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Visualizzazione dei post da febbraio, 2018

Utenti di Facebook? Nel reparto frigo. #ChiamaleBazzecole #5



Accedi a Facebook, navighi tra i post degli Amici e degli "amici", commenti, metti i like, dici la tua, pubblichi le foto. Poi ti stufi e spegni tutto. Ma i tuoi contatti possono continuare a vedere ciò che hai postato, persino un messaggio o una foto che hai inserito dieci anni fa. Come si rende possibile questo prodigioso artificio? Da utenti, abbiamo la percezione che nelle nostre "commedie virtuali" ci siamo solo noi (attori) e i dispositivi che utilizziamo (palcoscenico con diretta in mondovisione); ma ci sfuggono le altre entità che vi prendono parte dietro le quinte. Avete presente quello slogan che recita: «Persone oltre le cose»? Bene, qui avviene l'esatto contrario. I pochi istanti necessari affinché l'invio di un messaggio raggiunga il mondo intero sono gestiti da un'efficacissima regia di tecnologie che provvede ad acquisire i dati, e ancor prima di riversarli in rete, immagazzinarli all'interno di elaboratori, i cosiddetti server. Già, perché ciò che mettiamo su Facebook non è "usa e getta" come una telefonata, ma viene conservato: con estrema cura, a tempo indeterminato e in un luogo ben preciso.


Si dà il caso che al gelo della Lapponia non ci sia solo Babbo Natale con le sue renne, ma ci siamo anche noi, gli oltre due miliardi di iscritti a Facebook. E' qui che sono collezionati i nostri profili, molto più "grassi" di informazioni rispetto a quelli pubblici che abbiamo condiviso; ma prima di approfondire questo aspetto, vorrei mostrarvi più da vicino dove ci troviamo.
Sotto il Circolo polare artico, nel nord Europa, c'è la Svezia, e a nord di questa c'è una città di nome Luleå, che conta appena 46.000 abitanti in carne ed ossa, a cui si aggiunge il popolo dei nostri cloni digitali. Qui, nel punto indicato dalla mappa, sorge il Data Center di Facebook.


Quelle che vedete qui sopra sono delle grosse ventole che convogliano il gelo dall'esterno all'interno della struttura, in modo da raffreddare i server (iperattivi 24 ore), e il calore di scarto viene utilizzato per climatizzare gli uffici del personale. Il tutto è recintato, sorvegliato a vista giorno e notte da guardie e telecamere di sicurezza, e vi possono accedere esclusivamente gli addetti alla manutenzione e pochi altri eletti. Se dovesse perdersi anche un piccolo componente, gli operatori hanno un'ora di tempo per ritrovarlo, dopodiché le porte vengono chiuse e nessuno può uscire dall'edificio finché la cosa non si risolve. Il tesoro custodito in questa fredda cassaforte, come dicevo, siamo noi, ovvero le informazioni su di noi memorizzate e gestite dagli elaboratori, pronte a fruttare una pioggia di denaro.


Ma come fanno ad acquisire un valore commerciale le informazioni che condividiamo gratuitamente, e che comunque nessuno pagherebbe ai singoli utenti? Intanto va detto che Facebook indaga su di noi anche mentre navighiamo su altri siti: i suoi "agenti 007" altro non sono che i famosi bottoni "Mi piace" e "Condividi", ormai presenti ovunque, che tengono traccia delle nostre interazioni. E se mettiamo una foto altrove, ad esempio su Instagram, ci pensano i software di riconoscimento a individuarne una somigliante tra quelle che abbiamo postato su Facebook, così da poter associare ed incamerare anche i dati provenienti dal nostro profilo Instagram. Queste ed altre diavolerie, sempre più sofisticate, monitorano incessantemente il nostro ambiente virtuale.

Quanto ai ricavi, il lavoro di Facebook - che entro i prossimi due anni si appresta ad inaugurare altri due Data Center come quello appena illustrato, uno in Irlanda e un altro in Danimarca - è assimilabile a quello di una società petrolifera. Le informazioni fornite dagli utenti equivalgono al petrolio grezzo, di scarso valore: Facebook lo estrae, lo raccoglie, lo lavora - ovvero organizza un'infinità di dati in una preziosa fonte di statistiche sempre più attendibili - e lo rivende a caro prezzo. Per le aziende che comprano i nostri pensieri, i nostri interessi, i nostri desideri, le immagini dei nostri corpi, i nostri sogni e la nostra solitudine, la "vita made in Facebook" rappresenta un vero affare. Oltre a sapere ciò di cui abbiamo bisogno, gli acquirenti possono - se non indovinare - intuire ciò di cui avremmo e di cui avremo bisogno; e saranno pronti a spingere il loro mercato in quella direzione: sia con nuovi prodotti in linea con il nostro modo di pensare ed agire, sia attraverso campagne pubblicitarie capaci di mirare a colpo sicuro e senza pietà ai punti deboli della nostra psicologia.

Se consideriamo che altri social network e "timonieri" del web adottano strategie analoghe (qui il dito è puntato su Facebook solo perché al momento - e da anni - è il più diffuso di tutti, rinforzato dal suo Whatsapp), lo scenario si fa preoccupante. Non sempre si sa di preciso chi acquista i pacchetti di dati e l'uso che poi ne viene fatto; e non tutti i gestori sono dotati di alti standard di sicurezza, per cui questi dati vengono spesso rubati, sottraendo fisicamente le memorie ottiche (hard-disk), o più frequentemente attraverso attacchi informatici (hacker). Nelle mani sbagliate, le informazioni possono essere divulgate e strumentalizzate, violando le già imperfette leggi in materia di privacy e manipolazione che li proteggono; oppure possono influenzare gli esiti di una sessione elettorale; o persino dare vantaggi ad un paese in conflitto sui suoi avversari.
E a rincarare la dose ci pensa ancora una volta la tecnologia. Le macchine ormai imparano da sole, e se gli affidiamo i nostri comportamenti sono già in grado di trarne e rivelare le probabili conseguenze: una sorta di moderna sfera di cristallo, appena raggiunta - dopo secoli di speculazioni su tarocchi, riti esoterici e influssi astrali - percorrendo proprio il sentiero opposto, ovvero la più esatta delle scienze. Ma come ben sappiamo, le grandi conquiste della scienza sono spesso soggette a ritorcersi contro di noi.


Così, mentre inorridiamo alla vista degli allevamenti intensivi di animali (nella foto un singolo stabilimento in Cina: 120 milioni di polli all'anno, 200.000 al giorno nei feriali e fino a 400.000 nei prefestivi), c'è chi da tempo affila i suoi coltelli per "spennare" anche noi e venderci come surgelati al banco frigo.
Come si è arrivati a questo stato di cose? Quanta responsabilità ricade su Facebook, e quanta sugli utenti che si iscrivono? La questione non è molto diversa dalla circolazione delle armi negli Stati Uniti. Se un americano al mattino si alza di malumore, esce col suo fucile e fa una strage per la strada o in una scuola, indubbiamente è il diretto responsabile delle proprie azioni, e in quanto tale viene giustamente giudicato colpevole. Ma come giudichereste voi, e come viene effettivamente giudicato chi, prima di lui, gli ha permesso di detenere quell'arma e portarla con sè liberamente? Badate bene, qui stiamo parlando di una nazione e di un governo limitati da confini geografici; chi possiede il controllo della rete, invece, può espandere la sua influenza ben oltre, ovvero condizionare la vita di chiunque sia in grado di connettersi, in ogni angolo del pianeta.

In conclusione, una domanda sorge spontanea: esiste un modo per sfuggire a questo processo di "congelamento e scongelamento" a cui siamo sottoposti? Certo che sì. Semplicemente, basta non iscriversi a Facebook (o ad altro). Nessuno ci obbliga a sottoscrivere il contratto proposto al momento dell'iscrizione, che dà adito a Facebook di sfruttare le nostre vite. A proposito di contratto: va detto che la cosiddetta "trasparenza", ormai, non è meno devastante dell'illegalità. La strategia è tale per cui - anziché nascondere le clausole - le aziende ne mettono in campo così tante da ottenere come effetto collaterale la nausea dell'utente, spingendolo a iscriversi senza nemmeno dargli un'occhiata, e accollandogli così gran parte delle responsabilità a sua effettiva insaputa. Se all'atto dell'iscrizione a Facebook, dovessi prima cliccare e leggere per intero le prime tre voci che trovo nella home page - CondizioniNormativa sui datiNormativa sull'uso dei cookie - già di per sè corpose, e poi passare in esame tutte le sottovoci che si annidano all'interno di ciascuna di esse, addentrandomi e perdendomi in un ipertesto degno di Wikipedia, farei prima a conseguire quelle due o tre lauree utili a comprenderne appieno i contenuti. Se davvero vogliamo parlare di trasparenza (senza virgolette), ecco ad esempio come dovrebbe essere modificata l'home page di Facebook:


E quindi... basta! Decido di non iscrivermi più a Facebook, e se ero già iscritto mi cancello! Voglio vivere e morire con la coscienza a posto, io, e non "prostituirmi", per giunta gratis, anzi peggio: per conto terzi! Poco importa se non potrò comunicare diffusamente con i miei cari, vicini e lontani; se non potrò condividere con il mondo i miei stati d'animo e le sfaccettature della mia personalità; se non potrò collaborare all'interno dei gruppi; se non potrò contribuire fervidamente alla vita politica della mia città e dell'intero paese; se le persone che frequento mi declasseranno a "non raggiungibile"; se in malaugurati casi di emergenza, miei o altrui, potrò comunicare con un numero nettamente inferiore di persone; se non potrò collaborare con i colleghi di lavoro, o se avrò una marcia in meno per trovarlo, un lavoro; se non potrò dare risalto alle mie attitudini e alle mie capacità alla pari degli iscritti; se non potrò partecipare in diretta a gioie e dolori dei miei figli, fratelli, genitori lontani da me; se... Un momento, qui qualcosa non torna: ho elencato meno di un terzo delle implicazioni che ha Facebook nella mia vita e nella società globale, e il piatto della bilancia ha già toccato il fondo.

Carissimo - a giudicare dagli utili - Mark Zuckerberg, fondatore e amministratore di Facebook, e ad oggi quinta persona più ricca del mondo; scusa se ti scomodo per la seconda volta nel giro di pochi mesi, e lungi da me l'idea di farne una faccenda personale.
A proposito, temo di capitare nel momento meno adatto: ho trovato davvero di pessimo gusto la scelta della rivista statunitense "Wired", di dipingerti sulla sua prossima copertina col volto pestato di botte (vedi anteprima a lato), seppur metaforicamente e in relazione a malcontenti che in parte condivido. Come se in America non avessero già abbastanza problemi con la violenza, al punto di dover ricorrere ad espedienti grafici per promuoverla perché non si può farne a meno...
Tornando ai motivi per cui ti disturbo, sarei curioso di conoscere il tuo punto di vista sulle considerazioni di cui sopra. Perché vedi, a conti fatti, quella che tu proponi come innocente sottoscrizione ad un contratto, a me risuona tristemente come l'imposizione di un subdolo, sleale ed ignobile ricatto.


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#ChiamaleBazzecole: rubrica di attualità volta a sensibilizzare l'eventuale pubblico su questioni troppo spesso nascoste sotto i tappeti da chi poi pretende che camminiamo con le pattine, al fine di evitare il "tutti giù per terra".

Louis & Lucille: what a wonderful love



La foto qui sopra ritrae Lucille Wilson (1914-1983) con suo marito Louis Armstrong (1901-1971) nella loro residenza a Corona, New York, mentre sfogliano e commentano un album di ricordi del grande jazzista. E' il 23 Giugno 1971. Due settimane più tardi si separeranno, loro malgrado e dopo quasi 30 anni di matrimonio: il 6 luglio, all'età di 70 anni, Louis Armstrong muore di infarto. La moglie continuerà a conservarlo nel cuore e ad onorarne ampiamente il ricordo fino al 13 ottobre 1983, quando tornerà a sedergli accanto.

Louis Armstrong e la moglie Lucille nel 1952

Lucille aveva avuto un ruolo fondamentale, nella vita di Louis. Lo aveva amorevolmente incoraggiato, accompagnato nelle tournèe in giro per il mondo, sostenuto nella carriera al punto da risultare una colonna portante del suo successo artistico.
Donna affettuosa quanto intelligente e determinata, Lucille era riuscita a raddrizzare l'irrequieto timone che l'umana avventura di Louis aveva imbracciato nel corso del suo vissuto precedente. La casa a Corona (foto in apertura e seguente), dove si trasferirono poco dopo le nozze celebrate nel 1942, e che rimase il loro focolare fino alla fine, fu lei a proporla. All'epoca Louis non aveva una dimora fissa, solitamente alloggiava negli alberghi; ma Lucille, che già versava un acconto per quella casa, lo convinse ad abitarla in comune e stabilmente.

Louis Armstrong e la moglie Lucille nella loro casa a Corona, Queens, New York. Dopo la morte dell'artista, Lucille Wilson cedette la proprietà alla città di New York affinché vi fosse allestito un museo dedicato a suo marito. Il museo, dichiarato luogo di interesse storico nazionale nel 1976, è a tuttoggi operativo.

Lei aveva rinunciato al mondo dello spettacolo, per seguirlo; e lui aveva divorziato dalla terza moglie, Alpha Smith, per quello che sarebbe stato il suo grande amore per il resto della vita.
Si erano conosciuti pochi anni prima, nel 1938. Lei cantava in un coro nello storico "Cotton Club" di New York, e Louis l'aveva notata: «Quando l'ho vista per la prima volta al Cotton Club, lei era la ragazza più scura di tutte... Lucille è stata la prima ragazza nera a rompere l'alto standard di colore giallo o marrone che veniva adottato nella scelta delle ragazze del coro».

Lucille Wilson in un musical del 1936 (in basso a sinistra): fu la prima donna afro-americana dalla pelle scura ad essere inclusa nel corpo di ballo del Cotton Club di New York.

Prima dell'incontro con Lucille, la vita di "Satchmo" (è il soprannome preferito dai fans di Armstrong) aveva avuto un sapore decisamente diverso. Proveniva da un periodo di difficoltà economiche, ed era anche afflitto da problemi di salute: il suo modo "eccessivo" di suonare la tromba gli stava creando problemi alla bocca e alle dita (motivo per cui, in seguito, preferì sempre più dedicarsi al canto). E la situazione sentimentale non gli era certo di conforto. Il matrimonio con la terza moglie, durato appena 4 anni - per l'appunto dal 1938 al 1942, era stato preceduto da un rapporto piuttosto conflittuale con la seconda moglie Lil Hardin, durato dal 1924 al 1938. La pianista Lil aveva idee tutte sue su come avrebbe dovuto agire il marito per ottenere successo da trombettista: così, anziché agevolarne il naturale percorso, entrava spesso in contrasto con le sue intime volontà, frenandolo. Louis nel frattempo si faceva largo negli ambienti musicali americani dell'epoca: assecondava e sfidava le sonorità dei musicisti, stringeva preziose collaborazioni, si esibiva con le orchestre, esordiva persino come attore, e registrava quei primi brani - anche vocali - che ne avrebbero delineato la personalità artistica agli occhi del mondo.

Louis Armstrong, in occasione di un compleanno della seconda moglie Lil Hardin (a sinistra), l'abbraccia per farle gli auguri, sporcandola con la schiuma da barba, e facendo dispettosamente ingelosire la quarta moglie Lucille Wilson (a destra), che minaccia scherzosamente di inveirgli contro. La "comparsa" con gli occhiali è Mezz Mezzrow, noto jazzista americano, clarinettista, sassofonista e direttore d'orchestra.

Più si va a ritroso nel tempo, e più il vissuto di Louis Armstrong si discosta dalla gioia che il suo volto radioso e sorridente ispira nell'immaginario collettivo. Prima dei vent'anni, periodo in cui aveva cominciato a prendere seriamente a cuore la passione per la musica, c'era stata l'avventura con la prima moglie Daisy Parker: una prostituta che aveva frequentato da giovanissimo, e che aveva sposato a 16 anni, nel 1918. Lui e Daisy adottarono un bambino di tre anni, bambino che poi si sarebbe rivelato mentalmente disabile, e di cui lui si sarebbe poi occupato a vita. Louis e Daisy si separarono nel 1923, e lei morì poco dopo.
Ancora prima c'era stato il riformatorio di New Orleans (è qui che predisposizione e talento naturale per la musica cominciarono a manifestarsi), un istituto di correzione per ragazzi difficili di colore dove venne rinchiuso varie volte per le sue bravate con i compagni di strada, dopo essere stato espulso dalla scuola. L'infanzia l'aveva trascorsa a tratti con la madre, a tratti da parenti, aggirandosi per le vie di uno squallido sobborgo conosciuto con il nome di "Battlefield" (campo di battaglia), e cercando ogni giorno di portare qualcosa a casa, cibo o altro; ma non era mai abbastanza, così la madre era costretta a prostituirsi. Il padre se n'era andato con un'altra donna quando lui era ancora neonato.


Tornando dunque al futuro, a Lucille, e alla piega che prese la vita di Louis Armstrong - o meglio, che presero le vite di entrambi - dopo la reciproca dichiarazione d'amore... Cosa sarebbe accaduto se non si fossero mai incontrati? Avremmo avuto ugualmente, oggi, una canzone come "What a Wonderful World" (Che mondo meraviglioso, 1967) da lui interpretata con quella passione negli occhi? Difficile a dirsi, e ancor più difficile crederlo. Qualcosa di sicuro avremmo perso: una grande lezione di vita, di quelle che - opportunamente messe a frutto - sono capaci davvero di trasformare questa nostra esistenza in un luogo meraviglioso.



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#ChiamaleBazzecole #4



8 Maggio 2017«Via libera del governo alla nuova disciplina del sostegno pubblico all'editoria di quotidiani e periodici. (...) Il Consiglio dei ministri, su proposta del Presidente Paolo Gentiloni e del Ministro per lo sport con delega all'editoria Luca Lotti, ha approvato un decreto legislativo che, in attuazione della legge 26 ottobre 2016, n. 198, prevede disposizioni per la ridefinizione della disciplina dei contributi diretti (fondi pubblici: soldi tuoi, miei, ndr) alle imprese editrici di quotidiani e periodici. (...) Vengono riconosciuti in percentuale più alta i costi connessi all'edizione digitale, al fine di sostenere la transizione dalla carta al web». [Askanews]



8 Febbraio 2018Apertura: «Dimagrire con il bombolone? Ovviamente no. Il secondo alimento per "Cibi per non dimagrire" è il Bombolone! Attenzione: astenersi persone a dieta (...)». L'articolo, una vera perla di divulgazione scientifica, si addentra quindi in dettagli tecnici d'alta gastronomia: «(...) parliamo di una soffice palla da baseball marroncina ripiena di crema pasticcera, diplomatica o al cioccolato nutelloso». L'interesse del lettore a questo punto è tale che vale la pena giocarsi il cuore della notizia: «Il bombolone è ipercalorico». Neanche il tempo di riprenderci dallo shock causato da questa straordinaria informazione, che veniamo rapiti da una sofisticata immagine selezionata con mirabile cura dalla redazione, adeguata allo spessore del pezzo e impreziosita da altrettanto fine didascalia esplicativa:


Chiusura: «(...) Perché sgranocchiarsi una mela se puoi divorare un soffice e cremoso bombolone che ti riempie la bocca da non riusfsciref pfiù a ppfarlaee?! Buona mangiata a tutti». [IL FOGLIO - Contributi diretti percepiti nell'anno 2014 = € 413.159; nell'anno 2015 = € 510.437; nell'anno 2016 = € 802.849; nell'anno 2017 ancora non si sa, i bomboloni hanno intasato il sistema].



Fiera dello strafalcione... 5 Febbraio 2018 - Titolo: «L'avvocato di Traini: I maceratesi mi fermano per dare solidarità. La politica ha fallito». Si scrive "solidarietà" e non "solidarità". 9 Febbraio 2018 - Titolo: «Inaugurati i giochi olimpici, storica sretta di mano tra le due Coree». Si scrive "stretta" e non "sretta". L'articolo poi ci informa che «(...) L'incontro è avvenuto a Yongpyeong, città vicina a PyeongChang, durante il ricevimento organizzazto per 200 ospiti». Si scrive "organizzato" e non "organizzazto". 9 Febbraio 2018 - Titolo: «Macereta, la manifestazione si farà. Ma gli antifascisti sono spaccati». Si scrive "Macerata" e non "Macereta". Nell'articolo poi troviamo: «(...) E ciò al fine di per fare abbassare la tensione (...)». "Al fine di per fare" è licenza poetica, immagino. E ancora la chiusura: «(...) Domani è infatti il Giorno del Ricordo, e dovrebbe servire ad unire, non già a dividere, gli italiani. Ma vallo a spiegare agli antifascisti in servizio permanente affettivo...». "Servizio permanente affettivo..."? Ma di che sta parlando? Mi fermo qui solo per brevità, ma vi assicuro che potrei continuare molto a lungo. [SECOLO D'ITALIA - Contributi diretti percepiti nell'anno 2014 = € 508.701; nell'anno 2015 = € 493.903; nell'anno 2016 = € 639.260; nell'anno 2017 ancora non si sa, i refusi hanno intasato il sistema].




Cerco "Libero Quotidiano" su Google, lo trovo in cima, clicco e... del giornale non c'è traccia: vengo reindirizzato al simpatico sito che vedete qui sopra. Il risultato di Google era giusto, così come l'indirizzo a cui puntava (http://www.liberoquotidiano.it), sicché trattasi di un messaggio pubblicitario lanciato direttamente dalla testata. Per leggere le notizie ho dovuto chiudere la pagina, ripartire daccapo, e dalla seconda volta in poi (merito di un cookie che nel frattempo si è installato nel pc senza autorizzazione) non è più accaduto. Ma anche sul fronte delle bufale non c'è male, come dimostra questa panzana stratosferica del 27 Gennaio 2017:


Oppure questa del 21 Novembre 2017, roboante quanto assolutamente falsa (prontamente smentita dai Carabinieri), tanto che poi è stata rimossa (ma solo dopo che è scoppiato il caso):


E più si sparano grosse, più si ricevono fondi pubblici... [LIBERO QUOTIDIANO - Contributi diretti percepiti nell'anno 2014 = € 3.661.850; nell'anno 2015 = € 4.173.575; nell'anno 2016 = € 3.764.314; nell'anno 2017 ancora non si sa, banner pubblicitari e bufale hanno intasato il sistema].



Carissimi - per quanto ci costate - legislatori, passati presenti e (ahinoi) futuri: vi è mai balenata l'idea che prima di ungere le fibre ottiche andrebbe preservata la qualità dei dati che le attraversano, e di conseguenza la crescita culturale di chi poi ne fruisce? Temo di no, purtroppo. Vi rendete conto che state letteralmente dilapidando le nostre "ricchezze" per inondarci di porcate online? Temo di sì, purtroppo.


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Nota - Le testate interessate dai contributi diretti sono oltre 50, gli articoli sono stati scelti tra gli esempi più eclatanti di scempio dell'informazione senza particolari preferenze o antipatie. Le cifre relative ai contributi percepiti dai quotidiani sono divulgate dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri [link]; sono stati riportati solo gli anni 2014/15/16 per brevità, ma sul sito si possono consultare andando indietro fino al 2003; i dati relativi al 2017 dovrebbero essere comunicati dopo il 31 marzo di quest'anno.

#ChiamaleBazzecole: rubrica di attualità volta a sensibilizzare l'eventuale pubblico su questioni troppo spesso nascoste sotto i tappeti da chi poi pretende che camminiamo con le pattine, al fine di evitare il "tutti giù per terra".

Carnevale, la festa dei bruchi



Autore delle splendide foto ravvicinate (in gergo "macro") qui riportate è Igor Siwanowicz, ricercatore e fotografo di origine polacca, neurobiologo all'Istituto Medico Howard Hughes in Virginia, vincitore di diversi premi in prestigiosi photo-contest. La sua abilità nel catturare sotto la lente minuscoli soggetti particolarmente affascinanti dal punto di vista scientifico e naturalistico, esaltandone forme, colori e soprattutto dettagli, ha destato negli anni l'interesse delle comunità di settore, oltre a spopolare sul web grazie ad una prodiga diffusione delle sue sbalorditive immagini.


Da un lato la scienza: neurobiologo significa che Siwanowicz studia, ad esempio, - come riporta il sito dell'Howard Hughes Institute - la complessità del comportamento della libellula mentre caccia la preda, ovvero cerca di scoprire come viene trasmessa la posizione di un moscerino della frutta dal cervello della libellula ai suoi muscoli di volo. Dall'altro l'arte, quella della fotografia professionale, brillantemente interpretata.
Presente sui vari social, Igor Siwanowicz colleziona le sue macro soprattutto nella galleria online Photo.net, che vi consiglio vivamente di visitare. Al momento conta oltre 1.600 foto, raccolte in dieci anni di attività. Non solo bruchi, ovviamente:



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Le 4 dimensioni di Seward Johnson


Base. Si prenda del rame, si aggiunga dello stagno q.b., per ottenere quella lega solida ma sufficientemente malleabile nota col nome di bronzo.
Altezza. Generalmente nè più nè meno dell'umana statura, ma si può osare anche oltre. 
Profondità. Più di una, se non infinite. C'è quella delle forme: vuoti riempiti, pieni svuotati, estro maestro. C'è quella illusoria, valore aggiunto da una fine pittura trompe-l'œil (è francese, significa "inganna l'occhio"). E poi c'è la profondità dell'animo. Da un lato l'intimità svelata dall'artista, dall'altro la miscela di emozioni che l'opera suscita in ciascun osservatore, libero - nei limiti dettati dalla propria personalità percettiva - di "farne ciò che vuole". Per dirla tutta, quella che ha davanti non è neanche l'opera originale, ma la drammatica riduzione ai canoni della realtà di una figura astratta, inafferrabile e paradossalmente intrappolata nella sconfinata mente genitrice.
Tempo. Non ci arrenderemo mai all'incedere dei giorni, dei mesi e degli anni. Così, in un masochistico gioco a nascondino (ma è partita persa), il fotografo immortala: l'illusione di poter rendere immortale un istante lo appaga, anche se quell'istante è trapassato ben prima ch'egli abbia potuto esaminare la sua istantanea; lo stesso vale per il pittore, che cattura sulla tela un paesaggio o un volto, già invecchiato prima che il suo quadro sia terminato. Ma - tralasciando i moderni scenari virtuali offerti dalla tecnologia digitale - è nella scultura che questo "delirio d'onnipotenza" (per nulla patetico, qui andiamo oltre: lo definirei audace, se non addirittura salvifico) raggiunge il suo apice, soprattutto se messo in opera sfruttando al meglio le tre dimensioni già citate.

Tutto questo - ma chi più ne ha più ne metta - lo ritroviamo magistralmente "cucinato" nelle opere dello scultore americano John Seward Johnson. Riporto l'incipit della sua biografia, tradotto dal sito web ufficiale [http://sewardjohnsonatelier.org]


«Dopo una prima carriera come pittore, Seward Johnson (nato nel New Jersey il 16 aprile 1930, ndr) ha sperimentato il suo talento nella scultura. Da allora, oltre 450 delle figure in bronzo fuso a grandezza naturale di Johnson sono state esposte in collezioni private e musei negli Stati Uniti, in Canada, in Europa e in Asia, oltre che in luoghi di spicco della sfera pubblica come Times Square e Rockefeller Center in New York City, Pacific Place di Hong Kong, Les Halles a Parigi e Via Condotti a Roma. Seward Johnson inizialmente divenne famoso per le sue sculture che ritraggono persone impegnate in attività quotidiane».

Sempre sul sito, trovo la sua collezione suddivisa in 5 ricchissime sezioni (più una dedicata ai "lavori in corso"). Riporto un paio di immagini per ciascuna di queste, ma l'imbarazzo della scelta è tale che posso solo invitarvi ad esplorarle tutte.

Da "Celebrating the familiar" (Celebrando il familiare):


Da "Beyond the frame" (Oltre la cornice):


Da "Icons revisited" (Icone rivisitate):


Da "Points of departure" (Punti di partenza):


Da "Monumental scale" (Scala monumentale):



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