La scommessa
Ti penso ogni giorno, sai? Quando al mattino mi rado, t'immagino davanti a me, dietro di me, dentro lo specchio. Mentre sono in ufficio, ancora t'immagino, indaffarata quanto me a chiudere contratti e a stilarne di nuovi. Rientrato a casa per il pranzo, mi siedo a tavola, ed esagero come sempre. Tra insipidi piselli surgelati, microonde e formaggio greco, so già come finirà: giunto alla frutta, mi sentirò in colpa verso chi soffre la fame, ma da qualche tempo anche verso di te, perchè ingrasso... Temo che quando ci incontreremo mi troverai in pessima forma, ma non posso farci nulla, la soddisfazione e l'orgoglio di una bella presenza non hanno più le valide motivazioni di sostegno di un tempo. Così, più mi sento in difetto più m'ingozzo, nell'ansia di una sazietà che il cibo non potrà mai soddisfare.
Questo pomeriggio, poi, mi sono fatto del male anche più del solito. Ero lì che leggevo il quotidiano, come d'abitudine, seduto sulla mia poltrona rossa, da bravo interprete dell'unica grottesca parodia di vita che mi è concessa. Sul tavolino, dal vetro del posacenere, tre mozziconi malconci guardavano la goccia di caffè sospesa sull'orlo della tazzina, chiedendosi da che lato sarebbe scivolata.
Con gli occhi gonfi di digestione, inseguivo a fatica i caratteri stampati, mentre i pensieri, impegnati in una guerra d'indipendenza tutta personale, s'inerpicavano senza corda su rovinosi pendii... Proseguire nella lettura ormai non aveva più senso, così, meccanicamente, ho abbassato il giornale e ho alzato la guardia, preparandomi alla sfida. Stava lì immobile, proprio di fronte, a farmi paura con la sua indifferenza, e non so quale parte di me, cuore o cervello, abbia insistito per accettare il duello... Fatto sta che poco dopo, tornato alla poltrona, reggevo il mio avversario sulle ginocchia, deciso a sfogliarlo come un fiore appassito.
Una foto dopo l'altra, cadenzate da pause necessarie, fino allo spasimo. Le più belle erano anche le peggiori... Il suo volto da ragazza, quando ancora io non c'ero, ma già l'amavo. Lei accanto a me, davanti all'altare, candida come la Madonna. La sua smorfia dal cuscino, il sorriso imbarazzato dello scatto a sorpresa, quella luce negli occhi nell'ultima foto di tre anni fa, erano tutta la mia vita. Le vecchie foto, ciò che ne restava.
Chiuso l'album, ho spento la luce. Cercavo di non pensare, ma le immagini di lei continuavano a torturarmi... Ero disperato, perchè non riuscivo, non ero mai riuscito a darmi una spiegazione. Il buio di una sera avida di luna, guardingo e silenzioso come un ladro alla finestra, aveva già inghiottito il salone, disturbato solo a tratti da deboli fari di auto lontane. Il mio corpo aveva cominciato ad assorbirlo, permettendogli di farsi strada dapprima attraverso la pelle, quindi nelle vene, fino ad inquinarne il sangue. Stordito dal conforto dell'oblìo, ne avvertivo la gelida corsa, ma non potevo immaginare quale fosse il suo traguardo.
Così ottenebrato dal delirio, ho rivissuto la scena in cui, con sguardo crudo di spietata gelosia, me la strappavi dalle braccia. Non sopportavi che la vita avesse potuto fonderci con tanta passione, e che alla vita rendessimo tutto il vivido fulgore che ci aveva donato, attraverso il profondo attaccamento che ci dimostravamo. Non rientrava nei tuoi piani, come tu nei nostri, così hai agito per conto tuo, rabbiosa e bavosa come una cagna malata. Il nostro nido ti escludeva, ormai ti conoscevamo, e sapevi bene che non ti avremmo mai aperto il cancello... Anzi, quante volte ti abbiamo pregato di lasciarci in pace, e di stare alla larga, ma tu non ne volevi sapere, ti indispettivi ancora di più, finchè, con maligna caparbietà, hai ottenuto ciò che desideravi.
Sei riuscita ad allontanarla da me, sfruttando le uniche, viscide argomentazioni di cui sei capace. Lei mi ha lasciato per sempre, mi ha lasciato per causa tua, e non te lo perdonerò mai. Non posso neanche odiarti, non ne ho la forza, ne uscirei più sconfitto che mai... Ma non t'illudere: se siamo rimasti solo io e te, non significa che debba provare qualcosa di più della pietà, nei tuoi confronti. Non sei neanche l'ombra dell'amore, non ti appartiene perchè non lo meriti, non vali un capello della mia adorata... Resti solo uno squallido premio di magra consolazione, che ancora mi induce a rivolgerti il pensiero, solo perchè so che presto tornerai a farmi visita, nell'ostinata intenzione di sedurmi, cercando peraltro di giustificare le tue efferate, ingiustificabili azioni. Come so che non servirà a nulla tentare di lasciarti fuori dalla porta, troveresti comunque un modo per continuare ad affondare la tua lama... E poi, in ogni caso, non mi conviene: ho maturato la convinzione che peggio di così non potrebbe andare. Spero solo che ti presenterai a me nella tua veste migliore, quella più cinica e naturale che a volte riesci, tuo malgrado, ad indossare. Perchè non potrei sopportare altro dolore, non lo reggerei. La mia pietà per la tua, mi sembra un buon affare...
Questo le avrei detto, una volta che me la fossi trovata al cospetto. E proprio in quel momento, proprio quando ero pronto, l'ho sentita bussare alla porta, ma per quanto mi dimenassi dentro, il corpo restava bloccato sulla poltrona senza reagire. Non ero in grado di alzarmi, di muovere un dito, nè di aprire gli occhi, figuriamoci l'uscio... Lei continuava a bussare, sempre più forte, finchè, ad un certo punto, ho avvertito la sua presenza. L'ho sentita rubarmi il fiato, con una leggera pressione sulle labbra, un bacio delicato. Ma quel rimbombo non cessava, così ho capito che non era lei a bussare, ma il cuore nel mio petto. Era riuscita ad appropriarsene, senza che potessi rendermene conto in tempo, proprio come immaginavo. Poco dopo, di quel cuore, non si sarebbe più sentita neanche l'eco: nè per me nè per lei.
I primi raggi di sole, all'alba, si affacciarono lenti e discreti nella stanza, con eccessivo rispetto, quasi a volersi discolpare dell'accaduto. Diretti verso il mio corpo inerme, nel vano tentativo di riscaldarlo, si allungarono sul tavolino, illuminando il posacenere. Le cicche di sigaretta erano ancora lì, affrante, perchè quella notte avevano perso la loro scommessa: la goccia di caffè era colata fuori dalla tazzina.
DOC
Commenti
Ci trasmetti sempre forti emozioni, sia in positivo che in negativo. Queste righe mi hanno messo addosso un senso di grande solitudine e questo non mi piace, non lo trovo giusto per la persona sensibile che sei.
Il prossimo racconto ci regalerà emozioni positive? Spero di sì, spero che il caro Peter ti cosparga di polverina magica e ti faccia volare in alto :-)
Racconto quasi da quaderno blu. Anzi blu scuro (sono d'accordo anche con Gabriella!)
"I pensieri, impegnati in una guerra d'indipendenza tutta personale, s'inerpicavano senza corda su rovinosi pendii...": frasi come queste, mi fanno fremere di piacere. Grazie.
Detto ciò, grazie per le belle, sentite parole, al "trio" più amato da questo blogger. Un sincero abbraccio.
@Vele - Ti direi di non giungere a conlusioni così affrettate, se non fosse che c'è un pizzico di vero in ciò che dici: sebbene le vicende del protagonista abbiano poco a che fare col sottoscritto, il racconto, come hai acutamente intuito, attinge trasversalmente da recondite paure personali. Sarei falso se non lo ammettessi, così come sarei falso se escludessi del tutto questa parte di me dall'io che divulgo in rete. Grazie, carissima, il tuo interesse mi commuove. Prometto che, come sempre, darò maggiore spazio alle «emozioni positive»: le preferisco quanto te, qui e dentro di me. Ciao.