Il peggior premio per un blogger


Sulla nostra misteriosa e sfuggente esistenza non smetteremo mai di porci domande. Ma a differenza di questa, la trasposizione virtuale (o parodia elettronica) che hai davanti agli occhi, può essere maggiormente controllata, perchè di un nostro prodotto si tratta. In questo caso il "dio" non è da ricercarsi chissà dove: lo vediamo tutti i giorni per le strade, in ufficio, in tivù, allo specchio.
Attraverso le web-community, oggi siamo in grado di replicarci più o meno fedelmente, condividendo con il mondo intero (si fa per dire, almeno finchè le mie stesse possibilità in questo senso non verranno garantite davvero a tutti) non già il nostro essere nella sua completezza, ma il surrogato migliore che riusciamo a fornire della nostra persona. Tanto che, nell'Italia dei primati (nel senso dei record, e non delle scimmie), «siamo il popolo che mente maggiormente creando il proprio profilo online, secondo una ricerca promossa da Intel in nove paesi» (La Repubblica, 9 giugno 2012).

Allo sguardo critico e cinico di un osservatore esterno, potremmo apparire come una moltitudine di primati (questa volta nel senso delle scimmie, ma senza offesa per nessuno) che si muove in una giungla sconfinata alla ricerca di chissà quali banane, più per golosità che non per sopravvivenza. Se non alla conquista di un inadeguato scettro da leone/leonessa, per un trono da re/regina della foresta. Tutto sommato, il web non è poi così diverso dalla dimensione tattile, e prendendone atto la cosa non ci soddisfa già più, assetati come siamo di stimolanti quanto schizofreniche evoluzioni extracorporali.

Con queste immagini riflesse nello specchietto frontevisore, rientro alla base. Bisogna ammettere che siamo ancora lontani dal grande salto che ci slegherà totalmente dalla carne, se mai ci sarà. Ma finchè "Il tagliaerbe", "Nirvana", "Existenz", "Matrix", "Avatar" resteranno film di fantascienza, sarà bene che non perdiamo di vista la nostra versione originale, quell'ineguagliabile effetto 3D che ci appartiene dalla notte dei tempi.
Non dimentichiamo, ad esempio, che dietro alla scarna icona di un profilo web c'è una persona in carne e ossa, e che, tralasciando una gran fetta di utenti che del pianeta virtuale fanno un uso improprio, moltissime di queste persone si offrono alla rete con il dovuto bon ton, ma soprattutto contribuiscono alla crescita comune senza pretendere alcun compenso (vedi Wikipedia). Succede però che, talvolta, proprio l'atteggiamento dei server ospitanti, veri generatori di trend al timone della nave, non sia rispettoso come ci si aspetterebbe. 

E' il caso dell'icona qui accanto: gli assidui fruitori dei servizi "Blogger" e "Friend connect" di Google la conoscono fin troppo bene, gli altri naviganti probabilmente ci si sono imbattuti più di una volta. Identifica (o meglio, dovrebbe identificare secondo chi ne ha approvato la grafica) un utente che ha chiuso il proprio blog, e che di conseguenza non è più rintracciabile su questa piattaforma.
Pessimo gusto, direi, se non offesa vera e propria: 1) il punto esclamativo inscritto nel triangolo è convenzionalmente e storicamente un segnale di pericolo, lo stesso che in rete (e non solo) si usa per mettere in guardia su aree a rischio, inaffidabili o che recano danno; 2) il nero ed il grigio scuro completano l'opera, vestendo l'ex blogger con un abito da "miglior vita" (e vai con gli scongiuri). Alcuni tra i miei più cari follower, come altri che seguivo, avendo chiuso il proprio blog, me li sono ritrovati marchiati con questa amenità, e vi assicuro che l'effetto è davvero triste. Belle persone a cui, a dispetto delle considerazioni iniziali, ero e resto legato sentimentalmente, proprio per quanto hanno generosamente condiviso attraverso Blogger, che però li congeda con questa orribile "buona uscita".
Chissà, forse anche questa icona fa parte delle discutibili strategie (egemonie) di mercato: «Non dissociarti da noi, altrimenti...». Quasi un anatema voodoo, insomma.

Considerato che il logo Blogger è bello, solare, plastico, coerentemente al servizio che offre, credo che una buona alternativa possa essere il logo stesso, opportunamente sbarrato per inaccessibilità (vedi accanto). Ovviamente è solo un esempio, in realtà di soluzioni ce ne sarebbero a bizzeffe: è fin troppo facile trovare un simbolo da sostituire a quel tetro, malefico e obsoleto triangolo.
Senza dubbio nella rete circolano mali peggiori, ma quanto scrivo non vuole limitarsi al dettaglio, altrimenti non mi sarei sbilanciato parlando di "giungla" (o "jungle", più assonante con "Google"). Il concetto è che, se proprio vogliamo trasferirci in nuove dimensioni, sarà bene cogliere la palla al balzo per mollare quelle zavorre di superficialità che tanto affliggono la realtà concreta. Riguardo poi all'icona imputata, ovvero il premio che Blogger distribuisce ai propri contribuenti all'uscita, spero proprio che, quando toccherà a me, nel mio profilo resti una bella targa colorata, anzichè una lapide, a rappresentarmi.

DOC

Commenti

Vele Ivy ha detto…
E' vero, è proprio tetro quel simbolo :-(
Mari da solcare ha detto…
A mio avviso, con le tue interessanti riflessioni, ci offri due post in uno: 1)il rapporto tra l'io virtuale e quello reale; 2)l'opportuna "reprimenda" per il pessimo simbolo utilizzato da Google per un blog inattivo. Anche a me quel simbolo funereo dava fastidio: tu, a tale sensazione, hai saputo dare valide motivazioni grafico/simboliche. Buona giornata.

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