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Visualizzazione dei post da novembre, 2017

Kidanè



Era l'anno 1969, ero ancora nella mia bella città di Asmara (in italiano significa giardino), che si trova in Eritrea. Mi era nato il terzo bimbo da pochi giorni e, nonostante avessi l'aiuto della "lettè" (così erano dette le donne di servizio), ero stanca per stare dietro al piccolo, tra poppate al seno, bagnetto, eccetera; considerando che avevo altri due birichini, avevo trascurato un po' la casa e il giardino. Direte voi, e il maritino? Lui lavorava tutti i giorni, anche la domenica, e non aveva tempo.
Un giorno sentii suonare il campanello del cancello e mi trovai davanti un ragazzo eritreo, smilzo e simpatico, pensai che non avesse più di vent'anni. Credevo volesse l'elemosina, dato che in quella terra era una cosa frequente allungare le mani per elemosinare, in quanto la ricchezza era riservata a pochi eletti. Il ragazzo, che poi seppi di nome Kidanè, disse che, passando davanti alla mia casa, aveva notato il mio giardino in disordine, e se gliene avessi dato il permesso se ne sarebbe occupato lui. Non aveva pretese, chiedeva solo un po' di "argent de poche", qualche pasto caldo e se fosse stato possibile anche un giaciglio per dormire. Mi raccontò che veniva dall'università, e non avendo famiglia non sapeva dove andare. Mi voltai a guardare il giardino, era in condizioni pietose, le erbacce la facevano da padrone... volli fidarmi di Kidanè: aprii il cancello e lo feci entrare.
Si mise subito all'opera e fece un bel lavoro, le aiuole divennero più belle e pulì anche il pollaio, dove c'erano galline, papere e anche un gallo. Gli permisi una pausa e gli offrii un tè con dei biscotti. Intanto con la lettè preparammo un letto con lenzuola e coperte nel capanno, e quando fu pronto il pranzo lo invitai a servirsene in cucina insieme alla lettè.
Kidanè divenne il factotum della mia famiglia: oltre al giardino e al pollaio faceva da baby-sitter per i tre bimbi, aiutava la lettè nelle faccende di casa e la lavandaia, lustrava le scarpe di mio marito a specchio, che allora erano di moda ben lucide.
Kidanè si contentava di poco: una maglia, una vecchia giacca o un paio di scarpe lo rendevano felice, e in quanto a moneta gli si dava qualcosa di più dell'argent de poche. Meritava tanto quel ragazzo, che fra tante doti aveva il dono dell'onestà e dell'igiene, cosa molto rara in Africa anche per mancanza d'acqua.
Finita l'estate, purtroppo Kidanè ci lasciò per andare all'università. Intanto nel 1970 in Eritrea si scatenò una guerra contro l'Etiopia, perché quest'ultima voleva conquistarla e avere il passaggio sul Mar Rosso, Massaua e Assab. Mio marito pensò bene di venire in Italia con me e i ragazzini perché la zona stava diventando pericolosa.
L'estate seguente Kidanè tornò, e non trovandoci andò dai miei suoceri a chiedere informazioni; quando seppe della nostra partenza, si mise a piangere.
Kidanè mi è rimasto nel cuore e non lo dimenticherò mai.


Ivana (mamma DOC)


Veduta di Asmara, capitale dell'Eritrea, da quest'anno Patrimonio dell'Unesco. In apertura: dipinto di Seana Mallen.

#ChiamaleBazzecole #3



1 Maggio 2011SOMO (Centro di ricerca sulle imprese multinazionali) e ICN (Comitato Indiano dei Paesi Bassi) pubblicano un dossier dal titolo "Catturate dal Cotone - Ragazze Dalit (ovvero appartenenti alle classi più povere, ndr) sfruttate nella produzione di capi di abbigliamento in India per i mercati europei e statunitensi". La relazione denuncia la condizione di migliaia di giovanissime donne (14/20 anni) nello stato del Tamil Nadu, a sud dell'India, costrette a lavorare senza contratto e in luoghi insalubri per più di 72 ore a settimana e per un salario di 0,88 euro al giorno, esigibili solo dopo 3/5 anni come dote matrimoniale (formula vietata in India da più di 50 anni). Nella lista nera delle società incriminate appare la "Inditex", distributrice del brand "Zara": oltre 2.200 negozi d'abbigliamento in 93 paesi, dal 2010 anche online. Il marchio Zara è stato fondato in Spagna nel 1985 da Amancio Ortega, ad oggi l'uomo più ricco d'Europa e il quarto più ricco del pianeta.

Immagine di copertina del dossier "Captured by Cotton", SOMO/ICN Maggio 2011

18 Agosto 2011«Lavorano per Zara. I giudici: schiavismo. In Brasile fabbriche clandestine al servizio del colosso della moda. (...) Il ministero del Lavoro di Brasilia ha avviato un'indagine in seguito a una denuncia su un laboratorio clandestino di San Paolo. Sedici persone, per lo più boliviani e peruviani, fra i quali dei 14enni, lavoravano 12 ore al giorno, senza pausa domenicale, nè ferie. "Abbiamo trovato bambini esposti a rischio, macchine senza protezione, fili elettrici a vista, locali insalubri con molta polvere e senza circolazione d'aria, senza luce solare - ha detto al Globo il funzionario del ministero del Lavoro, Luis Alexandre de Faria, che ha partecipato a due blitz in fabbrica -. I lavoratori dovevano chiedere autorizzazione al proprietario del laboratorio per uscire e dovevano comunicare dove andavano". Avrebbero percepito 100 euro al mese, anche se il salario minimo previsto dalla legge brasiliana è di 247». [Corriere della Sera]

20 Novembre 2012Greenpeace pubblica un rapporto, frutto di una lunga e meticolosa ricerca, riguardante le sostanze chimiche industriali inquinanti e potenzialmente pericolose impiegate nella fabbricazione degli indumenti. Tra i grandi marchi internazionali d'abbigliamento coinvolti nell'inchiesta figura Zara: analizzando i loro indumenti sono stati trovati agenti chimici altamente tossici e coloranti cancerogeni. La massiccia campagna mediatica "Libera Zara dalle sostanze tossiche" lanciata da Greenpeace ha riscosso un successo tale che la società, messa con le spalle al muro, si è trovata costretta a sottoscrivere di furia un impegno per eliminare le sostanze chimiche pericolose lungo tutta la catena di fornitura entro il 2020.

Immagini della campagna "Libera Zara dalle sostanze tossiche" promossa da Greenpeace nel 2012

4 Aprile 2013«Accuse a Zara: sfrutta lavoratori-schiavi in Argentina. Dalle 7 del mattino alle 11 di sera senza sosta. Lavoratori-schiavi, anche minorenni, in almeno un laboratorio in Argentina che confeziona capi di abbigliamento per la catena internazionale Zara del miliardario spagnolo Amancio Ortega, venduti poi in tutto il mondo, in Gran Bretagna in particolare. Lo scrive il Daily Telegraph. In seguito alla denuncia di un'associazione locale per la difesa dei diritti dei lavoratori, "La Alameda", le autorità argentine hanno effettuato controlli la scorsa settimana dai quali è emerso che "uomini e minorenni vivevano in terribili condizioni, nello stesso posto in cui lavoravano. Non avevano documenti e non veniva loro concesso di lasciare il luogo di lavoro senza permesso"». [Ansa]

27 Dicembre 2013«Zara e Gap finalmente interrompono l'importazione di lana d'angora dopo che i consumatori hanno minacciato di boicottare i loro negozi per via della terribile condizione dei conigli scuoiati vivi per la loro pelliccia. (...) L'annuncio a seguito del rilascio di un video (indagine della PETA - People for the Ethical Treatment of Animals, ndr) che mostra lavoratori in fabbriche cinesi strappare violentemente la pelliccia dai corpi di conigli vivi e urlanti». [Daily Mail]

24 Ottobre 2016«Bambini siriani rifugiati in Turchia fabbricano abiti per il mercato inglese: è quanto emerge da un'indagine sotto copertura della BBC. (...) Anche rifugiati adulti sono stati trovati a lavorare illegalmente su jeans Zara (...) La maggioranza dei rifugiati non ha permessi di lavoro e molti di loro lavorano illegalmente nell'industria dell'abbigliamento. (...) L'inchiesta ha anche scoperto profughi siriani lavorare 12 ore al giorno in una fabbrica di trattamento dei jeans per Mango e Zara. I rifugiati erano coinvolti nella spruzzatura di sostanze chimiche pericolose per candeggiare i jeans, ma la maggior parte dei lavoratori non aveva nemmeno una maschera di base». [BBC]

27 Dicembre 2016«Centinaia di dipendenti licenziati nelle fabbriche d'abbigliamento in Bangladesh dopo le proteste sulle retribuzioni. (...) Almeno 1.500 lavoratori sono stati licenziati dopo aver scioperato contro le condizioni di lavoro nelle fabbriche tessili del centro di produzione di Ashulia che realizza abiti per alcune fra le più note marche di abbigliamento occidentali come Gap, Zara e H&M. Gli operai chiedevano un aumento di stipendio: la loro attuale retribuzione è fissata a 5.300 taka al mese, pari a circa 63 euro. (...) Molti di loro hanno scoperto di aver perso il lavoro solo una volta tornati in fabbrica, dove hanno trovato una lista con i nomi dei licenziati appesa ai cancelli. Il salario minimo mensile per i lavoratori tessili del Bangladesh è stato aumentato nel 2013 dopo il crollo del complesso di fabbrica di Rana Plaza che ha ucciso 1.134 persone. Ma rimane uno dei salari più bassi del mondo, meno di un quinto di quello che alcuni intervistati stimano essere il salario minimo del paese». [The Guardian]




Carissimo - considerati gli oltre 400 milioni di dollari che incassa annualmente - señor Amancio Ortega, non abbia timore, non le chiederò un compenso per l'eventuale pubblicità che - mio malgrado - dovesse tornare a suo vantaggio da quanto ho riportato; mi tolga solo un paio di curiosità. E' proprio sicuro, a 80 anni suonati, che il solco sin qui da lei tracciato sia il più appropriato per le future generazioni di imprenditori? Non crede che le acque dello Stige siano un po' troppo torbide, per le prossime vacanze a bordo del suo formidabile yacht?


DOC




7 Novembre 2017«Zara, nei vestiti spuntano le etichette nascoste: "Non ci pagano, aiutateci". "Ho fatto questo capo che stai per comprare, ma non sono stato pagato". E' l'inatteso biglietto che alcuni clienti di Zara hanno trovato cucito dentro i vestiti che stavano per acquistare. E' successo a Istanbul e le foto delle etichette di denuncia sono presto diventate virali. Si tratta dei lavoratori della Bravo Tekstil, un'azienda fornitrice di Zara, Mango e Next, chiusa tempo fa e che ancora non ha pagato gli arretrati ai lavoratori». [Il Messaggero] - Non finisce sicuramente qui, ma io mi fermo: to be continued, se vorrete, sui media internazionali.



#ChiamaleBazzecole: rubrica di attualità volta a sensibilizzare l'eventuale pubblico su questioni troppo spesso nascoste sotto i tappeti da chi poi pretende che camminiamo con le pattine, al fine di evitare il "tutti giù per terra".

Judith Linhares e la sua arte "cattiva"


"Amazon", Judith Linhares 1974

Gennaio 1978: Marcia Tucker, fondatrice del New Museum of Contemporary Art di New York, organizza una mostra ironicamente intitolata "Bad Painting" (Pittura Cattiva).

Marcia Tucker (1940-2006) all'inaugurazione della mostra "Bad Painting", 1978

Sarà questa prima esposizione ad ispirare una corrente pittorica d'avanguardia, chiamata appunto Bad Painting e caratterizzata da un'impronta anarchica in contrapposizione alle convenzioni delle belle arti e del buon gusto dell'epoca.
Colori chiassosi, tecniche provocatoriamente infantili e "orgoglio" dilettantesco irrompono dalle tele di 14 giovani artisti americani, per lo più sconosciuti. Tra questi Judith Linhares di Pasadena, California, che da allora non ha smesso di coltivare brillantemente il suo talento, emozionandoci con un'esplosione di forme e colori unica nel suo genere.

Judith Linhares nel suo studio, 2001

Le immagini che seguono sono tratte dal ricco portfolio dell'artista, sfogliabile sul sito ufficiale all'indirizzo http://www.judithlinhares.com

"Woman with Beautiful Hair", Judith Linhares 1985

"Chick", Judith Linhares 1990

"Tricks for You", Judith Linhares 1996

"Skippers Ride", Judith Linhares 2005

"Drink", Judith Linhares 2008

"Cave", Judith Linhares 2010

"Dance II", Judith Linhares 2017


DOC

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