Piccoli, buffi e misteriosi: i Dogū
Si parla tanto dei prodigi dell'intelligenza artificiale, ma pare che ci sia ancora molto da lavorare in questo senso. Se cerco una specifica immagine su Google, e la trovo solo dopo averne sfogliate migliaia, tentando anche le parole chiave più improbabili e in varie lingue: o Google si prepara ad invadere il mercato degli occhiali da vista - e non me ne stupirei, oppure sarà meglio che istruisca per bene i suoi algoritmi. Fortunatamente, non tutti i mali vengono per nuocere. L'altro giorno, ad esempio, stanco e spazientito dall'ennesima abissale ricerca, prima di chiudere tutto è partito un "clic nervoso" su una delle immaginette che avevo davanti, un po' come quando - dopo una faticosa partita a calcio persa - spazzi via la palla senza direzionarla. L'immagine in questione è la seguente.

«E questa che roba è?» - mi sono subito chiesto. Mentre congetturavo (parco divertimenti, ristorante giapponese, installazione artistica, fotomontaggio dozzinale, etc.) approfondivo. La risposta è anche più stramba della foto. Trattasi infatti di una piccola stazione ferroviaria: la stazione "Kizukuri" della città di Tsugaru, nel nord-est del Giappone.

Sorta nel 1924 per servire un singolo binario (attualmente vi transitano meno di 300 passeggeri al giorno), nel 1992 è stata ristrutturata e decorata con l'imponente e sorniona statua che avete appena visto, realizzata in legno (anziché argilla come progettato in un primo momento, per motivi di sicurezza). Prima di parlarvi di questa statua, vorrei mostrarvela per un attimo mentre gli lampeggiano gli occhi per segnalare l'arrivo o la partenza del treno (trovata geniale per qualcuno, non per i molti che ne hanno richiesto la disattivazione perché terrorizzava i loro bambini; tuttavia, su richiesta al personale ferroviario, il meccanismo è ancora azionabile).
Passiamo quindi alle presentazioni. Lui è un gigantesco "Shakōki-dogū": non un bieco alieno intergalattico partorito dalla moderna fantascienza, ma la riproduzione in formato extra-large di una delle statuine risalenti all'era giapponese Jōmon, che va dal 14.000 al 300 avanti Cristo. Segue l'originale, custodito nel museo nazionale di Tokyo, con l'immancabile "Digimon" che ne trae ispirazione:

Trattasi di uno dei circa 15.000 manufatti simili ritrovati nei secoli, esclusivamente in Giappone, soprattutto nel Nord-Est. Alti dai 10 ai 30 cm., a seconda del periodo in cui furono scolpiti e al luogo di ritrovamento i Dogū (letteralmente "statuine di creta") sono stati classificati in quattro diversi stili ricorrenti, malgrado l'ampio assortimento non si presti ad una catalogazione ben definita.
1) "Shakōki-dogū", letteralmente "Dogū con occhiali da neve". Uno lo avete appena ammirato, eccovi allora un paio di suoi "fratelli", e gli occhiali da neve utilizzati dagli eschimesi a cui si fa riferimento:

2) "Yamagata", ovvero "Dogū a forma di cuore". Non è chiaro se i volti siano a forma di cuore perché indossano una maschera, o semplicemente perché sono stati immaginati così. Nel 1981 gli è stato dedicato persino un francobollo.

3) "Mimizuku", ovvero "Dogū gufo cornuto".

4) "Dogū donna incinta". Anch'essa la troviamo in un francobollo, emesso nel 1998.

Quale fosse l'esatta funzione dei Dogū, che il popolo giapponese dell'era Jōmon produceva diffusamente, resta un mistero. Va detto che raramente sono stati trovati Dogū integri, anzi, pare che venissero distrutti appositamente. Questo fa pensare che gli venissero associate delle maledizioni, per poi esorcizzarle con la successiva distruzione. I Dogū con caratteristiche femminili molto evidenziate, si pensa invece che venissero scolpiti per essere impiegati in rituali atti a favorire la fertilità ed il parto. Feticci, quindi, o talismani. Ma potrebbero essere anche delle semplici bambole per il sollazzo dei bambini. I cultori della teoria paleoastronautica sono infine convinti che rappresentino antichi astronauti extraterrestri, in riferimento all'abbigliamento scafandrato, tipo tuta spaziale (vedi lo Shakōki-dogū in apertura), giunti da altri pianeti e poi evidentemente ripartiti.
Detto ciò, rientro alla base anch'io, sigillando il tutto con un'ultima foto: trattasi di "Gassho", un Dogū a mani giunte in atto di preghiera, che immagino sia di buon auspicio.
Detto ciò, rientro alla base anch'io, sigillando il tutto con un'ultima foto: trattasi di "Gassho", un Dogū a mani giunte in atto di preghiera, che immagino sia di buon auspicio.

DOC
Si ringrazia Wikipedia, Wikimedia, Wikipiùnehapiùnemetta, e tutto sommato anche Google immagini.