Ricapitoliamo. Gli esseri viventi appartengono al Regno Animale oppure al Regno Vegetale. Tutto il resto appartiene al Regno Minerale, compresa la paternità dei primi due regni: apparizione e persistenza sulla Terra di animali e piante si devono infatti al suo assortito "menu" di sostanze chimiche, ma soprattutto alla generosa fornitura di "acqua minerale gassata" (già omaggiata in un altro post, vedi QUI). Sulla tavola così apparecchiata, Regno Animale, Regno Vegetale e Regno Minerale si manifestano nelle più disparate forme, per il sommo orgoglio della genitrice Madre Natura.
ANIMALI: ad esempio, "Lamproptera meges"
Conosciuta come "coda di dragone verde" (green dragontail), la Lamproptera meges è una piccola farfalla con le ali forcute. Diffusa in alcune zone dell'Asia meridionale e del sud-est asiatico, la si può ammirare nei suoi eleganti volteggi durante i mesi più temperati.
VEGETALI: ad esempio, "Erodium cicutarium"
Il seme della Cicutaria (Erodium cicutarium), pianta erbacea ampiamente diffusa nel Mediterraneo, ha delle straordinarie peculiarità. Quando viene lanciato dalla pianta, la sua particolare forma a spirale funziona da molla prima e da aliante poi, così da poter coprire un raggio di caduta più ampio possibile; quando atterra, la spirale gli servirà invece da trivella: sfruttando i cambiamenti di umidità (si arriccia da asciutto e si distende da bagnato), sarà in grado di piantarsi in profondità praticamente da solo.
MINERALI: ad esempio, "The Elements of Life"
Quando la non-vita prende Vita... Vi siete mai chiesti di cosa è fatto il nostro corpo? Il breve video che segue, a cura di "Beauty of Science", risponde alla domanda con un certo stile. Ed è buffo realizzare che a comporre il 99% del corpo umano bastano appena 6 elementi, con l'ossigeno che la fa da padrone per almeno due terzi; il restante 1% è affidato ad altri 5 in minime quantità, per un totale di undici elementi. Ed eccoli a voi, gli elementi alla base della Vita, in tutta la loro magnificenza:
Ringrazio l'artista dell'opera qui illustrata, sia per aver divulgato con pregevole talento i nobili messaggi che racchiude, sia - con opportuna modestia - per aver solleticato la ripresa della mia attività di "BeeJay" (Blog-Jockey) dopo mesi di ingiustificato(?) silenzio. Altrettanta riconoscenza a te che mi leggi: parlare allo specchio può risultare piuttosto sconveniente, fidati. Lo specchio è stato concepito per altri utilizzi.
«Si usa uno specchio di vetro per guardare il viso e si usano le opere d'arte per guardare la propria anima» (George Bernard Shaw). Lo sa bene John Pugh (foto), artista dell'Illinois che da anni - 63 all'anagrafe - non smette di scuotere grandi muri sparsi per il mondo con il suo magnetico "illusionismo narrativo". Così viene definita l'innovativa arte pittorica adottata dall'autore, capace di convertire la seconda dimensione in suggestivi varchi per l'anima, attraverso la migliore interpretazione ed evoluzione della tecnica trompe-l'oeil (dal francese, "inganna l'occhio") che potessimo aspettarci.
In questo caso John (o Pugh se preferisci) gioca in casa: l'edificio scelto per la sua "Revolution" è il Central Life Building di Ottawa, 628 Columbus St., Illinois, USA. Su questa notevole superficie, John ha dato vita al più grande "speakeasy" mai raffigurato: un tipico bar fuorilegge - come quelli brulicanti nel sottobosco cittadino americano degli anni Venti in opposizione al severo proibizionismo dell'epoca (speakeasy = sottovoce) - immaginato - o meglio "immortalato" - in un unico gigantesco fotogramma. Il "flashback" è servito! L'omaggio, a celebrarne 100 anni fieramente compiuti, è rivolto palesemente alle "donne ruggenti" di quegli anni, e in tutta coerenza la sua messa in opera ha coinvolto uno staff artistico prevalentemente femminile.
Nella parte superiore, sulla prima delle due pareti rotanti che ci attraggono, la riproduzione di un papavero dipinto intorno al 1927 da Georgia O'Keeffe. Considerata come "la madre del modernismo americano", ovvero emblema della donna moderna dell'epoca, vorrò approfondire la forza espressiva dei suoi dipinti, folgorante già da una semplice ricerca su Google.
Accanto al quadro, sedute sul vertiginoso "muretto" virtuale che si apre, Cat e Gaby si rilassano sorseggiando un drink in confidenza: sono due delle tre ragazze "flapper" che animano la scena. Da Wikipedia: «Flapper è la generazione di donne degli anni venti nel mondo anglosassone. Le flapper si caratterizzavano per l'eccessivo trucco, per il fatto che bevessero alcolici come gli uomini, ma soprattutto per la loro sessualità disinvolta e libera, oltre che per fumare in pubblico, guidare automobili da sole e violare le norme sociali e la morale sessuale del tempo».
Lo specchio di cui sopra comincia dunque a svelarsi: 1) l'invito alla riflessione (dopotutto anche gli specchi "riflettono") su ciò che eravamo; 2) la sfida al confronto con l'epoca attuale, operazione coraggiosa che - come vedremo - raccoglie sagacemente una moltitudine di aspetti, primo fra tutti la condizione femminile; 3) il labirinto di specchi (spunti di riflessione) innescato dall'opera, da cui mi sono lasciato piacevolmente intrappolare: io posso uscirne completando dignitosamente questo post senza troppe divagazioni, tu fai pure come ti pare.
Nella parte centrale e poco più in basso, altre figure femminili si concedono all'osservatore più attento attraverso i vetri delle finestre. Appartamenti che John Pugh ha riservato alla memoria delle "Radium Girls". Più che per necessità di sintesi, questa volta approfitto di Wikipedia perché le parole mi vengono meno quando penso che - ad un secolo di cosiddetto "progresso" trascorso - il problema della sicurezza sui luoghi di lavoro resta ancora oggi in gran parte irrisolto, se non peggio ignorato, in troppe realtà.
«Le "ragazze del radio" (Radium Girls) furono un gruppo di operaie che subirono un grave avvelenamento da radiazioni di radio, contenuto nella vernice utilizzata come pittura nella fabbrica di orologi della United States Radium Corporation intorno al 1917. Le donne, a cui era stato raccontato che la vernice fosse innocua, ingerirono quantità mortali di radio quando leccavano i pennelli per dare loro una punta fine; alcune di esse utilizzarono tale sostanza anche per decorarsi le unghie e truccarsi il viso. Cinque donne citarono in giudizio il loro datore di lavoro: a seguito di questo processo, fu stabilito il diritto dei singoli lavoratori che contraggono malattie professionali a citare in giudizio i loro superiori». Una tragica vicenda riportata, negli anni a seguire, attraverso le più disparate forme della letteratura, fino al recente film "Radium Girls" diretto dalle produttrici Lydia Dean Pilcher e Ginny Mohler: presentato in anteprima al Tribeca Film Festival (New York) nel 2018, si spera che una regolare distribuzione possa diffonderne i pregi anche nelle sale italiane.
A condurci fuori dal labirinto, la grazia sbarazzina di Frannie: la terza flapper girl, che ci accompagna verso l'uscita aprendoci gentilmente la porta, ovvero rivelando una seconda parete rotante. Una volta fuori - tra malinconici vapori tipici del risveglio da un sogno - rendo un ultimo applauso e un dovuto inchino di ringraziamento a John Pugh e alle sue meravigliose ancelle per il generoso arricchimento ricevuto.