I viaggi allucinanti di Fleischer e Sauw

Grembiulino azzurro, penna Bic, quaderno, maiuscolo e minuscolo(!), somma di mele. Poi pranzo e Tg, con tutte quelle parole incomprensibili (alcune lo sono ancora oggi). Più cose mettevo, nella testolina, e più ce ne entravano: persino il concetto di me, bruscolino sperduto in un universo vastissimo, forse infinito, attecchiva. Ma mentre guardavo all'immenso, rapito dalla luce di sorella Luna e fratello Sole, l'ignoto meditava di sorprendermi alle spalle. Già, perché la prima lezione di umiltà ci viene proprio da madre Natura: se osserviamo la sua grandezza dalla nostra "piccolezza", essa si offre generosa alle nostre percezioni; se, al contrario, la cerchiamo in ciò che è più piccolo di noi, ad un certo punto diventa invisibile, ci nega il confronto. E per un bambino, ciò che non si vede non esiste.

L'enormità, insomma, si lascia scoprire da subito, perchè la si sperimenta quotidianamente. L'infinitesimale invece no, e neanche la scuola elementare mi aiutò molto, in questo senso. Un primo approccio lo ebbi quando mio padre mi regalò un microscopio: quella mezza giornata trascorsa ad esaminare i vetrini in dotazione mi avrebbe cambiato per sempre la vita, o meglio la visione della stessa. Scoprii un nuovo, misterioso e affascinante mondo popolato da "orrende" creature in miniatura che tornarono a trovarmi la notte stessa, negli incubi. Da un lato, approfondire quello che sino ad allora avevo visto solo di sfuggita sui libri mi elettrizzava; dall'altro, l'idea che avrei convissuto tutta la vita con quelle bestioline fuori e dentro di me mi provocava un senso di disagio. Stesso misto di meraviglia e angoscia lo provai poco più avanti, quando vidi un film di fantascienza che si spingeva oltre, ribaltando i ruoli.

"Viaggio allucinante" (Fantastic Voyage), film di Richard Fleischer del 1966, proponeva una soluzione per risolvere gli scompensi dimensionali: anzichè ingrandire le cose, rimpicciolire gli esseri umani. Nello specifico, un'equipe di dottori alla guida di un sottomarino viene miniaturizzata e quindi iniettata all'interno del corpo di uno scienziato. Il loro compito è trovare il male e curarglielo entro un'ora, altrimenti l'abitacolo comincia a riprendere le dimensioni originali, viene riconosciuto dall'organismo come corpo estraneo, quindi attaccato e distrutto. Ciò che accade in quei 60 minuti è tutto da vedere, sia per il crescendo di tensione causato dagli imprevisti, sia per la scenografia e gli effetti speciali tra i più curati dell'epoca, che soddisfano appieno le aspettative promesse nel titolo.
Se da piccolo il microcosmo mi aveva spiazzato, da adulto è rimasta la meraviglia, e quando posso continuo a riempirmene gli occhi. L'ultimo "viaggio allucinante", in ordine di tempo, l'ho fatto attraverso le incredibili foto di Yudy Sauw. Questo professionista, indonesiano di 34 anni, sfrutta la moderna tecnologia come merita. In questo caso non siamo a livello cellulare, ma le sue macro svelano dettagli normalmente impercettibili e inimmaginabili. Scelta dei soggetti (prevalentemente insetti), inquadrature e pose si combinano in capolavori d'arte per la felicità della sua diretta maestra, proprio quella madre Natura che ci seduce con i suoi bizzarri giochi di misure. Di Sauw è lo sguardo di ragno in apertura (lo stesso che riporto qui sotto), nonché le foto a seguire; ma il vero viaggio vi attende nella sua galleria online, per proseguire sulla pagina Facebook: salite a bordo, non ve ne pentirete.






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