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Visualizzazione dei post da agosto, 2010

Intermezzo piumato


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Pigro


Micio che dorme
Ma quali trasformazioni,
qui nulla si crea
e tutto si distrugge,
è nata un'idea
che subito mi sfugge,
cado e mi rialzo,
nel sonno poi sobbalzo:
è nato un giorno,
mi guardo attorno,
torno a dormire
fino all'imbrunire.


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Ah, l'amour, l'amour...

Titolo rubato alla canzone di In-Grid, per raccontarti un'altra curiosità che il destino ha posto sul mio cammino.
Nell'estate del 1994 conobbi una tenera donzella che mi donò il cuore. Pochi giorni dopo decisi di farle una visita a sorpresa a casa (oggi non lo rifarei: scoprii infatti che non sempre questo tipo di sorprese sono ben accette). Per raggiungerla presi l'autobus, scesi dopo mezz'ora, e mi avviai a piedi verso la villa dei suoi genitori che distava circa un chilometro. Nel mezzo del cammin di quella via, mi imbattei non in una selva oscura, la cui diritta via era smarrita, ma in un oggetto colorato che destò la mia curiosità. Lo raccolsi. Era la piccola ala di un modellino d'aeroplano. Su entrambi i lati vi erano stampate le nostre iniziali (vedi foto). La nostra fu un'intensa ma breve storia, e io, per farmi del male, conservo tuttoggi quell'oggetto del destino rinchiuso in una scatolina, in fondo ad un cassetto, insieme al dolce amaro ricordo di lei.


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Io e l'hard-metal



C'era una volta un'officina di zincatura dei metalli, che contattai perchè cercavano del personale. Premetto che, sino ad allora, l'idea di un lavoro da operaio non m'aveva mai sfiorato, ma quando ti trovi in un una città viva come Bologna, dove il divertimento non ha orari e dove guadagnare significa non solo riuscire a pagare l'affitto, ma soprattutto poter godere un po' di quel carosello di stravaganti situazioni, feste, locali, pub, disco, balli e sballi, faresti qualsiasi cosa pur di racimolare un po' di moneta.

Fu così che, nel giorno richiesto, mi presentai di buon mattino in quell'enorme capannone che sarebbe stato la mia condanna per i giorni seguenti.

Si trattava infatti di uno di quei lavori veramente tosti... Consisteva nel seguire la lavorazione di bulloni grezzi, di ogni forma e peso (dalla vitarella a quelli grossi come bottiglie da 2 litri), nei vari processi di zincatura, ossia rivestimento di zinco brillante, argentato o dorato. Si cominciava dal carico, contenuto in enormi gabbie che sollevavo meccanicamente, per poi riempirne grandi bacinelle trascinandolo giù con le mani (avevo guanti e tuta tipo Super Mario). Riempita la bacinella, la inserivo in un'altro impianto che l'avrebbe trasportata nelle vasche di acido. Lo stesso impianto me ne restituiva poco dopo un'altra piena di metallo già zincato. In questa fase dovevo svuotare la bacinella su un nastro, ma stavolta senza guanti, per non sporcare di grasso i bulloni. E non vi dico quanto erano bollenti. Grazie a quel calore, agli acidi con cui spesso venivo a contatto e al continuo leva e metti i guanti, dopo due giorni avevo le mani irritate e piene di bolle come due cotechini.

Tra un bagno e l'altro di bulloni c'era una serie di operazioni che dovevo fare in tempi prestabiliti, tipo aggiungere il brillantante nelle vasche, azionare questa o quella levetta, spostare sacchi di palle di zinco (non so quanto pesassero, ma per me era impossibile sollevarli: li trascinavo per quel che potevo), svuotare cassoni, asciugare macchie di grasso sul pavimento... Per non parlare della pericolosità di alcune operazioni: se mi distraevo rischiavo di lasciarci una mano come niente (capii il motivo di tutte quelle cicatrici indossate dai miei pochi colleghi, tutti extracomunitari). Se aggiungiamo che era di Luglio, che in quel capannone si respirava di tutto tranne che ossigeno, e che il sole filtrava dai finestroni "accarezzandomi" tutto il giorno, solo il ricordo mi dà il voltastomaco. La mattina per andare lì prendevo due autobus, poi cominciava un'agonia destinata a terminare la sera con altri due autobus. Tornato a casa, la doccia durava due ore: brillavo anch'io, come i bulloni, a causa dello zinco che mi otturava tutti i pori ed i fori che avevo e che ancora oggi conservo (sono certo che il mio Dna contiene ancora tracce di quel dannato zinco).

Ho un ricordo, in particolare, che ben riassume il tutto: seduto su una panchina nel vicino parco, durante la mia ora di pausa pranzo, col panino tra le mani, ero pressochè distrutto nel fisico e nell'anima, tutto sporco di grasso, sudato e puzzolente d'acido. Passò di lì un mio conoscente, che si fermò ad osservarmi, per poi chiedermi preoccupato: «Ma... Che ti è successo?». Gli risposi con un filo di voce: «Ho trovato lavoro».

Venti giorni d'inferno... il ventunesimo il capo disse che il periodo di prova era terminato, e dalle sue valutazioni lo giudicò «un lavoro non adatto a me». Provai un misto di rabbia e contentezza. Mi chiedevo "chi" potesse essere adatto o addirittura affezionarsi ad un lavoro del genere: io non lo augurerei neanche al mio peggior nemico.


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Indovina la pianta


Tadà! Benvenuti cari blogspettatori a "Indovina la pianta", famosissimo quiz botanico giunto ormai alla sua prima ed unica edizione. Senza indugio passo subito a presentarvi il nostro concorrente di oggi. Che entri il concorrente! Ah, scusate, vedo che è già qui. Tocca a te infatti rispondere al quesito di oggi: «DI CHE PIANTA SI TRATTA?» Bene, passiamo al primo indizio: la foto che segue mostra una pianta che hanno regalato alla mia mamma e che troneggia sul suo balcone. E' quella al centro, stretta e alta.


VIA AL TEMPO! 10... 9... 8... 7... 6... 5... 4... 3... 2... 1... GONG!

Ahi ahi ahi, cominciamo male. Dobbiamo dimezzare il montepremi di 800.000 Euro in gettoni d'oro.

Ora concentrati: la tua risposta vale 400.000 Euro. Ti verrà mostrata una nuova foto, scattata tre mesi dopo, che ne ritrae le foglie. Pronto/a?


VIA! 10... 9... 8... 7... 6... 5... 4... 3... 2... 1... GONG!

E si, non è facile. Il montepremi scende a 200.000 Euro. Per questa cifra, ti mostreremo ancora un dettaglio delle foglie. Cuffie, mano sul pulsante e...


VIA! 10... 9... 8... 7... 6... 5... 4... 3... 2... 1... GONG!

Mi dispiace, mi dispiace davvero. Dovremo scendere a 100.000 Euro. Ma ora la foto sarà intera, e mi sento che indovinerai. Eccola:


VIA! 10... 9... 8... 7... 6... 5... 4... 3... 2... 1... GONG!

Eh, ma allora... non mi resta che salutarti.

"Indovina la pianta" termina qui, ma voi da casa continuate a giocare e a postare la vostra soluzione. Il primo che mi darà la risposta esatta riceverà in premio il gettone d'oro dell'uomo che vola pazzo. Grazie a tutti e arrivederci. SIGLA! (Clap! Clap! Clap!)

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Brevetti imperfetti #2


«Oggi mi va di criticare un po' di cose». Con questo proponimento, pochi giorni fa, aprivo un post - "Brevetti imperfetti #1" - in cui avrei sfogato la mia pignoleria riguardo le piccole cose progettate per renderci la vita più comoda e che invece spesso si rivelano foriere di subdoli stress quotidiani. Sapevo che quella pagina non sarebbe stata sufficiente ad elencarle tutte: riprendo infatti oggi l'argomento, e mi piace riaprirlo con la stessa frase, nella speranza che si trasformi presto in un tormentone per coloro che di mestiere, con la loro "genialità", ci complicano la vita.

Tastiera Pc
Senza dubbio, l'avvento del comodo "copia e incolla" ha rappresentato una vera e propria rivoluzione, nel campo della scrittura. Ho detto «comodo»? Scusa, mi correggo: «comodo un corno», direi, e ti spiego perché.
Un "copia e incolla" al volo lo fai col tasto destro del mouse. E' quando devi farne parecchi, che nasce il problema: non puoi continuare a torturare la mano destra col mouse. Puoi invece trasferire la sofferenza alle falangi della sinistra, costringendola ad incarcarsi innaturalmente sulla tastiera, perchè qualcuno ha pensato "bene" di associare questa operazione a due tasti lontanissimi tra loro. "Ctrl" e "C" distano in media 8 cm., "Ctrl" e "V" anche più di dieci. Oggi, dopo tre ore circa di "copy & paste", ho cominciato a soffrire seriamente di crampi alle dita. E dire che le mie mani sono piuttosto grandi... Così ho rivolto un pensiero a quel furbo che ha ufficializzato questo standard. Ma dico io, due tasti più vicini no, eh? 

Tastiera BlackBerry
A proposito di mani grandi, quello che vedi accanto è il dettaglio della tastiera del mio nuovo cellulare (uno dei miei peggiori acquisti). Non so quanto ti appaia grande la foto sul monitor, ma posso dirti che l'area dei tasti misura cm. 5 x 2, ovvero lo stesso spazio occupato da tre tasti di un pc, con la differenza che qui, di tasti, ce n'è più di trenta. A causa dei riflessi sui tasti rigonfi riesco a leggere solo i simboli chiari (visibili nella foto), o solo quelli scuri (che difatti nella foto non si vedono). E se anche li vedessi non li vedrei comunque perchè il polpastrello del mio pollice sinistro oscura i primi quindici tasti e quello del destro i restanti. Per utilizzarlo mi sono iscritto ad un corso di braille, e nel frattempo ho smesso di mangiarmi le pellicine: mi servono per comporre gli Sms.

E sì, oggi sono alquanto agguerrito, e non ti libererai presto di me. Ecco cos'altro ti sono andato a scovare.

Gli ho fatto apposta una foto per potertelo mostrare. E' un dettaglio della fotocopiatrice che ho in ufficio (prodotta dalla storica azienda il cui marchio comincia per "X" e termina per "X"); più precisamente, una etichetta che si propone di illustrarne l'uso corretto. Il messaggio, se ho ben capito, è quello di non interporre fogli tra gli oggetti da fotocopiare e il vetro della fotocopiatrice stessa (cosa che comunque nessuno si sognerebbe di fare: sarebbe come mettere il tappo all'obbiettivo di una macchina fotografica prima di scattare la foto). Ma ciò che mi fa impazzire è proprio la rappresentazione degli oggetti da fotocopiare: banconote e francobolli, ovvero modelli la cui riproduzione è vietatissima in tutto il pianeta.

Per chiudere, una panoramica sui materiali. Non ho mai capito perché il legno abbia riscosso tanto successo nella costruzione di piccoli e grandi oggetti. Danneggiamo il pianeta e noi stessi con una selvaggia deforestazione, e per cosa? Per un composto che si incendia, si inumidisce, si inzuppa, si gonfia, si sgonfia, si spezza, invecchia, marcisce, scricchiola, trasuda resina, si tarla e fa i ragni. Certo, avrà anche le sue buone qualità, ma questo non è il luogo adatto a decantarle. Voglio parlare invece della plastica: è con quella che l'uomo ha dato il meglio di sé. Lo farò in questi ultimi flash:
1) la cassa è piena di oggetti, devo pagare, temo di perdere i soldi, non ce li ho, uso il bancomat, non funziona, funziona, annebbiato il ricordo del Pin, devo prendere lo scontrino, la mia roba si mischia con la sua, gli altri mi guardano male, sudo e maledico quell'insolente borsina di plastica che si rifiuta d'aprirsi... e ne restano ancora due;
2) ho acquistato l'ultimo compact disc della mia band preferita, e con quello che ho pagato mi tocca pure aspettare di avere tra le mani uno strumento adatto, tipo un bisturi, per poter eliminare la pellicola trasparente che lo imprigiona, senza danneggiare la custodia;
3) le forme e l'elettricità statica fanno sì che dalle confezioni di piatti o bicchieri di plastica non riuscirò mai a tirarne fuori uno: se non sono tre, sono due;
4) questo mi snerva da quando avevo quattro anni: si tratta della plastica che riveste le merendine, con tanto di filo che hanno inventato apposta per farti doppiamente incazzare, visto che puntualmente si spezza, e la metà di brioche che resta imprigionata ti si spappola nel tentativo di liberarla. E per oggi è tutto.

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In questa serie:
Brevetti imperfetti #2

Brevetti imperfetti #1


Oggi mi va di criticare un po' di cose. In particolare, vorrei analizzare alcuni di quei quotidiani oggetti che contribuiscono a stressarci e a trasformare le nostre belle giornate in giornate decisamente "no". Ho messo il numero nel titolo perché temo che il tema (scusa il gioco) sarà più volte oggetto dei miei "sputi di riflessione".

Etichetta
Procedendo in ordine sparso, comincerei dalle etichette delle camicie. Ma non solo delle camicie: anche di t-shirts e simili. Queste odiose etichette, di solito in tessuto sintetico e cucite con una sorta di lenza per pescecani, hanno spigoli simili a quelli degli infissi in alluminio, appositamente studiati per conficcarsi nella nostra carne. E poi perchè proprio dietro al collo? Ogni volta che mi sento pizzicare lì non riesco mai a vedere se a pungere sia l'etichetta o un velenoso scorpione africano. C'è da dire inoltre che l'etichetta rappresenta il fulcro di tutto il capo d'abbigliamento: fai molta attenzione, perché se provi a scucirla o a tagliarla rischi di compromettere i delicati equilibri delle trame del tessuto. La maglietta si sfalderà sotto le tue mani, e alla fine dell'operazione nel tuo pugno resterà solo lei, la malefica etichetta che si gongola vittoriosa.

Statuetta
Ma c'è un'altra razza di etichette, altrettanto subdola. E' la classica etichetta adesiva da articolo casalingo, o se vogliamo, da souvenir. Faccio un esempio: c'è un omino in viaggio di ritorno dalla bella Napoli, dove si è accaparrato, dopo un'estenuante trattativa, una magnifica statuetta in pura porcellana taroccata Capodimonte, per la modica cifra di 350 Euro. E' il regalo perfetto per chi sta aspettando il suo ritorno a casa, chissà che figurona. Sul treno la tira fuori dalla valigia, si guarda attorno e la scarta per ammirarla ancora una volta: bella, bellissima. Una coppia di sposi danzanti, del peso di un chilo. «Ma guarda quel velo, sembra proprio vero. E sì, un affare così capita una sola volta nella vita», pensava soddisfatto. Ma prima di reincartarla... «E quella cos'è?». Dietro la schiena dello sposo, un'etichetta adesiva bianca cm. 2 x 1. Non si tratta del prezzo, ma di una ben più pericolosa dicitura "Made in Taiwan". Panico. Bisogna rimediare. L'unghia del mignolo comincia ad insinuarsi tra la porcellana e la carta adesiva, ma lo sposo è in abito scuro, e sotto la vernice che viene via si scopre la vera natura del materiale da quattro soldi con cui era stato forgiato. «Calma. Prima di andare a casa andrò al bagno della stazione e lì, con l'acqua calda, verrà via quella maledetta colla». Certo, la colla verrà via, ma porterà via con sè l'elegante abito nero dello sposo. Tornato a casa, a quello sfigato manufatto (che neanche è tale, visto il segno del calco per lo stampo), sua moglie darà il colpo di grazia. La sposa in finta porcellana da un lato, sul pavimento, lo sposo sotto la credenza, con la testa mozzata che la fissa: una perfetta metafora per quanto sarebbe accaduto di lì a poco. Lei, infatti, aveva scoperto la sua recente "scappatella" con la prorompente mora napoletana, consumata durante quel suo viaggio di lavoro. Così, ricevere quel souvenir (per di più tarocco, si vedeva benissimo grazie a quella dannata etichetta superadesiva), è come ricevere un classico "bacio di Giuda" (in questi casi si usa dire "cornuta e mazziata"...). Le cose precipitano. Il giorno in cui firmano il divorzio, a lui, incazzato nero, tornano in mente la bella napoletana, la testardissima etichetta, la statuina in frantumi e il particolare dello sposo con la testa mozzata (che in quel momento, tra i rifiuti, si sentiva distrutto al par suo). Chissà, forse se quell'etichetta fosse venuta via subito, senza danneggiare la statuetta, lei magari l'avrebbe accettata più volentieri, e magari lo avrebbe anche perdonato.

Lavatrice
Vogliamo parlare delle lavatrici? No? Parliamone invece. La lavatrice più diffusa nelle case è senz'ombra di dubbio quella con l'oblò a carica frontale, perchè quelle con carica dall'alto sono generalmente troppo piccole e troppo care, solo alcuni modelli più recenti abbinano dimensioni accettabili con la carica dall'alto, ma costano molto di più. Mi chiedo come sia venuto in mente agli ingegneri (ma i veri colpevoli sono coloro che gli approvano il brevetto) di fabbricare un contenitore verticale con sportello frontale. Caricare una lavatrice è come riempire un armadio accatastando cianfrusaglie una sull'altra: l'ovvia conseguenza è che quando apri lo sportello va a finire tutto per terra. Così, dopo che hai messo un jeans e una maglietta nella lavatrice, qualsiasi altro capo andrai ad aggiungere nel cestello verrà risputato fuori almeno tre volte prima che tu riesca a trovare il perfetto equilibrio tra i panni. E' incredibile come si possa elaborare un congegno che sfrutti quasi tutte le leggi della fisica (energia elettrica, forza cinetica, forza centrifuga, forza d'inerzia, il principio della pompa scoperto da Archimede, ecc.) e allo stesso tempo si trascuri deliberatamente la più banale delle forze: la gravità. Chissà quante mele sono cadute dagli alberi, da quando hanno inventato la prima lavatrice a quando hanno progettato la carica dall'alto.

Stampante
Spostiamoci ora su qualcosa di più tecnologico. In un epoca quale la nostra, in cui si tende a rendere tutto più pratico, rapido e funzionale, mi chiedo da dove provengano certe brillanti "ispirazioni". Questa volta mi riferisco alla mia stampantina laser in bianco/nero, prodotta da una delle massime case produttrici di computer, periferiche e quant'altro (per evitare pubblicità gratuita vi dirò solo che il logo dell'azienda in questione comincia per "H" e finisce per "P"). Per comodità, in una scrivania adibita ad uso pc, si tende a tenere libera la fascia a noi più vicina, che ospiterà tastiera e mouse lasciando un pò di spazio ai lati per eventuali documenti su cui dovremo lavorare (o per posarvi la birra e il posacenere). E siccome la gamma di accessori per pc è sconfinata, tutto ciò che nel tempo vi abbiamo collegato affollerà per forza di cose la porzione di scrivania prospiciente il muro. Ma perché, dico io, se accosto la mia stampante al muro, per poterla accendere sono costretto ad alzarmi dalla sedia ed esibirmi in un numero acrobatico da circo? A chi sarà venuta in mente la bella idea di posizionare il pulsante di accensione sul retro della stampante, per di più in basso e in parte occultato dal cavo d'alimentazione? E tutto questo in un'epoca (mi piace ribadirlo) in cui hanno inventato, fra le altre cose, il ventilatore senza pale "Dyson", il "Beta Gel" (materiale innovativo: qualsiasi cosa vi cada sopra non si rompe), il razzo "Ares" che porterà l'uomo su Marte.

Chissà quante "anomalie" potrei ancora discutere, come ad esempio l'inutilità dei capezzoli maschili... ma mi sono sfogato abbastanza, e poi non mi va di criticare proprio il Creatore dei creatori. Con tutta probabilità pubblicherò nuovi post su questi temi; nel frattempo ti invito a prolungare la lista inserendo nei commenti un tuo cruccio personale verso un oggetto mal concepito: vedrai, è liberatorio. A presto allora, sperando che un bug del sistema non mi cancelli tutto proprio ora.

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In questa serie:
Brevetti imperfetti #1

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