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Visualizzazione dei post da ottobre, 2012

Doctor Peter racconta / 2° episodio: Undici anni

Gli episodi di questa serie sono autoconclusivi: possono essere letti anche singolarmente, essendo collegati tra loro solo da piccoli spunti o da personaggi già presentati. L'elenco completo delle pubblicazioni si trova in fondo.


«Mamma, guarda che carini». La piccola Francesca, 11 anni, era in gita in barca con i genitori, in quel tiepido e sereno pomeriggio di Ottobre. Giocando con una retina da pesca era riuscita a tirare su una bella stella marina, purtroppo senza vita, che galleggiava trasportando su di sè un piccolo granchio allo stremo delle sue forze. «Che belli. Versali nella vaschetta, così quando torniamo a casa li mettiamo nell'acquario». La sera seguente il granchio, in compagnia di coloratissimi pesci, osservava attraverso le pareti della sua nuova casa quella buffa bambina che gli aveva salvato la vita.
«Toc toc!» La madre entrò nella stanza, le diede la buonanotte, spense la luce e chiuse la porta. Buio e silenzio per alcuni minuti, poi improvvisamente l'abat-jour sul comodino si riaccese. Si era seduta a scribacchiare sul suo diario; ogni tanto si soffermava a pensare, poi riprendeva. Infine lo chiuse e lo infilò sotto il materasso, quindi si sdraiò nuovamente, ma non si sarebbe messa a dormire. Allungò un braccio dall'altro lato del letto, e da uno scatolone sotto di sè estrasse un grande libro molto antico. Spense la luce, accese una candela bianca al profumo di rose e con la piccola chiave che adornava il suo braccialetto tolse il lucchetto che proteggeva il libro dagli sguardi indiscreti.
Lo aprì aiutandosi con la fascetta in nappa dorata che teneva il segno, e cominciò a leggere a bassa voce. Le parole incomprensibili e gli astrusi ritornelli che pronunciava componevano una cantilena che avrebbe dato vita ad una sorta di incantesimo dagli effetti sorprendenti: a poco a poco l'esile figura della bambina cominciò a farsi sempre più evanescente, fino a diventare a malapena percettibile e quindi a svanire del tutto. Almeno questo è ciò che videro gli abitanti dell'acquario. Dal punto di vista della ragazzina, lei era rimasta sempre lì, mentre un prato azzurro e un cielo verde scuro con le stelle viola le si erano gradualmente delineati attorno sostituendosi alle pareti della sua cameretta.
Seduta davanti a lei un'altra bambina, più o meno della stessa età, reggeva anche lei un antico libro tra le braccia. Si sorrisero come due amiche di vecchia data, si presero per mano e s'incamminarono lungo un sentiero che tagliava a metà quel paesaggio così bislacco. Ogni tanto incrociavano altri bambini, ciascuno con il proprio libro, che andavano spensierati nella stessa direzione.
Il sentiero proseguiva attraverso una brulla radura; un pallido sole rosa si era appena affacciato all'orizzonte, quando Francesca propose all'amica di fare una sosta per riposare le gambe e concedersi una buona colazione. Un segnale indicava una stazione di servizio, poco più avanti, che cascava a fagiolo. «Speriamo che sia aperta». Bussarono alla porta del botteghino e poco dopo un uomo di mezz'età, con l'espressione assonnata e la barba incolta, aprì. Non fecero in tempo a proferire parola che un improvviso lampo accecante le interruppe.
«Ma lo sai che ore sono? Metti via quel libro e torna subito a dormire, che domani è giorno di scuola». Nel momento stesso in cui la madre aveva acceso la luce, Francesca era rientrata in sè. Ripose il libro, diede un giro di carica alla sveglia, spense la candela e si infilò sotto la coperta.
Era stanca e un po' delusa dalla brusca interruzione di quella curiosa avventura, ma pur sempre orgogliosa del segreto che custodiva. Prima di abbandonarsi al sonno, col volto sereno rivolse un pensiero alla sua amica: «Stai tranquilla, ci vediamo domani notte».

Zoccoli e biscotti nell'era subliminale


Non so te, ma io i clogs li odio. Ne odio la forma, mi fa pensare a una grassa infermiera sudata e impudente che divora un panino farcito di emmenthal durante un intervento chirurgico a cuore aperto.
Ne odio i colori, così pacchiani che qualsiasi cosa abbineresti dalla caviglia in su risulterebbe inadeguato.
E ancora di più odio il materiale con cui vengono fabbricati.
Ad esempio, sul sito della *****, azienda leader del settore, leggo questo vanto: «Tutte le calzature ***** sono progettate e prodotte unicamente usando il Croslite™, una resina a celle chiuse brevettata dall’azienda». Su Wikipedia, riguardo alla croslite: «Nel 2006 la ***** (stessa di prima, n.d.r.) ha acquistato la Foam Creations e con essa il brevetto proprietario della resina schiumosa "croslite", realizzata in Etilene Vinil Acetato, ovvero plastica copolimerica». Tradotto: l'ennesimo colpo inferto al già pietoso quadro clinico del nostro pianeta in tema di ambiente.

Tornando ai più soggettivi gusti personali, se questi zoccoli vanno così tanto di moda (fino alla nausea e non solo in Italia), immagino che ci sia qualcuno a cui piacciono.
E' anche vero però che oggi ci sono dirompenti strategie di marketing spappolacervello tali da farci credere - se volessero incentivarne la vendita - che persino le mutande sulla testa possono essere trendy.
Pericolose guerre subliminali che nell'era virtuale possono contare su veri e propri eserciti di robot al loro servizio. Agenti spietati e super addestrati che si celano sotto le mentite spoglie di innocui biscotti. No, non parlo dei fragranti "Abbracci" del Mulino Bianco o delle deliziose "Gocciole" Pavesi. Mi riferisco ai "cookies", quei minuscoli e insidiosi file che collezioniamo e che ci spiano durante la navigazione in rete.
Chi ci appioppa questi dolcetti, ci rassicura dicendo che gli servono per personalizzare la loro offerta in relazione alle nostre necessità; ma la realtà è ben diversa: il loro unico scopo è quello di prendere il controllo delle nostre tendenze per poi dirottarle a proprio vantaggio, col fine ultimo di ricavarne un guadagno (leggasi potere).
Ci sono specifiche direttive dell'U.E. che proteggono la nostra privacy dai malefici cookies, ma direi che servono a poco o nulla. Perchè aggirate con questo ricatto: o cavalchi le onde del web da "capitano" (ma è solo un'illusione), registrandoti a siti e servizi e accettando di essere bombardato da migliaia di pubblicità mirate alle tue inclinazioni, oppure... resti chiuso nella stiva a guardare il mondo da un oblò.

Clogs e cookies, l'associazione è presto fatta.
Se su Internet mi scappa di digitare "scarpe ecologiche", il resto della navigazione sarà accompagnato dagli annunci promozionali di "El Naturalista", marchio spagnolo di calzature fondato sull'ecosostenibilità.
E questa cosa potrebbe anche tornarmi utile, perchè incontra e rispetta le mie propensioni.
Ma se mi azzardo a scrivere «io odio i clogs», ecco che mi ritrovo assillato dagli annunci della famigerata *****, proprio il mostro alle cui grinfie tentavo di sfuggire, e che invece mi inseguirà ovunque con i suoi orrendi e impattanti zoccoli colorati.
Questo non è corretto («non può vabbènere», direbbe un mio caro omonimo), perché è come regalare cioccolatini a un diabetico, o un gagliardetto del Milan a un Interista. Io ti dico che non sopporto il fumo e tu che fai, mi porti in una sala fumatori?
Un paradosso tanto sgradevole quanto inevitabile, che ci riporta indietro di quei due/tre millenni, a recuperare gli antichi manoscritti di chi sosteneva che la Terra fosse piatta e circolare, come una moneta (!).


DOC

Doctor Peter racconta / 1° episodio: Un piccolo grande granchio

La serie fu inaugurata nel vecchio blog "Doctor Peter and Mister Hook", sotto il titolo "Avventura senza fine". Si tratta di racconti autoconclusivi che possono essere letti anche singolarmente, essendo collegati tra loro solo da piccoli spunti o da personaggi già presentati. L'elenco completo delle pubblicazioni si trova in fondo.


C'era una volta un piccolo granchio, capace di grandi cose. I suoi simili lo ammiravano per la sua grande forza e lo smisurato coraggio. Era il più anziano della comunità, e si vedeva: la conchiglia che lo ospitava era erosa dal mare al punto di essere diversa da tutte le altre. La superficie estremamente levigata, i colori accesi delle sue striature ne raccontavano la storia. Una storia fatta di sopravvivenza, di grandi lotte vinte contro voraci predatori, di inverni difficili e di continui spostamenti alla ricerca di abitabili habitat.
Aveva guidato il suo popolo, costantemente decimato dai cambiamenti geologici, dall'inquinamento e da impietose reti da pesca, in ogni viaggio che si era reso necessario; l'ultimo lo aveva portato ad approdare su quell'enorme scoglio che gli umani chiamano "Scoglietto", poco al largo dell'isola d'Elba.
Lì, dopo attente valutazioni, aveva deciso di stabilirsi in una piccola baia ad Oriente che sembrava la meno esposta ad eventuali turbolenze climatiche. Rassicurati i suoi seguaci, che in quegli anfratti ebbero modo di riprendere il naturale corso della vita, continuò a prodigarsi quotidianamente - nonostante la veneranda età - per la loro felicità ed il loro benessere.
Per diverso tempo nella baia regnò una discreta serenità, senonchè, in un pomeriggio tiepido di ottobre, un giovane ippocampo chiese di poter conferire con lui, con un'espressione concitata che non lasciava presagire nulla di buono...
Una volta al cospetto del piccolo granchio, gli disse che non c'era tempo e che bisognava subito fuggire tutti. Una grossa petroliera diretta a Genova aveva subìto una grave avaria nelle acque antistanti, e le sostanze che trasportava si stavano riversando in mare in grande quantità. Intanto voci analoghe giungevano da altri fuggiaschi: piccoli pesci, molluschi, meduse, polpi, ma anche animali più imponenti, squali, pesci martello e simili che, contrariamente a quanto ci si potrebbe aspettare, non approfittarono di quell'emergenza per divorare i loro compagni più deboli.
Mentre il granchio dava disposizioni affinchè tutti si allontanassero dalla riva e si portassero in salvo verso Occidente, la marea nera lambiva già la costa, mietendo le prime vittime. In prossimità del litorale dovette constatare che alcuni tra i nuovi nati non erano in grado di sottrarsi alla densità delle onde nere di petrolio. Più in là vide una grande stella marina. Gli montò sul dorso, e navigando a fatica verso i granchietti, li raggiunse. Imbarcati tutti gli esserini su quella zattera improvvisata, il loro peso rese la navigazione ancora più travagliata, e portarli in un luogo sicuro si rivelò per il granchio un'impresa ai limiti dell'impossibile.

Quel giocattolo che vibra nelle ossa e ti entra nella pelle



Una morbida poltrona. Enormi cuffie altrettanto morbide, impianto stereo altrettanto enorme. "Sgt. Pepper's Lonely Hearts Club Band". Il mio primo "viaggio musicale" è legato ai Beatles. Sonorità trasgressive per quei tempi (fine anni '70), che in seguito avrebbero rivoluzionato anche il mio spirito, musicalmente parlando (e non solo). Era diventato il mio nuovo giocattolo, la musica ribelle, perché mi faceva stare bene.
Quando ascolto qualcosa di nuovo, automaticamente viene messo alla prova da un processo del tutto istintivo: il verdetto risulta positivo solo se le onde percepite dai timpani e filtrate dal cervello, ottenuta l'approvazione generale del corpo, approdano direttamente all'anima. Un meccanismo sensibilmente unico, in grado di rigettare elementi dannosi (suoni inutili, testi privi di senso, scarsa passione, brama di denaro, incompetenza, etc.) e nel contempo fare tesoro di buona Musica da ascoltare, assorbire e condividere. Era il mio giocattolo, la musica ribelle, perché mi faceva stare bene. Lo è ancora, mi trastulla soprattutto quando sento il bisogno di ritrovarmi.

♪   ♫   ♪

The Beatles: la band musicale più amata in assoluto. Oggi si festeggia il 50° anniversario dell'uscita del loro primo disco. Una festa che si ripete (e si ripeterà) ogni giorno, perchè in diverse parti del mondo c'è sempre qualcuno che li onora deliziandosi con la loro intramontabile Musica.
I Beatles sono stati una delle colonne (sonore) della mia giovinezza, e in questo giorno non potevo che ribadirlo, pubblicando questo post scritto due anni fa sul vecchio blog "Doctor Peter and Mister Hook". Un blog può cambiare, ma l'autore e la sua band preferita restano sempre gli stessi...

Permettetemi solo di aggiungere una ciliegina (anzi due).

"Helter Skelter" è un brano che porto tatuato dentro di me dalla prima volta che lo sentii. Da Wikipedia: «La canzone fu scritta principalmente da Paul McCartney (sebbene porti anche la firma di John Lennon, secondo la convenzione che i due autori rispettarono sempre). Il brano apparve nell'album "The Beatles" del 1968, noto come "White Album" ("album bianco"). La canzone è nota per aver anticipato diversi elementi di generi rock che si sarebbero sviluppati solo nei decenni successivi, come hard rock e heavy metal. Del brano sono state realizzate numerosissime cover, incluse quelle dei Mötley Crüe, Oasis, U2, Spite Extreme Wing, Aerosmith e Siouxsie and the Banshees. L'espressione inglese "helter skelter" indica i grandi scivoli di forma elicoidale dei luna park».


E infine "Love me do", ovvero la canzone regina di questo anniversario: 50 anni e non sentirli... O meglio, non si può non sentirli. Loro sono The Beatles.



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