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Amanda e la fine del mondo



Bologna, 18 Novembre 2110, minuti 450 circa. Amanda esce di casa e raggiunge la porta ATCity 33B. Arrivata in ritardo, le tocca attendere 180 secondi per la corsa successiva, così approfitta della lunga pausa forzata per ascoltare le ultime notizie. Apre la borsetta, scarta una radiopillow e la ingoia.

«...Rah-rah-ah-ah-ah-ah! Roma-roma-mamaa! Ga-ga-ooh-la-la! Want your bad romance! ...Scarica subito la hit-vintage "Lady Gaga cent'anni fa" sul tuo cervellulare, e fatti invidiare! ...Buongiorno a tutti dal TG RadioRmai. "Qui si fa il futuro o si muore". Con queste parole il Presidente della Repubblica Antonio Pio Gargilo questa mattina ha simbolicamente premuto il bottone della speranza. Mancano infatti pochi minuti al lancio dello Space Hook. L'umanità intera attende con trepidazione l'esito dell'operazione denominata "Sorella Luna". Ricordiamo che nel malaugurato caso di un fallimento, perderemmo per sempre il nostro satellite. Si tratta dell'ultima chance a nostra disposizione: un fiasco, a detta degli studiosi, aprirebbe a scenari a dir poco apocalittici. Basti pensare che ogni forma di vita sul nostro pianeta sarebbe destinata a scomparire nel giro di poche settimane.
Contro un simile incubo, la Scienza, per fortuna, è dalla nostra parte: le probabilità di successo sono altissime, come ci riferisce lo stesso professore Chizichi, supervisore delle operazioni. Ascoltiamolo in questa registrazione. "Abbiamo scelto la base di Trapani proprio perchè è l'unica che si presta al calcolo di una traiettoria pressoché esatta, traducibile in una certezza di impatto superiore al 90%. Se la Luna ha deciso di deviare la propria orbita, ovvero di abbandonare la Terra, dimostreremo oggi che anche l'uomo è in grado di cambiare il corso del proprio destino, riportando le cose alla normalità. L'arpione sarà lanciato a 510 minuti locali, e il globo lunare sarà agganciato in sole 60 ore. I cavi saranno controllati dai tecnici della base, tramite un apposito software che si occuperà di regolarne l'estensione lungo la rotta. Ho controllato personalmente gli schemi, e per quanto si tratti di una soluzione improvvisata, posso garantire l'assoluta affidabilità del progetto". L'edizione flash termina qui, riprenderemo dopo la pubblicità per seguire in diretta gli sviluppi di questo storico evento. A risentirci. ...Ga-ga-ooh-la-la!...»

Amanda uscì dalla porta dimensionale di arrivo. Quel giorno, a causa dell'evento descritto dalla radio, negozi e uffici restarono chiusi, e lei aveva deciso di sfruttare la mattinata libera per fare una sorpresa al suo compagno. Kyros e Amanda si erano lasciati da poco in seguito all'ennesima litigata... ma lei aveva deciso - per l'ennesima volta - di perdonarlo. Raggiunto l'appartamento dell'uomo, aprì la porta con la keycard ancora in suo possesso e si affacciò silenziosa alla camera da letto, sicura di trovarlo ancora tra le braccia di Morfeo. Accese la luce, e scoprì che le braccia attorno a Kyros non appartenevano al corpo di un dio greco, bensì a quello più scuro e prorompente di una bellissima donna brasiliana. I colori brillanti della grande tela di Mirò che un attimo prima adornava la testiera del letto, adesso incorniciavano le loro teste. Amanda fuggì da quell'orrenda visione sbattendo la porta.

Poco dopo, asciugate le lacrime, entrò in un bar. Chiese un bicchiere d'aQa, poi andò nel bagno a ricomporsi. Quindi tornò a sedersi a un tavolino, dove bevve una tazza di fintolatte. Davanti al suo sguardo perso, l'olovisione.

«La notizia è ufficiale. Un'impercettibile scossa sismica terrestre ha deviato di 0,2 gradi la traiettoria: l'arpione non è arrivato perpendicolare sul suolo lunare, lo ha solo scalfitto senza fare presa. Sembra proprio che tutto sia andato perduto, cari olospettatori. Ma prima di chiudere vorremmo ricordarvi che siete ancora in tempo per rinnovare l'abbonamento Rmai... Non si sa mai».

Amanda si alzò. Avrebbe pagato la colazione, ma nel bar non c'era più nessuno. Uscì in strada e riprese a camminare pensando alla sua storia con Kyros: un sogno infranto, come del resto tutto il resto. Incidenti, sirene, gente che urlava e cani che abbaiavano andavano a braccetto con le sue elucubrazioni a testa bassa... quando sentì, alle spalle, pronunciare il suo nome. Si voltò e lo fissò dritto negli occhi. Preso per mano, si diressero nuovamente a casa sua: non era il caso di sprecare il poco tempo che restava.

Epilogo

«Oggi sono un Presidente ancor più fiero. Fiero e orgoglioso della forza del nostro Paese, capace di risollevare le sorti dell'intero pianeta. Fiero dei cittadini che hanno stretto i denti fino all'ultimo, limitando i danni generati da una naturale psicosi. Ma soprattutto fiero di apporre la medaglia al valore sul petto del nostro stimato professor Chizichi, per la sua sapienza che si è rivelata determinante in un momento così delicato, per il suo impeccabile impegno e per il suo nobile coraggio. Se abbiamo potuto tentare un secondo lancio dello Space Hook e ottenere un esito positivo, lo dobbiamo solo a lui e al suo prezioso staff di tecnici, che sono stati in grado di resettare le apparecchiature e riprogrammarle in tempi ridottissimi. Grazie Professore».

- Ti amo.
- Anch'io.
DOC

Doctor Peter racconta / 6° episodio: La gratitudine di mamma gattona

Gli episodi di questa serie sono autoconclusivi: possono essere letti anche singolarmente, essendo collegati tra loro solo da piccoli spunti o da personaggi già presentati. L'elenco completo delle pubblicazioni si trova in fondo.

- Silvio! Scendi subito da lì!
Il bimbo si era arrampicato pericolosamente su un alto traliccio, approfittando di un attimo di distrazione della madre. Fortunatamente per entrambi, lei lo aveva ben educato all'obbedienza, così le diede subito ascolto, rinunciando con rammarico alla sua impresa.
- Va bene mamma. Ma resta sotto, che ho paura di cadere. - Così dicendo, Silvio scese lentamente.
- Ma si può sapere che ti ha preso? - Disse la madre, severa e preoccupata.
- Guarda - disse il bimbo, indicando la cima del traliccio. Lassù un grosso gatto tigrato allungava il collo verso di loro.
- Diamine, e quello come ci è finito lassù? - Si chiese la madre.
- Non sa scendere, mamma. Ha paura. Bisogna fare qualcosa.
Nel frattempo alcuni curiosi si erano avvicinati, e discutevano indicando il micio impaurito. Il bambino aveva ragione, tanto più che stava cominciando a piovere, e dalle condizioni del cielo c'era da aspettarsi un temporale coi fiocchi.
Quando la madre, assillata dall'insistenza di Silvio, decise di telefonare ai Vigili del Fuoco, la pioggia veniva giù fitta e impietosa, accompagnata da un ritmo incalzante di lampi e tuoni, e l'acqua si gonfiava sul ciglio della strada ormai deserta.
Ai piedi della struttura, madre e figlio attendevano al riparo di una cabina telefonica le sorti del povero gatto, che si intravedeva a malapena. I suoi miagolii si perdevano nel frastuono della burrasca.
All'improvviso, la peggiore cosa che potesse capitare in una situazione simile, accadde. Il fascio di luce di un fulmine si scagliò violento proprio sulla punta del traliccio, investendo il gatto e compromettendo il suo già precario equilibrio.
Silvio si precipitò fuori dalla cabina, la madre gli urlò dietro qualcosa... Un istante dopo, il fradicio corpicino dello sventurato era tra le sue braccia. Tornato al riparo, la madre avvolse il micio in un caldo scialle. Sembrava senza vita, ma come poterono constatare pochi minuti dopo, grazie al Cielo non lo era.
Nel frattempo erano arrivati i pompieri, che li invitarono a salire sull'autocarro e li accompagnarono al più vicino veterinario. La dottoressa, dopo una breve visita, rassicurò Silvio: la gatta (si scoprì che era femmina) accusava solo un po' di stordimento, ma stava benone. E in più era incinta.
L'ira di quel nefasto temporale si era finalmente placata, così uscirono dal laboratorio e si avviarono verso casa portando con loro Saetta (è il nome che le avevano dato), che ora faceva le fusa.

Sei mesi dopo.

- Silvio, per favore, vammi a prendere un sacco di patate in cantina.
- Va bene mamma.
Lei preparava il pranzo, sotto lo sguardo attento di Saetta e dei tre graziosi cuccioli che aveva dato alla luce, quando una serie di tonfi la mise in allarme.
- Silvio, che combini? Tutto bene? - urlò verso la cantina. Quindi si asciugò le mani e andò a vedere cosa era successo. La sua preoccupazione si trasformò tragicamente in panico, quando vide il corpo del figlio disteso e immobile in fondo alla scala.
- Silvio. Rispondimi. Qui c'è la tua mamma - disse al figliolo, scuotendolo lievemente. Gli mise poi una mano sul cuore per sentirne il battito, e accostò l'orecchio alle sue labbra per recepirne il respiro. Nè battiti, nè respiri. La madre scoppiò in lacrime, e corse a telefonare al Pronto Soccorso.
Mentre lei componeva il numero, i tre cuccioli scesero i gradini della scala. Una volta raggiunto il corpo di Silvio, uno cominciò a leccargli la mano destra, un altro la sinistra, mentre il terzo, montatogli sul petto, lo fissava in volto: un grottesco quadretto che rendeva la scena di quel dramma ancora più grave.
- L'indirizzo ve l'ho dato, che altro devo aspettare? - La madre, in preda alla disperazione, sollecitava con insistenza l'intervento dei medici.
- Mamma... sono caduto... - disse improvvisamente Silvio dietro di lei, stropicciandosi gli occhi.
La madre si voltò con un sobbalzo. - Silvio! Grazie al Cielo... Stai bene? - gli chiese, riponendo la cornetta del telefono per accoglierlo in un abbraccio insperato.
- Sì - le rispose - ho battuto la testa e devo essere svenuto...

Nella cucina, i tre gattini dormivano addossati a Saetta, che li leccava affettuosa. Il fulmine che aveva colpito la gatta, per qualche inspiegabile fenomeno, l'aveva dotata di una misteriosa energia; lei aveva trasmesso quel miracoloso potere ai suoi cuccioli, che in quell'occasione poterono ricambiare, sotto l'influsso della madre, il nobile gesto che Silvio aveva compiuto salvandole la vita.


Rap della Vigilia



Nello stivale di Babbo Natale
Pino il topino schiacciava un pisolino.
«E' la notte», disse Charlotte,
«E' la vigilia» disse Cecilia.
Le campanelle delle due faterelle
trillavano a sveglia: «Comincia la veglia!»

Attendeva la slitta, i regali in soffitta,
le renne già pronte, la cometa all'orizzonte.
«Babbo prediletto, alzati dal letto!»
insistevano le fate svolazzando preoccupate.
Ma lui non battè ciglio, ronfava sul giaciglio...

Era stanco e assai provato, tanto aveva lavorato
tutto il giorno con gli gnomi ad apporre tutti i nomi
sui biglietti augurali dei pacchetti dei regali.
Mille nastri e mille fiocchi adornavano i balocchi,
ma se Babbo non s'alzava a quei bimbi chi glieli portava?

Un tonfo dal camino destò Pino il topino,
che dallo stivale, incuriosito, vide un bimbo infreddolito.
Poi ne arrivò un altro, e poi ancora un altro;
quando riempirono tutto il salotto, il topino si diede un pizzicotto
per capire se ancora sognava o se quell'invasione realmente avveniva.

«E voi chi siete, qui che ci fate?», dissero intanto in coro le fate,
appena giunte nella stanza seguendo il frastuono di quell'adunanza.
«E' una sorpresa per Babbo Natale!
- disse il più grande con tono vitale -
Ciascuno di noi ha portato un dono,
per lui che di tutti è il babbo più buono».

Charlotte aprì l'uscio della casetta:
«Ma qui c'è una gran folla che aspetta!»
Cecilia, dalla finestra, vide che c'era perfino l'orchestra.
«Oh! Oh! Oh!» esclamò Babbo Natale, e continuò scendendo le scale:
«Venite avanti, venite tutti quanti,
stavolta che insieme possiamo festeggiare,
venite, orsù, lasciatevi abbracciare».

Fu grande baldoria per tutta la notte,
insieme ai bambini, a Cecilia, a Charlotte,
e a Pino il topino che rideva di gusto,
felice per tanto inatteso trambusto.

DOC


(Pubblicato due anni orsono in "Doctor Peter and Mister Hook")

Doctor Peter racconta / 5° episodio: Grande Fratello con sorpresa

Gli episodi di questa serie sono autoconclusivi: possono essere letti anche singolarmente, essendo collegati tra loro solo da piccoli spunti o da personaggi già presentati. L'elenco completo delle pubblicazioni si trova in fondo.


«Vito». «Presente». «Vittoria». «Presente». «Zaccaria». «Presente». L'appello era l'unica formalità richiesta in quel luogo, necessaria per poter aggiornare il censimento a fine anno. Dal giardino, in gruppi distinti, i presenti si diressero quindi all'osservatorio.
Il palazzo era davvero imponente e la sua struttura biancastra di forma sferica era per metà incastonata in un terreno lastricato di candida roccia levigata. All'interno dell'emisfero superiore raccoglieva 3.333 aule, disposte a raggiera, ciascuna con una enorme finestra che guardava verso il centro; l'emisfero sotterraneo contava altrettante aule, destinate esclusivamente ad operazioni di servizio, di controllo e di manutenzione dell'intero impianto.
Al centro, il cuore dell'osservatorio era costituito da una gigantesca sfera di colore verde acceso, in cui si intravedeva un nucleo nero, che "galleggiava" ruotando lentamente in direzioni apparentemente casuali. Gli "spettatori" che occupavano le aule, seduti su morbide poltrone, erano agevolati in qualsiasi esigenza gli fosse occorsa da eleganti esseri antropomorfi ed ermafroditi, gli "Zelanti".
Guardavano tutti quell'enorme palla che, osservata attraverso il vetro azzurro dei finestroni, aveva il potere di restituire immagini di vita terrena. Ognuno poteva vederci ciò che desiderava: comandandola semplicemente col pensiero, decidevano quale luogo osservare, e in quale tempo dovesse collocarsi. Così, mentre Vito, deceduto per morte naturale, osservava la dolce mogliettina che in quel momento stava sfornando dei deliziosi dolcetti, Vittoria, che era lì a causa di un incidente, guardava nel passato le sue interazioni con le compagne di scuola per capire dove aveva sbagliato, e perchè non era riuscita a inserirsi. Zaccaria, vittima di un infarto fatale, si stava occupando del futuro dei nipotini che aveva lasciato laggiù.
Ma quella sera qualcosa di veramente inaspettato avrebbe colto tutti di sorpresa.
La sfera, opponendosi improvvisamente e ostinatamente al controllo del loro pensiero, mostrò dapprima un simbolo, con un fiore ed un serpente, o meglio, una biscia arrotolata, accompagnato da un jingle. Poi lo spot pubblicitario della pasta "Brilla", seguito da quello dei bastoncini "Fintus", e da molti, molti altri. I presenti manifestarono immediatamente il loro disappunto, in uno scompiglio di commenti che è meglio non riportare. Gli Zelanti, nel frattempo, si affrettavano a distribuire una circolare.
La lettera annunciava qualcosa di sconvolgente: «Caro amico/a, l'Azienda è lieta di informarLa che in data odierna le trasmissioni del canale Terra saranno arricchite da utili consigli per gli acquisti, in adeguamento alle normative CEE (Consiglio delle Comunicazioni Extraterrene). La preghiamo solo di liberare la mente durante gli spot pubblicitari, per agevolare una migliore qualità di riproduzione. Certi della Sua preziosa collaborazione, porgiamo sinceri saluti. Il delegato, P.B.»
Un cambiamento di tale portata non accadeva da tempo memorabile. Qualcuno cominciò a chiedersi se potesse essere riconducibile al recente arrivo nell'Altromondo di un illustre personaggio scomparso dalla terra pochi giorni prima, e che già era divenuto leggenda.

Differenziata: questi dove si buttano?


Banner pubblicitari spazzatura


DOC

L'universo è donna


"Giornata internazionale sulla violenza contro le donne".
Non esiste giustificazione valida per una violenza, si tratti di un'offesa fisica, psicologica o danno materiale. Non esiste, si tratti dell'oltraggio a una donna, un uomo, un transessuale, un extracomunitario, un invalido, uno spacciatore, un povero, un ricco, un siciliano, una persona normale (?), un cane, un fiore, un pazzo, un popolo, un laico, una moglie, un monumento, un nemico, un amico, un familiare, un collega, un Vip, un barbone, un fratello, una panchina, un nero, un bianco, un orientale, una lesbica, un marito, un medico, un milanese, un lebbroso, un politico, un musulmano, una formica, un autobus, un tossico, un bello, un professore, una rumena, un ignorante, un anziano, un poliziotto, un extraterrestre, un cristiano, un tarantino, un re, un bambino, un prete, un figlio di puttana, una puttana, un tassista, un gay, un mafioso, un tabaccaio, una preda di qualunque caccia. NON ESISTE!
Devo continuare? Potrei chissà per quanto, ma penso sia abbastanza. Penso sia chiaro che la questione mi sta a cuore, e che ho preso spunto da questa amara (spero utile) ricorrenza per esprimere il mio pensiero a riguardo, estendendolo a tutte le categorie. Non basta una giornata, e non pensiamo solo alle donne: a mio avviso dovrebbero istituire il "Tempo universale sul rispetto dell'esistenza"... Nell'attesa, non posso che ridimensionare nuovamente il concetto, "riducendolo" alla celebrazione di questa giornata, e unendomi al coro di voci che gridano «Forza donne!» Vi amo.

DOC

P.S.: Mi si perdonino le infinite omissioni.

Doctor Peter racconta / 4° episodio: La crostata alla ricotta

Gli episodi di questa serie sono autoconclusivi: possono essere letti anche singolarmente, essendo collegati tra loro solo da piccoli spunti o da personaggi già presentati. L'elenco completo delle pubblicazioni si trova in fondo.


Era una bellissima Domenica mattina, bianca di sole. Le donne uscivano dalla cattedrale di San Lorenzo chiacchierando a bassa voce, i mariti le seguivano discutendo di calcio, i figlioli le anticipavano rincorrendosi. Il pomeriggio lo avrebbero trascorso tutti in famiglia: parenti, pranzo, vino, dolci, caffè, giochi per i bambini e partite alla tv per i grandi, nel caratteristico e vivace frastuono di stoviglie, sedie, campanelli, squilli di cellulare, reti segnate e reti mancate.
Mentre percorrevano Corso Vittorio Emanuele per raggiungere le proprie auto e quindi le proprie case, li accarezzava un diffuso profumo dolce e inebriante che proveniva, distinguendosi dagli altri odori di cibo, dal balcone di un appartamento affacciato su una delle traverse. Nella cucina di quell'appartamento la signora Adele, una placida vedova di 78 anni, aveva da poco sfornato due crostate: una alle mele e una alla ricotta. La sua specialità erano i biscotti alle mandorle, ma nei giorni di festa le piaceva superarsi con torte e crostate. Quella mattina si era alzata presto, era andata alla prima funzione, e una volta rientrata si era messa subito ai fornelli per riprendere la preparazione del pranzo avviata la sera prima.
Ora era tutto pronto, mancavano solo i commensali. Nell'attesa andò nel soggiorno, si adagiò sulla poltrona in vimini, accese la tv e cominciò ad aggiungere un po' di punti alla sciarpa da regalare a Umberto, il figlio grande. Poco dopo, le mani ferme sulle ginocchia e la testa appoggiata di lato sul piccolo cuscino di velluto bordeaux: si era assopita guardando un noioso documentario sui granchi e sulle stelle marine.
Quando suonò il campanello, ripose i ferri e andò ad aprire. Non credeva ai suoi occhi, che presto cedettero alle lacrime: sulla soglia, proprio davanti a lei, c'era Vito.
O meglio Vituzzu, come lo chiamava lei, il compianto marito. Elegante come era sempre stato, abbracciò la moglie, spaesata da un turbine di emozioni troppo difficili da controllare. «Si, io ci sono, ci sono sempre stato, e non ti abbandonerò mai».
La felicità di Adele nel ritrovare il suo grande amore fu tale da cancellare ogni domanda. «Siedi, Vituzzu, adesso arrivano gli altri». «Grazie, Adelina, ma posso restare solo pochi minuti...» «Tieni, prendi almeno un pezzo di crostata. E' quella alla ricotta, che ti piaceva tanto». Mentre lui assaporava quel dolce, lei lo fissava con occhi lucidi di affetto e incredulità. Restarono ancora un po' insieme, tenendosi le mani e scambiandosi teneri sguardi colmi di sentimento.
«Ora devo andare, Adelina, ma la prossima volta avremo tutto il tempo...»
Quando suonò il campanello, Adele ripose i ferri e andò ad aprire. La nipotina le saltò in braccio, seguita dal nipote più grande che le diede un bacio, e via via la casa si animò dei parenti giunti per il consueto pranzo domenicale.
Lei non parlò di quanto le era accaduto, l'avrebbero presa per matta. Arrivato il momento del dolce, tirò fuori dal forno la crostata di mele, quindi la crostata alla ricotta alla quale mancava una piccola fetta. «Scusate» - disse ai suoi ospiti - «dovevo essere certa che fosse buona».

Planetario (tragedia)



Verrà un tempo in cui la Terra, stanca di fare girotondo, si scontrerà con la Luna, distruggendola. E poi continuerà a vagare nello spazio ignoto, scansando gli altri pianeti per rispetto. Prima, però, renderà grazie al Sole: lui e il suo Sistema gli avevano sempre voluto un gran bene, e certe cose non si dimenticano.
Nel periodo che seguirà, buio di noia e solitudine, ogni tanto infilerà una Chesterfield nel Vesuvio, farà di una piccola stella la sua fiamma e fumerà, immaginando un futuro qualunque.
Marte, approfittando del trambusto, si proietterà anch'esso verso l'infinito, seguito dai due satelliti: innamorato della vicina Terra ormai da tempo, vorrà raggiungerla, ma otterrà soltanto di perdersi nella notte cosmica.
Giove e Saturno, i pianeti maggiori, ingaggeranno una lotta per conquistare Venere, l'unica femmina rimasta nella comitiva; lo scontro annullerà le loro masse, trasformandole in polvere di stelle.
Dei trentatrè satelliti orfani se ne occuperà il Sole, chiamandoli a sè e incendiandoli.
Stessa sorte subirà Mercurio, nell'intento di strappare i piccoli orfanelli al loro triste ma inevitabile destino. Del suo eroico gesto, peraltro, nessuno conserverà memoria.
Plutone, piccolo pianeta dell'orbita più esterna, per effetto del caos sopravvenuto, verrà scagliato fuori dalla scena ad un'accelerazione tale da sciogliersi in una piega spazio-temporale. La sua unica luna, veloce come un proiettile, trafiggerà il cuore di Venere.
Urano e Nettuno riusciranno a fuggire, ma solo per naufragare in un racconto che non esiste. I loro satelliti (in tutto sette) saranno colonizzati da bellicose razze aliene.
A quel punto il Sole, in assenza di corpi celesti da dover riscaldare, spegnerà la luce. E potrà finalmente concedersi un lungo sonno, e finalmente sognare.

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Doctor Peter racconta / 3° episodio: Umberto e Mounir

Gli episodi di questa serie sono autoconclusivi: possono essere letti anche singolarmente, essendo collegati tra loro solo da piccoli spunti o da personaggi già presentati. L'elenco completo delle pubblicazioni si trova in fondo.


«Accidenti, devo aver bevuto troppo, ieri sera». Diede un'occhiata fuori, quindi rientrò. Tornando nel retrobottega, mentre si stropicciava gli occhi pensava: «Due bambine con dei libri in mano, a quest'ora, sulla provinciale? Naa, sto ancora sognando. Eppure son sicuro di aver sentito bussare...»
Umberto, celibe, 48 anni compiuti il giorno prima, gestiva una stazione di servizio vicino Genova, dove possedeva un piccolo appartamento, ma spesso preferiva restare a dormire lì, nel retro del suo locale.
Mancava più di un'ora all'apertura del distributore e lui, ormai sveglio, aveva tutto il tempo per prepararsi la colazione. Ciononostante... «Uffa! Stamani non gira. Dove caspita sono finiti i biscotti?» Si riferiva ai dolcetti alle mandorle che la madre gli aveva spedito da Trapani: erano la sua passione fin da piccolo, e come li faceva lei non li faceva nessuno.
«CLONK!» Un rumore sordo. «Chi va là?» Da dietro il frigorifero, rotolando sul pavimento, spuntò fuori il barattolo del miele. Umberto, tremando, prese un vecchio bastone che teneva lì per precauzione ma che fino ad allora non aveva mai usato. Si avvicinò lentamente al frigo. «Vieni fuori, piccolo bastardo». Accovacciato e terrorizzato, un ragazzino dalla pelle olivastra lo fissava con gli occhi lucidi. «Scusa... Io non... Ahi!» Lo tirò su da un orecchio e lo bloccò contro la parete. «Che diavolo ci facevi lì dietro, eh? Mangiavi i miei biscotti, volevi rubare, eh?» «Scusa signore, non volevo... Non picchiare me, signore». «Ecco chi è che mi ha svegliato! Ma io ti conosco, sai? Tu sei quel ragazzetto che lava i vetri alle macchine, giù al semaforo. Dove sono i tuoi genitori?» «Io... non genitori». «Come sarebbe a dire? E quelli che ti accompagnano ogni mattina al semaforo?» «Loro non genitori. Loro... lasciato me. Io non bravo a fare soldi». «Ah, e così volevi rubarli a me, eh? Ma t'insegno io... Tira fuori tutto quello che hai in tasca!» Il bambino posò sul tavolo due biscotti (gli ultimi), alcune gomme da masticare, un temperino e tre Euro. Lui lo prese dal colletto e lo spinse verso la porta. «Adesso fuori di qui, e ringrazia che non ho chiamato la polizia. Non ti permettere mai più, hai capito?» Il ragazzino corse via a gambe levate.
Mentre preparava la colazione, Umberto rimuginò sull'accaduto, fissando ciò che il bambino aveva lasciato sul tavolo. Gli restava ancora un po' di tempo... Bevve l'ultimo sorso di caffè, prese le chiavi del furgone e uscì. Si diresse verso il semaforo. Il ragazzino straniero era seduto sul marciapiede, con la testa tra le mani. Lui gli si avvicinò e abbassò il finestrino. «Ehi tu, vieni un po' qui». «Scusa signore. Io chiesto scusa». «Vieni qui ho detto. Dietro c'è una spugna e del detersivo. Lavami il parabrezza». «Io... va bene signore». Poco dopo quel vetro brillava come un diamante.
«Monta su». «Cosa dici signore?» «Sali, ho detto». Mise in moto e fece inversione di marcia. «Li lavi proprio bene i vetri, sai?» «Grazie signore. Io ho fame, signore». «Ti piacerebbe lavorare con me?» «Io... va bene signore». «Facciamo così: stamattina ti metto alla prova, e se ti comporti bene potrai restare». Il volto del bambino si accese con un sorriso. «Va bene, va bene. Tu sei buono, signore». «Non chiamarmi signore, chiamami Umberto, okay?» «Okay, signore».
Quella mattina il ragazzino diede il meglio di sè. Umberto non potè comunque assumerlo, perchè non era maggiorenne. Ma si era affezionato al piccolo Mounir (era il suo nome, tunisino) al punto che in seguito avviò le pratiche per l'adozione. Oggi Umberto e Mounir vivono, lavorano e si divertono insieme, e ogni mattina condividono la colazione, soprattutto quei dolcetti alle mandorle che gli piacciono tanto e che li mettono di buon umore.

Doctor Peter racconta / 2° episodio: Undici anni

Gli episodi di questa serie sono autoconclusivi: possono essere letti anche singolarmente, essendo collegati tra loro solo da piccoli spunti o da personaggi già presentati. L'elenco completo delle pubblicazioni si trova in fondo.


«Mamma, guarda che carini». La piccola Francesca, 11 anni, era in gita in barca con i genitori, in quel tiepido e sereno pomeriggio di Ottobre. Giocando con una retina da pesca era riuscita a tirare su una bella stella marina, purtroppo senza vita, che galleggiava trasportando su di sè un piccolo granchio allo stremo delle sue forze. «Che belli. Versali nella vaschetta, così quando torniamo a casa li mettiamo nell'acquario». La sera seguente il granchio, in compagnia di coloratissimi pesci, osservava attraverso le pareti della sua nuova casa quella buffa bambina che gli aveva salvato la vita.
«Toc toc!» La madre entrò nella stanza, le diede la buonanotte, spense la luce e chiuse la porta. Buio e silenzio per alcuni minuti, poi improvvisamente l'abat-jour sul comodino si riaccese. Si era seduta a scribacchiare sul suo diario; ogni tanto si soffermava a pensare, poi riprendeva. Infine lo chiuse e lo infilò sotto il materasso, quindi si sdraiò nuovamente, ma non si sarebbe messa a dormire. Allungò un braccio dall'altro lato del letto, e da uno scatolone sotto di sè estrasse un grande libro molto antico. Spense la luce, accese una candela bianca al profumo di rose e con la piccola chiave che adornava il suo braccialetto tolse il lucchetto che proteggeva il libro dagli sguardi indiscreti.
Lo aprì aiutandosi con la fascetta in nappa dorata che teneva il segno, e cominciò a leggere a bassa voce. Le parole incomprensibili e gli astrusi ritornelli che pronunciava componevano una cantilena che avrebbe dato vita ad una sorta di incantesimo dagli effetti sorprendenti: a poco a poco l'esile figura della bambina cominciò a farsi sempre più evanescente, fino a diventare a malapena percettibile e quindi a svanire del tutto. Almeno questo è ciò che videro gli abitanti dell'acquario. Dal punto di vista della ragazzina, lei era rimasta sempre lì, mentre un prato azzurro e un cielo verde scuro con le stelle viola le si erano gradualmente delineati attorno sostituendosi alle pareti della sua cameretta.
Seduta davanti a lei un'altra bambina, più o meno della stessa età, reggeva anche lei un antico libro tra le braccia. Si sorrisero come due amiche di vecchia data, si presero per mano e s'incamminarono lungo un sentiero che tagliava a metà quel paesaggio così bislacco. Ogni tanto incrociavano altri bambini, ciascuno con il proprio libro, che andavano spensierati nella stessa direzione.
Il sentiero proseguiva attraverso una brulla radura; un pallido sole rosa si era appena affacciato all'orizzonte, quando Francesca propose all'amica di fare una sosta per riposare le gambe e concedersi una buona colazione. Un segnale indicava una stazione di servizio, poco più avanti, che cascava a fagiolo. «Speriamo che sia aperta». Bussarono alla porta del botteghino e poco dopo un uomo di mezz'età, con l'espressione assonnata e la barba incolta, aprì. Non fecero in tempo a proferire parola che un improvviso lampo accecante le interruppe.
«Ma lo sai che ore sono? Metti via quel libro e torna subito a dormire, che domani è giorno di scuola». Nel momento stesso in cui la madre aveva acceso la luce, Francesca era rientrata in sè. Ripose il libro, diede un giro di carica alla sveglia, spense la candela e si infilò sotto la coperta.
Era stanca e un po' delusa dalla brusca interruzione di quella curiosa avventura, ma pur sempre orgogliosa del segreto che custodiva. Prima di abbandonarsi al sonno, col volto sereno rivolse un pensiero alla sua amica: «Stai tranquilla, ci vediamo domani notte».

Zoccoli e biscotti nell'era subliminale


Non so te, ma io i clogs li odio. Ne odio la forma, mi fa pensare a una grassa infermiera sudata e impudente che divora un panino farcito di emmenthal durante un intervento chirurgico a cuore aperto.
Ne odio i colori, così pacchiani che qualsiasi cosa abbineresti dalla caviglia in su risulterebbe inadeguato.
E ancora di più odio il materiale con cui vengono fabbricati.
Ad esempio, sul sito della *****, azienda leader del settore, leggo questo vanto: «Tutte le calzature ***** sono progettate e prodotte unicamente usando il Croslite™, una resina a celle chiuse brevettata dall’azienda». Su Wikipedia, riguardo alla croslite: «Nel 2006 la ***** (stessa di prima, n.d.r.) ha acquistato la Foam Creations e con essa il brevetto proprietario della resina schiumosa "croslite", realizzata in Etilene Vinil Acetato, ovvero plastica copolimerica». Tradotto: l'ennesimo colpo inferto al già pietoso quadro clinico del nostro pianeta in tema di ambiente.

Tornando ai più soggettivi gusti personali, se questi zoccoli vanno così tanto di moda (fino alla nausea e non solo in Italia), immagino che ci sia qualcuno a cui piacciono.
E' anche vero però che oggi ci sono dirompenti strategie di marketing spappolacervello tali da farci credere - se volessero incentivarne la vendita - che persino le mutande sulla testa possono essere trendy.
Pericolose guerre subliminali che nell'era virtuale possono contare su veri e propri eserciti di robot al loro servizio. Agenti spietati e super addestrati che si celano sotto le mentite spoglie di innocui biscotti. No, non parlo dei fragranti "Abbracci" del Mulino Bianco o delle deliziose "Gocciole" Pavesi. Mi riferisco ai "cookies", quei minuscoli e insidiosi file che collezioniamo e che ci spiano durante la navigazione in rete.
Chi ci appioppa questi dolcetti, ci rassicura dicendo che gli servono per personalizzare la loro offerta in relazione alle nostre necessità; ma la realtà è ben diversa: il loro unico scopo è quello di prendere il controllo delle nostre tendenze per poi dirottarle a proprio vantaggio, col fine ultimo di ricavarne un guadagno (leggasi potere).
Ci sono specifiche direttive dell'U.E. che proteggono la nostra privacy dai malefici cookies, ma direi che servono a poco o nulla. Perchè aggirate con questo ricatto: o cavalchi le onde del web da "capitano" (ma è solo un'illusione), registrandoti a siti e servizi e accettando di essere bombardato da migliaia di pubblicità mirate alle tue inclinazioni, oppure... resti chiuso nella stiva a guardare il mondo da un oblò.

Clogs e cookies, l'associazione è presto fatta.
Se su Internet mi scappa di digitare "scarpe ecologiche", il resto della navigazione sarà accompagnato dagli annunci promozionali di "El Naturalista", marchio spagnolo di calzature fondato sull'ecosostenibilità.
E questa cosa potrebbe anche tornarmi utile, perchè incontra e rispetta le mie propensioni.
Ma se mi azzardo a scrivere «io odio i clogs», ecco che mi ritrovo assillato dagli annunci della famigerata *****, proprio il mostro alle cui grinfie tentavo di sfuggire, e che invece mi inseguirà ovunque con i suoi orrendi e impattanti zoccoli colorati.
Questo non è corretto («non può vabbènere», direbbe un mio caro omonimo), perché è come regalare cioccolatini a un diabetico, o un gagliardetto del Milan a un Interista. Io ti dico che non sopporto il fumo e tu che fai, mi porti in una sala fumatori?
Un paradosso tanto sgradevole quanto inevitabile, che ci riporta indietro di quei due/tre millenni, a recuperare gli antichi manoscritti di chi sosteneva che la Terra fosse piatta e circolare, come una moneta (!).


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Doctor Peter racconta / 1° episodio: Un piccolo grande granchio

La serie fu inaugurata nel vecchio blog "Doctor Peter and Mister Hook", sotto il titolo "Avventura senza fine". Si tratta di racconti autoconclusivi che possono essere letti anche singolarmente, essendo collegati tra loro solo da piccoli spunti o da personaggi già presentati. L'elenco completo delle pubblicazioni si trova in fondo.


C'era una volta un piccolo granchio, capace di grandi cose. I suoi simili lo ammiravano per la sua grande forza e lo smisurato coraggio. Era il più anziano della comunità, e si vedeva: la conchiglia che lo ospitava era erosa dal mare al punto di essere diversa da tutte le altre. La superficie estremamente levigata, i colori accesi delle sue striature ne raccontavano la storia. Una storia fatta di sopravvivenza, di grandi lotte vinte contro voraci predatori, di inverni difficili e di continui spostamenti alla ricerca di abitabili habitat.
Aveva guidato il suo popolo, costantemente decimato dai cambiamenti geologici, dall'inquinamento e da impietose reti da pesca, in ogni viaggio che si era reso necessario; l'ultimo lo aveva portato ad approdare su quell'enorme scoglio che gli umani chiamano "Scoglietto", poco al largo dell'isola d'Elba.
Lì, dopo attente valutazioni, aveva deciso di stabilirsi in una piccola baia ad Oriente che sembrava la meno esposta ad eventuali turbolenze climatiche. Rassicurati i suoi seguaci, che in quegli anfratti ebbero modo di riprendere il naturale corso della vita, continuò a prodigarsi quotidianamente - nonostante la veneranda età - per la loro felicità ed il loro benessere.
Per diverso tempo nella baia regnò una discreta serenità, senonchè, in un pomeriggio tiepido di ottobre, un giovane ippocampo chiese di poter conferire con lui, con un'espressione concitata che non lasciava presagire nulla di buono...
Una volta al cospetto del piccolo granchio, gli disse che non c'era tempo e che bisognava subito fuggire tutti. Una grossa petroliera diretta a Genova aveva subìto una grave avaria nelle acque antistanti, e le sostanze che trasportava si stavano riversando in mare in grande quantità. Intanto voci analoghe giungevano da altri fuggiaschi: piccoli pesci, molluschi, meduse, polpi, ma anche animali più imponenti, squali, pesci martello e simili che, contrariamente a quanto ci si potrebbe aspettare, non approfittarono di quell'emergenza per divorare i loro compagni più deboli.
Mentre il granchio dava disposizioni affinchè tutti si allontanassero dalla riva e si portassero in salvo verso Occidente, la marea nera lambiva già la costa, mietendo le prime vittime. In prossimità del litorale dovette constatare che alcuni tra i nuovi nati non erano in grado di sottrarsi alla densità delle onde nere di petrolio. Più in là vide una grande stella marina. Gli montò sul dorso, e navigando a fatica verso i granchietti, li raggiunse. Imbarcati tutti gli esserini su quella zattera improvvisata, il loro peso rese la navigazione ancora più travagliata, e portarli in un luogo sicuro si rivelò per il granchio un'impresa ai limiti dell'impossibile.

Quel giocattolo che vibra nelle ossa e ti entra nella pelle



Una morbida poltrona. Enormi cuffie altrettanto morbide, impianto stereo altrettanto enorme. "Sgt. Pepper's Lonely Hearts Club Band". Il mio primo "viaggio musicale" è legato ai Beatles. Sonorità trasgressive per quei tempi (fine anni '70), che in seguito avrebbero rivoluzionato anche il mio spirito, musicalmente parlando (e non solo). Era diventato il mio nuovo giocattolo, la musica ribelle, perché mi faceva stare bene.
Quando ascolto qualcosa di nuovo, automaticamente viene messo alla prova da un processo del tutto istintivo: il verdetto risulta positivo solo se le onde percepite dai timpani e filtrate dal cervello, ottenuta l'approvazione generale del corpo, approdano direttamente all'anima. Un meccanismo sensibilmente unico, in grado di rigettare elementi dannosi (suoni inutili, testi privi di senso, scarsa passione, brama di denaro, incompetenza, etc.) e nel contempo fare tesoro di buona Musica da ascoltare, assorbire e condividere. Era il mio giocattolo, la musica ribelle, perché mi faceva stare bene. Lo è ancora, mi trastulla soprattutto quando sento il bisogno di ritrovarmi.

♪   ♫   ♪

The Beatles: la band musicale più amata in assoluto. Oggi si festeggia il 50° anniversario dell'uscita del loro primo disco. Una festa che si ripete (e si ripeterà) ogni giorno, perchè in diverse parti del mondo c'è sempre qualcuno che li onora deliziandosi con la loro intramontabile Musica.
I Beatles sono stati una delle colonne (sonore) della mia giovinezza, e in questo giorno non potevo che ribadirlo, pubblicando questo post scritto due anni fa sul vecchio blog "Doctor Peter and Mister Hook". Un blog può cambiare, ma l'autore e la sua band preferita restano sempre gli stessi...

Permettetemi solo di aggiungere una ciliegina (anzi due).

"Helter Skelter" è un brano che porto tatuato dentro di me dalla prima volta che lo sentii. Da Wikipedia: «La canzone fu scritta principalmente da Paul McCartney (sebbene porti anche la firma di John Lennon, secondo la convenzione che i due autori rispettarono sempre). Il brano apparve nell'album "The Beatles" del 1968, noto come "White Album" ("album bianco"). La canzone è nota per aver anticipato diversi elementi di generi rock che si sarebbero sviluppati solo nei decenni successivi, come hard rock e heavy metal. Del brano sono state realizzate numerosissime cover, incluse quelle dei Mötley Crüe, Oasis, U2, Spite Extreme Wing, Aerosmith e Siouxsie and the Banshees. L'espressione inglese "helter skelter" indica i grandi scivoli di forma elicoidale dei luna park».


E infine "Love me do", ovvero la canzone regina di questo anniversario: 50 anni e non sentirli... O meglio, non si può non sentirli. Loro sono The Beatles.



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Cameriere? Una zuppa per due!


Foto di Jean-Noël Coghe - 1967

Jean Giraud (Moebius) e Jimi Hendrix. Del primo, illustratore e fumettista francese di indiscusso talento, ho recentemente condiviso la biografia e alcune opere. Un mese prima, in occasione della sua scomparsa, gli avevo rivolto un saluto. Tempo ancora addietro, nel vecchio blog "Doctor Peter and Mister Hook", ebbi modo di accomunarlo al celebre chitarrista e cantante di Seattle: annoverai entrambi tra i miei big preferiti indicizzati sotto la lettera "J". Ma proseguendo in questa cronologia inversa, molto prima, precisamente nel 1995, scoprii che Moebius stesso era affascinato dalla musica e dalla figura di Jimi, al punto da trarne soggetto per la sua arte. Ecco ad esempio come il pennello magico di Gir (altro pseudonimo di Moebius) interpretò la foto in apertura.

Illustrazione di Jean Giraud - 1995

Diciassette anni fa, questa illustrazione la si poteva scorgere tra le novità nei negozi di dischi. L'omaggio di Moebius diventò infatti la copertina di "Voodoo Soup", un CD uscito appunto nell'aprile '95, oggi fuori catalogo. Appena lo intercettai volli regalarmelo, e ancora lo conservo gelosamente: bello fuori grazie all'estro di Gir, bello dentro grazie alla chitarra di Jimi. 14 brani postumi, uno più prezioso dell'altro, concepiti ed eseguiti dall'impareggiabile maestro del rock. Di seguito la traduzione di "Angel": già uscito come singolo nel 1971, è un pezzo melodico, mistico, tra i più rappresentativi del suo spirito "soul".


ANGEL

Angel came down from heaven yesterday
Un angelo è sceso dal paradiso, ieri 
She stayed with me just long enough to rescue me
E' stata con me abbastanza tempo per salvarmi  
And she told me a story yesterday,
E mi ha raccontato una storia, ieri
About the sweet love between the moon and the deep blue sea.
Sul dolce amore tra la luna e il profondo mare blu.  
And then she spread her wings high over me
 E poi ha spiegato le sue ali in alto su di me
She said she's going to come back tomorrow 
E ha detto che sarebbe tornata domani.

And I said «Fly on my sweet angel,
E io ho detto «Vola mio dolce angelo, 
Fly on through the sky,
Vola attraverso il cielo, 
Fly on my sweet angel,
Vola mio dolce angelo, 
Tomorrow I'm gonna be by your side».
Domani sarò al tuo fianco».

Sure enough this morning came unto me
Sono quasi certo che stamattina sia venuta da me 
Silver winged silhouette against a child's sunrise
Figura dalle ali d'argento contro l'alba di un bambino 
And my angel she said unto me
E il mio angelo mi ha detto 
«Today is the day for you to rise,
«Oggi è il giorno per te di rinascere, 
Take my hand, you're gonna be my man,
Prendi la mia mano, sarai il mio compagno,
You're gonna rise».
Rinascerai».

And then she took me high over yonder, Lord
E poi mi ha portato in alto lassù, Signore

And I said «Fly on my sweet angel,
E io ho detto «Vola mio dolce angelo, 
Fly on through the sky,
Vola attraverso il cielo, 
Fly on my sweet angel, 
Vola mio dolce angelo, 
Forever I will be by your side»
Per sempre sarò al tuo fianco».



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