La prima alla scala


I miei trascorsi li ricordo piuttosto bene, soprattutto quelli più salutari. Sarà il caso però che li custodisca con cura nel rifugio, prima che anche loro decidano di lasciarmi.


Una notte mi avventurai all'interno di un imponente edificio, deciso ad esplorarlo buio e lercio come si presentava. Tre, forse quattro piani, immensi e soli come chiunque. Ombre cinesi di oggetti misteriosi, un accendino all'occorrenza, presenze e assenze come a scuola. Ogni piano un largo corridoio, da un lato e dall'altro una fila di aule consumate con la porta serrata o spalancata dall'oscurità. L'eco dei miei passi destava i frammenti di intonaco e di passato che rivestivano il pavimento.
Inquietanti icone di storia umana su pareti sagge di vita consunta costeggiavano le pericolose e pericolanti scale che agevolavano la mia curiosità da fanciullo - quale non ero - un piano dopo l'altro, dal basso verso l'alto. In cima all'ultima rampa trovai ad attendermi l'amaro disagio della conclusione di quell'intima incursione; cercai di compensarlo perlustrando meglio l'ultimo piano, che non mi pareva poi così diverso dagli altri, ma dovetti ricredermi. Notai infatti che in profondità era più illuminato del previsto, e rapito da quella novità mi privai del piacere di affacciarmi nelle ultime aule per dirigermi verso la luce, come l'anima di un defunto verso il premio di un paradiso.
Così intriso di misticismo approdai in un elegante androne circolare con finestroni talmente ampi che quasi si sostituivano alle pareti lasciando penetrare una morbida luce lunare. L'ultima mano che aveva agito sulle pesanti tende bianco sporco le aveva raccolte ai lati di ogni vetro accostandole ai merletti di gesso che orlavano gli spigoli della stanza. Attraverso i sudici cristalli osservai il mondo come dall'interno di un acquario, ma solo per pochi istanti, perchè la mia attenzione fu quasi subito attratta dalla struttura posta in mezzo alla stanza vuota.
Una grossa scala a pioli, di quelle da muratori per intenderci, s'innalzava fino a poggiarsi al bordo di una botola quadrata che bucava l'alto soffitto esattamente al centro. Una nuova opportunità d'evasione che non potevo lasciarmi sfuggire. A metà scala indossai un fascio di luce, ne individuai la fonte: non ricordo se fosse piena, di sicuro era crescente. Misi in tasca le vertigini e proseguii, credendomi un astronauta che sbuca dalla sua navetta per visitare un altro pianeta. Forse lo ero.
Il tetto si fece pavimento e mi trovai sul palco di una "prima" (ed unica) mondiale. Un mosaico di case, strade, mattoni storici, riflessi sul mare e colline d'amore dipingeva nel vapore della notte la migliore scenografia che si potesse desiderare. Non mi bastava. Non mi basta mai. Alzai lo sguardo per incontrare la Luna, che mi chiese un autografo. Ma poi, lassù più in alto, li vidi. Il mio vero pubblico, quanto lo adoro! Uno stormo di gabbiani lontani lontani galleggiava e strideva in una danza di benvenuto che non dimenticherò mai. Le traiettorie di quei volatili semplici, il candore dei loro corpicini che sfidava il neroblu della notte...
Non ricordo quanto tempo rimasi ad ammirarli sdraiato sul tappeto dei loro escrementi, so solo che quella notte non mi sentii spettatore come sempre, ma svoltai nel ruolo di protagonista. Come dice uno splendido detto di alcune zone del sud, "stavo in petto a Cristo".

DOC

Commenti

Charmless Man ha detto…
Taaataaan! sono vivo! XD
Doc sono rimasto indietro almeno di 20 post tuoi :(
come stai?
@Charmless - Ola, gringo. Gli abitanti del rifugio brindano al tuo ritorno in queste stanze. Sarà il caso che ricambi la visita... Ciao per ora.
Vele Ivy ha detto…
Per il nostro Doctor Peter è stata una prima davvero unica e personale... che però ora ha condiviso con noi!
Mari da solcare ha detto…
Perchè mi piace questo post (in ordine sparso):
perchè è onirico e reale insieme; perchè utilizza le parole in modo sapiente; perchè contiene frasi perfette: "A metà scala indossai un fascio di luce....Misi in tasca le vertigini... Un mosaico di case (...) riflessi sul mare e colline d'amore dipingeva il vapore di quella notte..."; perchè cita poeticamente lo psicoanalista, discepolo di Freud, Carl Gustav Jung, per il quale il vagare per edifici, scale, soffitte e cantine è metafora dei percorsi misteriosi dell'anima umana...

Auguri per il suo nuovo ruolo di protagonista, Dr. Peter. Lo merita di sicuro.
@Vele - Sei molto cara, Vele. Condividere via web è piacevole ed è un buon modo di crescere. Una vera rivoluzione culturale che mi porta (senza grandi slanci) a parlare anche di me. Buona settimana.

@Maria - Commosso, mi riservo di replicare all'interno dei miei "Comm(ov)enti" dove ho riportato la tua analisi. Era il minimo che potessi fare. Buona settimana, Maruzza.

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