in basso e in parte occultato dal cavo d'alimentazione? E tutto questo in un'epoca (mi piace ribadirlo) in cui hanno inventato, fra le altre cose, il ventilatore senza pale "Dyson", il "Beta Gel" (materiale innovativo: qualsiasi cosa vi cada sopra non si rompe), il razzo "Ares" che porterà l'uomo su Marte.
Chissà quante "anomalie" potrei ancora discutere, come ad esempio l'inutilità dei capezzoli maschili... ma mi sono sfogato abbastanza, e poi non mi va di criticare proprio il Creatore dei creatori. Con tutta probabilità pubblicherò nuovi post su questi temi; nel frattempo ti invito a prolungare la lista inserendo nei commenti un tuo cruccio personale verso un oggetto mal concepito: vedrai, è liberatorio. A presto allora, sperando che un bug del sistema non mi cancelli tutto proprio ora.
DOC
In questa serie:
Brevetti imperfetti #1
Commenti
Sigaretta: io di solito la accendo apposta per far arrivare l'autobus. Un giorno, costretto a gettarla, feci un ultimo lungo tiro, così mi ritrovai a sputare una nube di fumo dentro il bus e l'autista s'incazzò a bestia.
Matite: le ho sempre trovate scomode, finchè ho smesso di adoperarle.
Grazie per le tue visite e per i tuoi post altrettanto divertenti. Buonanotte CharMan.
Per quanto riguarda qlle degli oggetti, hai mancato che quando provi a toglierle, ti rimangon le dita ttte appiccicose xD
Altr oggetti non me ne vengono in mente... magari se poi me ne ricordo qualcosa, te lo scrivo xD